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RACCONTI


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Adamo Bencivenga
Il biglietto da visita

  





  
Photo Sergey Fat

 


 
 


Quando mi ha chiesto il numero di telefono ho cercato di scandirlo lentamente, numero per numero, come fosse la combinazione di una cassaforte. In quella stazione di taxi davanti all’aeroporto c’era un tale casino che ho rischiato per due volte di essere travolta dalla folla che cercava disperatamente un taxi. Lui non riusciva a sentire la mia voce, l’ho ripetuto due volte, alla fine ho preso dalla borsa un mio biglietto da visita ed ho scritto il numero a penna cancellando quello vecchio.

Lo avevo conosciuto in aereo, tratta Milano-Roma, venerdì pomeriggio. Avevamo viaggiato fianco a fianco e parlato per tutto il tempo di tutto e di niente, del suo lavoro, del mio, che sono single e vivo da sola, che lui è sposato e poi con una certa complicità abbiamo commentato le modelle anoressiche su una rivista di moda offerta gratuitamente dalla compagnia aerea, ma nonostante ci fosse stata una palpabile sintonia tra noi, nessuno dei due si era fatto avanti. Tipo che ne so: “Sarebbe bello rivederci… Possiamo andare a cena… Ti va di passare una giornata insieme?” Nessuno dei due insomma aveva avuto il coraggio di fare la prima mossa.

Poi l’aereo è atterrato stranamente in perfetto orario, Roma era sotto il diluvio, ci siamo persi e poi magicamente ritrovati fuori dall’aeroporto. Lui mi ha salutata e sotto il mio minuscolo ombrello abbiamo parlato ancora, lui aspettava sua moglie che lo venisse a prendere, mentre io ero pazientemente in coda per un taxi, poi, all’improvviso, come succede in questi casi, solo quando ci stavamo per salutare mi ha detto: “Mi piacerebbe rivederti.” Non aspettavo altro! Bello come il sole non mi sembrava vero che un uomo così affascinante potesse interessarsi a me. Ho iniziato a balbettare il numero e poi a scriverlo su un mio vecchio biglietto da visita tra la calca della folla che spingeva per accaparrarsi il taxi. Alla fine mi ha quasi strappato il biglietto dalla mano ed è corso via senza che potessi controllare il numero che avevo scritto. Durante il viaggio verso casa mi sono chiesta più volte se lo avessi scritto bene. Del resto alle volte è facile in un caos simile invertire due cifre e se così fosse successo non lo avrei più rivisto. Mi aveva detto che abitava dalle parti dell’Eur, ma quel quartiere è grande quanto una città per cui sarebbe stato impossibile rivederci e da perfetta smemorata mi ero dimenticata il nome della sua azienda.


*****

Ora sono qui in casa, stanca mi sto riposando sul divano, il trolley è lì in piedi davanti alla porta d’ingresso, la prospettiva weekend non è delle migliori, la mia amica Anna è a Dubai per un congresso, Giacomo, il mio amico gay ha fatto nuove conquiste e difficilmente passerà un sabato o una domenica con la sua amica del cuore. Mi rilasso, accendo la tv, ascolto le ultime notizie, ma il pensiero torna sempre lì a quella stazione di taxi e mi chiedo come mai non mi abbia ancora chiamato, magari un messaggio, una banale faccina che ride, oppure uno squillo senza risposta, solo per avere anche io il suo numero e in qualche modo poterlo rintracciare. Penso a quel biglietto, c’è il mio nome e cognome, l’indirizzo di casa e quello della posta. Penso che se avessi sbagliato a scrivere il numero potrebbe rintracciarmi lì. “Che stupida! Non ci avevo pensato!” Allora speranzosa apro la mia email, ma niente.

Passano dieci minuti, chiudo gli occhi e mi addormento. Mi sveglia poco dopo il suono del telefono. Il numero non è in rubrica per cui penso sia lui. Ma è solo uno squillo per cui non faccio in tempo a rispondere. Il mio “pronto” finisce nel vuoto. Sicura che sia lui penso che non abbia potuto parlare, magari è ancora in macchina con la moglie alla guida. Il venerdì sera a Roma c’è sempre un traffico pazzesco. Mi rincuoro, poi però mi viene un dubbio. Forse lui avrebbe potuto parlare, ma non ha insistito per discrezione. Forse pensa che sia io quella che abbia da fare. Sfoglio la margherita alla fine indecisa chiamo.

Ho il fiatone. Al primo squillo risponde, ma in sottofondo sento una voce di una donna. “Pronto!” È lui, lo riconosco, la sua voce è un sussurro. Vorrei dirgli tante cose, sapere se gli sono piaciuta, se abbia mai flirtato con una donna conosciuta in aereo, ma è lui ad anticiparmi: “Scusami, ma ora non posso parlare.” Sento rumori di casa. “Devo riattaccare.” Interrompe bruscamente la chiamata, mi giunge all’orecchio un click pesante e definitivo, mi sento morire. Lancio il telefono sulla poltrona di fronte. “Che figura cavolo!” Mi do dell’imbecille, sicuramente l’ho messo in imbarazzo davanti a lei. “Ora non chiamerà più!” Penso.

Delusa vado in bagno, apro il rubinetto della vasca. Aspetto che si riempia. Intanto ripenso a quella voce femminile, immagino sua moglie, quarant’anni sempre in tiro, non so perché, ma dalla voce mi sembrava bionda. “Deve essere una bella donna!” Mi spoglio, mi guardo allo specchio, osservo la mia lei depilata. Non è un granché, la vedo banale, magra, ordinaria, quasi insignificante: “Ma lui che ci farebbe con me? Una trentenne sfigata, single non per scelta, ma per i tanti fallimenti in amore? Cosa potrei dargli di più che già non abbia?”

Mi do della pazza, in fin dei conti lo conosco da due ore, non so nulla di lui, tranne che ha passato i 40, che ha due figli piccoli, è sposato, si chiama Marco, gioca a tennis, adora i libri di Wilbur Smith e lavora a Milano per una grande multinazionale. Tutto qui.
Ma il pensiero non demorde, si trasforma in desiderio. Ecco sì, mi presenterei tutta nuda, così come sono adesso, se lui ora bussasse alla mia porta. Non indugerei un secondo e lui avrebbe modo di giudicarmi immediatamente per la donna che sono. I seni, le gambe, il sedere così come mi ha fatto mamma, insomma lo metterei subito di fronte al grande mistero svelato e gli sbatterei in faccia quello che magari ha desiderato in quell’ora di viaggio, senza girarci intorno, senza perdere tempo.

Con aria svenevole, ma decisa gli direi: “Eccola! La vedi? La vuoi?” Anzi no, gli direi prendila, facci quello che vuoi, basta che godiamo insieme, basta che mi fai volare, impazzire. Certo sì, farei la figura di quella in astinenza, che non vede un misero cazzo da mesi e mesi, ma è la dura verità, perché mentire, perché tirarsela? Sono o non sono una trentenne sfigata? L’ultimo uomo che mi sono portata a casa era un collega che nel bel mezzo della serata si è sentito male e ha vomitato anche gli occhi ed io ho passato l’intera serata a pulire il bagno! Per il resto buio fitto. Mi concentro ma in questo momento non ricordo l’ultima volta che l’ho data pensando poi di aver fatto la cosa giusta!

M’infilo nella vasca e mi rilasso. Dopo dieci minuti sono distesa sul letto bella e profumata col mio fiore scoperto e voglioso. Il mio pensiero fa qualche volo pindarico, io che mi trucco nella toilette di un ristorante, i miei tacchi alti che camminano silenziosi sulla moquette di un albergo di lusso, oppure seduta su un morbido divano di un locale, che ballo col mio tubino corto, aderente e nero, sì lo so, mi fa le gambe belle e un sedere da paura, sono alta ho un bel seno sicuramente prima o poi qualcuno ci casca! È solo questione di tempo, mi convinco, ma subito dopo inevitabilmente torno a lui, Marco, l’uomo affascinante che la sorte oggi mi ha offerto su un piatto d’argento. Lo vedo bello da morire e mi chiedo per quale diavolo di destino gli uomini che mi piacciono siano tutti necessariamente sposati? Ma sì in fin dei conti è solo un dettaglio ed io non demordo, questo non è il momento di lagnarsi, mi devo considerare solo fortunata ad averlo incontrato. Vedo le sue mani, le sue dita affusolate ed ora l’immagine si fa concreta, fisica, lui che ammicca, insinua, sì quelle mani, delicate e forti tra le mie cosce, alla fine mi abbandono, mi addormento.


*****


Mi sveglio di soprassalto, guardo l’ora, sono circa le nove e mezza, ho dormito più di due ore. Proveniente dal bagno sento un suono, insonnolita non riesco subito a distinguere la suoneria del mio nuovo telefono, penso sia la radio lasciata accesa, la televisione della vicina. Poi realizzo, qualcuno mi sta chiamando, penso ad Anna da Dubai che ha fatto una nuova conquista, a Giacomo in compagnia del suo nuovo amico, comunque mi alzo, sono ancora nuda, corro in bagno.
Afferro il telefono, ho l’ansia, rispondo con la mia voce pastosa di sonno. Lui se ne accorge: “Ciao, ti ho svegliata?” La sua voce è una brezza marina d’agosto, calda, maschile, sensuale e profonda. “Scusa per prima, ma non ero solo e non potevo parlare.” Ma chissenefrega penso…
Lui mi toglie dall’imbarazzo e continua: “Ti ho disturbata?” Rispondo con una bugia per darmi un tono, ossia che ero in sala a vedere un vecchio film americano con Humphrey Bogart.
Lui neanche mi ascolta: “Ora dorme e possiamo parlare tranquillamente se vuoi. Io sono nel mio studio al piano inferiore.”
Immagino che chi stia dormendo sia sua moglie, non mi fa piacere che faccia riferimento a lei, ma sento tanta complicità. Mentre parla mi metto comoda sul divano, mi piace sentire quella voce.
“Da quando ci siamo lasciati all’aeroporto non ho fatto che pensare a te!” Come inizio non è male. Anch’io confesso di averlo pensato.
“Cosa hai pensato di me?”
Mi trova impreparata, balbetto qualcosa e alla fine decido di non rispondere.
E lui: “Come sei vestita?”
Ecco, questa sì che è una domanda sensata! Abbasso gli occhi sul mio fiore nudo. Sento le guance arrossire. Potrei mentire ancora, ma il suo è un assist favoloso e non voglio perdere l’occasione: “Non ho nulla addosso. Ho fatto poco fa la doccia.”
“Fammi capire sei nuda sul divano? Non hai freddo?”
“Dici che sono strana?” Non mi viene nulla di più intelligente, ma sento che la cosa gli potrebbe far piacere.
“Non sei strana, anzi diciamo che sei pronta.”
“Pronta per cosa?”
Devia, ma poi ritorna: “Ora vorrei essere lì con te!”
Annuisco, poi maliziosa gli dico: “Anche io adesso non vorrei essere da sola.”
Ci pensa un attimo forse non si aspettava la mia risposta: “Sei molto carina sai? Oggi in aereo non ti staccavo gli occhi di dosso. Poi con quella gonna corta… Hai bellissime gambe!”
“Perché me le guardavi? Non me ne sono accorta.” Mento.
“Se vuoi posso dirti esattamente il numero delle volte che le hai accavallate. E comunque ho ammirato tutto di te, le tue mani, le tue labbra rosse e sinceramente non credevo di essere così fortunato.”
Il discorso si sta facendo interessante.
Poi ancora: “Se non avessi avuto mia moglie ad aspettarmi, ti avrei sicuramente invitata per un caffè.”
“Solo un caffè?” Mi mordo le labbra. Smorzo il segnale evidente con un sorrisetto deficiente. Lui non mi fa pesare la battuta.
“Conosco un bar nella mia zona con una bellissima suite al piano superiore. Non credere che non lo abbia desiderato quando ti osservavo le gambe… Autoreggenti vero?”
Confermo annuendo. “Ti piacciono?”
“In quella suite saresti stata la mia regina!”
Ecco una sana cura per la mia astinenza! Sento il suo trasporto, ci siamo, accarezzo il mio fiore, quella voce mi dà brividi profondi, ma devo resistere, trattenermi, devo aspettare…
Lui insiste: “Ti vorrei ora sai!”
Ecco un altro assist! Ci penso, ma poi mi rendo conto che devo solo spingere la palla in rete e fare gol!
“Cosa mi faresti?” Siamo ad un bivio, se insiste sono pronta. Vorrei ora che sentisse il mio corpo proteso verso di lui. Il mio respiro si fa più pesante, credo che anche lui si stia toccando, sono istanti interminabili, lui sussurra qualcosa, io non capisco, immagino che mi stia dicendo che sono bellissima, che mi desidera subito, ora, stasera, sì sì con quell’autoreggente col bordo alto di pizzo, immagino che mi dica parole forti, oh sì, tipo che mi scopa in piedi, sul letto, appoggiata al davanzale della finestra mentre entrambi guardiamo i tetti di Roma. La mano insiste sul mio fiore, è umido, voglioso. Annuisco ancora, anche se lui non parla, non parla da circa due minuti.

“Pronto, pronto…” Ma nessuna voce risponde. Guardo lo schermo del mio telefono, non è più in linea. “Pronto, pronto!” Cazzo la solita sfiga! Penso che abbia dovuto riattaccare, che la moglie si sia svegliata e lo abbia beccato nello studio magari mentre si toccava. Sono appesa alla mia domanda: “Cosa mi faresti?” Già cosa farebbe ad una donna completamente nuda che si è offerta così sfacciatamente? Controllo la batteria, la connessione, il wi-fi di casa, tutto ok, tutto perfettamente funzionante tranne quella stronza che si sarà svegliata proprio ora: “Amore, dai vieni a dormire… lo sai che non ci riesco a prendere sonno senza di te.” Oppure no, lui ha solo riattaccato, volontariamente, perché sono stata troppo sfacciata.

Non ce la faccio ad aspettare, cerco con la mano umida il numero salvato in rubrica, non me ne frega niente se sua moglie si è svegliata, provo a richiamare, uno, due secondi, poi una voce metallica mi dice che l’utente è irraggiungibile. Il primo pensiero è inevitabile: “Cazzo, ha chiuso il telefono, non vuole parlare con me, non vuole fare l’amore!” Cerco di rilassarmi, ma è un’impresa sovrumana, mi sento offesa e umiliata. Mi do della cretina per essermi illusa. Ho sempre saputo che gli uomini belli sono una fregatura eppure ancora una volta ci sono cascata come una pera cotta.

Qualche minuto dopo la suoneria mi fa sussultare: è lui! La sua voce è ancora più calda e più roca. Un altro brivido intenso mi corre lungo la schiena.
Dico: “Ho provato a chiamarti ma avevi il telefono staccato.”
“Non ero solo.” Ma non aggiunge altro.
Sento la gelosia che si impossessa delle mie ossa. Mi rendo conto di quanto sia assurda la cosa. Cazzo sono senza freni, gelosa di un perfetto sconosciuto! Di una moglie che non conosco! Mi sento patetica così nuda e in calore che mi aggrappo alle sue poche parole.
“È tornata a letto. Io per sicurezza sono sceso in garage. Sono seduto in macchina.”
“Mi desideri ancora?”
Non risponde, ma lo sento respirare più intensamente.
“Ci sei?”
“Dai allarga le gambe!” È quasi un ordine, mi fa piacere.
Guardo il mio fiore nel riflesso della vetrina della sala. Obbedisco senza parlare, ora è aperta, calda, umida, nuda e disponibile.
“Ti stai toccando? È vogliosa vero?”
“Ha bisogno di essere consolata.”
“Immagina che sia la mia mano.”
Lo sto già facendo, immagino le sue dita lunghe ed esperte che mi esplorano dentro.
“Dai dimmi cosa stai facendo?”
Lo sento ansimare. Gli dico dei miei capezzoli duri, delle mie labbra vogliose.
“Sei la mia troietta sai?”
“Sono quello che ora ti piace immaginare che io sia.”
“Sei fantastica, continua a toccarti.”
“Vorrei che fossi tu a darmi piacere.”
“Non mi senti?”
Non rispondo, lo sto immaginando seduto nell’auto al buio del suo garage, con la cintura dei pantaloni slacciata e la mano tra le mutande. Ora lo vorrei qui, conoscerlo meglio, vedere il suo viso eccitato, i suoi occhi su di me, sentire le sue mani sul mio seno, assaggiare il suo sudore, farmi penetrare con la lingua e sì certo sentire la sua voce nel mio orecchio che mi sussurra che sono la sua troietta.
“Me lo prendi in bocca vero?”
“Ti desidero.”
“Dai ti prego dimmi come me lo prendi. Sono sicuro che sei bravissima!”
Cazzo sì che sono brava e adesso sono eccitata, troppo eccitata per consumarmi dentro una telefonata. Voglio di più, lo voglio mio. Sento che posso osare ed oso. Del resto non è un mio problema se è sposato!
“Vieni qui, vieni a scoparmi!” Gli dico tutto d’un fiato.
“Credi che non sia capace?”
Ecco questo è il momento. O la va o la spacca, penso, devo andare fino in fondo, far sì che questa mia folle richiesta abbia un senso e una conseguenza, allora senza dire altro, senza che lui abbia modo di dirmi le sue reali intenzioni, al culmine del mio piacere, faccio la cosa più folle e bizzarra che mi venga in mente, ossia riattacco.

Silenzio. Mi do della pazza. “E ora cosa faccio?” Ansimo e rido, guardo il mio fiore. Penso a lui con in mano il suo coso, alla sua faccia. Sono sicura che non verrà. Non può venire, ha la moglie a casa. Lo avrà detto tanto per dire. E poi cosa significa: “Credi che non sia capace?” È solo una frase buttata lì per sentirsi più maschio, per farmi eccitare, per desiderarlo ancora di più. Poi però penso a quanta strada devo fare, a quanto tempo ci impiegherebbe. Continuo a toccarmi. Questa minima incertezza mi fa eccitare ancora di più. Sono quasi al culmine del mio orgasmo. La strada ora è tutta in discesa. Sono fiera di me, così facendo mi sono data una possibilità, certo una su un milione, forse anche meno, ma se fossi rimasta attaccata al telefono, di sicuro non ci sarebbe stata neanche quella.
Guardo lo schermo del telefono, spero si illumini in questo momento. Ma lui non chiama, certo come minimo si sarà offeso. Starà pensando: “Tutte a me capitano!” Lo immagino senza il minimo trasporto, svuotato, molle oppure no, magari sta correndo verso di me, forse non per la voglia di avermi, ma per fare presto, una toccata e fuga in modo che la moglie non si accorga della sua assenza.

Perché non dovrebbe venire? Ha detto che è capace. Del resto il mio indirizzo è scritto su quel biglietto da visita. Sa che vivo da sola, quindi se davvero volesse… Sono pazza sì, mi viene un’idea, mi alzo, sento i miei piedi nudi sbattere sul pavimento, dal citofono apro il portone, poi apro la porta di casa lasciandola socchiusa.
La mia fantasia non ha limiti, si fa sempre più reale. Se viene, non deve bussare, deve solo spingere delicatamente la porta e vedermi così, nuda, aperta, vedere come l’attesa del piacere stravolga ogni minimo buonsenso. In fin dei conti sono stata sempre una sognatrice. Certo lui conosce l’indirizzo, ma non sa l’interno, il piano dove abito. Mi affido al destino, al suo olfatto, alla sua voglia di maschio, al bordo delle mie autoreggenti che sicuramente avrà visto.

Distesa sul divano fisso la porta e mi contorco dal piacere. Ora sì che è tutto reale, almeno la speranza che possa venire, che tra poco si aprirà quella porta, che mi prenderà subito, immediatamente, senza parlare. Ed io lo accoglierò come un ciclone, un terremoto, come qualcosa di ineluttabile che non puoi evitare.
Aspetto il tempo necessario, cinque, dieci, quindici minuti, i pensieri si alternano freneticamente, mi convinco che manca poco, pochissimo, mi convinco che non verrà mai, che non ci sono scuse plausibili, finché, come in un incantesimo, sento dei rumori, forse dei passi che salgono le scale, sarà il signore della porta accanto che torna sempre a quest’ora, sarà la signora in minigonna del piano di sopra che tradisce sistematicamente il suo squallido marito, sarà il portiere che stasera ha deciso di non rimanere da solo e di farsi una trentenne in preda all’orgasmo, sarà il mio fiore ormai al limite di ogni buon senso, sanno la mie tette che ora bramano solo baci e morsi d’amore, sarà solo un colpo di vento, una gatta in calore, un cane randagio. Oppure sarà la sua voce profonda, i suoi occhi penetranti, la solita tratta Roma-Milano, il traffico del venerdì sera, la confusione alla stazione dei taxi, sarà il mio amico gay, la mia amica Anna a Dubai, sarà che mi aggrappo a quel biglietto da visita, vecchio, scaduto, ma dove è scritto a chiare lettere il mio indirizzo, sarà quel che sarà, oppure sarà davvero lui Marco che mi ripete che è capace, che ora sta correndo, semaforo dopo semaforo, che ora sta salendo le scale. Sarà che ora non desidero altro, sarà che il desiderio rende tutto più reale, sarà che mi tocco, sarà che le mie dita vanno sempre più veloci, sarà l’attesa, sarà che sarà, ma dopo qualche secondo mi pare di intravedere nella penombra dell’ingresso la porta di casa che magicamente si apre.



 









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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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