|
HOME
CERCA NEL SITO
CONTATTI
COOKIE POLICY

I RACCONTI DI AMARSI? CHE CASINO!

L'ULTIMA FRONTIERA
DEL GIORNALISMO
A quale prezzo?
Una reporter per ottenere le prime pagine
dei giornali, fa sesso in diretta radio in un locale per scambisti...

Il caffè era amaro, proprio
come il nodo che mi stringeva lo stomaco. "L'ultima
frontiera del giornalismo" Titolava l'articolo che avevo
davanti. Ho iniziato a leggerlo: “Louise Fischer,
giornalista danese, fa sesso in diretta radio in un
locale per scambisti.” La collega si era spinta oltre
ogni limite, mescolando l'inchiesta con la sua intimità,
tutto per un pezzo realistico. Intervistata dal giornale
tedesco Bild aveva detto: “Era il modo migliore per
ottenere la loro fiducia e realizzare il servizio!”
Poi in un’intervista rilasciata successivamente
aveva spiegato che il suo intento era quello di “calarsi
nel ruolo, in modo da fare emergere in pieno la realtà
del mondo dello scambismo”. E poi ha aggiunto: "Ho
trovato persone molto più educate e gentili che in un
normale bar e avrei potuto tranquillamente dire di no se
non avessi voluto. Mi sono divertita, non è stato il
sesso più bello della mia vita, ma gli uomini in quel
locale sono gentili, ti fanno sentire una dea! Comunque
ho fatto solo quello che ho voluto di mia spontanea
volontà e nessuno mi ha costretta!”
Io lì, seduta
in una scrivania della redazione romana, mi chiedevo se
quello fosse il modo giusto per ottenere notorietà. Ero
una giornalista da anni, con un curriculum di inchieste
locali e qualche timido tentativo di affacciarmi al
nazionale. Ovvio sì anch’io sognavo di far carriera,
quella vera. Ma a quale prezzo? Ero una moglie, una
madre di due splendidi bambini che mi aspettavano a
casa, con i loro disegni appiccicati al frigorifero e le
mille domande sulla giornata.
Il colloquio con
il capo redattore era stato breve e diretto. Aveva
appoggiato l'articolo sulla mia scrivania con un sorriso
beffardo. "Elena, questa è un'occasione. Un pezzo che
farà parlare di te, di noi." Il suo sguardo era
penetrante, quasi a voler scrutare le mie più recondite
ambizioni. Avevo annuito, sentendo il cuore battere
all'impazzata, ma dentro di me un coro di "no" urlava.
L'idea di varcare quella soglia, di immischiarmi in
un mondo così alieno e potenzialmente pericoloso, mi
faceva rabbrividire. Tornai a casa quella sera con il
peso di una decisione imminente. Guardai i miei figli
dormire, le loro piccole mani strette ai peluche, e il
volto sereno di mio marito sul divano, assorto nella
lettura. Come potevo anche solo pensare di turbare
quella normalità, quella sacra routine familiare, per un
effimero momento di gloria professionale? La risposta fu
un no sussurrato, una rinuncia sofferta, ma inevitabile.
Il giorno dopo telefonai al capo redattore dicendogli
che quel tipo di inchiesta non faceva per me… Sentii una
punta di delusione nella sua risposta: “Elena non voglio
forzarti, è una questione molto delicata, ma sappi che
solo tu potresti fare quell’inchiesta. Comunque non
insisto…”
I giorni successivi furono un
susseguirsi di articoli banali, di cronaca spicciola
tipo una signora anziana truffata o un’intervista ad un
pompiere che aveva salvato un bambino durante un
allagamento. Lo sapevo, non era questo che avevo
desiderato sin dal primo giorno che aveva varcato la
soglia di quella radio. Vedevo i miei colleghi
scalare posizioni, ottenere riconoscimenti, e una punta
di invidia si insinuava nel mio animo. La storia della
giornalista danese continuava a rimbalzare sui media,
scatenando un dibattito acceso sull'etica del
giornalismo. Il suo volto, tra l’altro anonimo e senza
una punta di femminilità, padroneggiava le prime pagine
dei giornali online. Ma, al di là di questo, sentivo
un'ombra di ammirazione per il suo coraggio, per la sua
audacia nel superare i confini.
Poi, una sera,
mentre stiravo le camicie di mio marito, un pensiero si
fece strada nella mia mente, subdolo e persistente come
un tarlo. E se quella fosse davvero l'unica via per
emergere? E se la mia rinuncia fosse solo paura di
affrontare l'ignoto? La sete di riconoscimento, la
frustrazione di sentirmi invisibile, iniziarono a
erodere le mie certezze.
Così che una settimana
dopo, d’accordo col mio capo redattore, mi ritrovai di
fronte all'insegna anonima di quel locale notturno, il
cuore che batteva all'impazzata. Era un passo
nell'oscurità, un salto nel vuoto. Avevo avvisato mio
marito di non aspettarmi per cena e in redazione, prima
di uscire, avevo indossato tutto l’occorrente che mi ero
portata da casa. Sotto copertura, con una gonna di
pelle, autoreggenti a rete e un paio di scarpe argentate
dai tacchi impossibili avevo preso le sembianze di una
signora, non proprio alle prime armi, che non avrebbe
disdegnato qualche effusione extra. Dopo aver girovagato
per dieci minuti alla fine decisi di entrare. L'aria
all'interno era densa di profumo dolciastro e di
un'elettricità palpabile. Coppie che si sfioravano con
sguardi languidi, musica house, donne provocanti,
sussurri e risate sommesse. Mi sentivo un pesce fuor
d'acqua, quasi un'intrusa in un rituale segreto, ma
ormai ero in gioco.
Mi avvicinai al bar,
ordinando un bicchiere di vino bianco con la voce che mi
tremava. Cercai di apparire disinvolta, di mimetizzarmi
tra quelle persone, ma ogni sguardo che incrociavo mi
sembrava indagatore, come se mi stessero giudicando. Con
il telefono per la diretta nascosto nella borsa, iniziai
a parlare con alcune persone, fingendo interesse per
quella situazione senza mai rivelare la mia vera
identità. Qualcuno mi offrì da bere altri mi chiesero se
fosse la mia prima volta in quel locale.
La
serata trascorreva in un turbine di sensazioni
contrastanti. Percepivo curiosità morbosa, disagio
crescente e un vago senso di colpa che mi attanagliava.
Lì seduta sul trespolo del bancone e con lo spacco
aperto della mia gonna di pelle che metteva in evidenza
la mia calza a rete mi ripetevo che mai avrei avuto la
stoffa e la spregiudicatezza della giornalista danese
per fondermi completamente con il soggetto della mia
inchiesta.
Comunque mi sforzai di mettere da
parte i miei timori quando un uomo su quarant’anni,
accompagnato da un’avvenente moglie poco più giovane, si
avvicinò con fare sicuro, lui non perse tempo e
invitandomi su un divanetto rosso in penombra mi disse:
“Sai mia moglie ti stava ammirando da quando sei
entrata. Lei avrebbe il piacere di vedermi fare sesso
con te.”
Lo guardai intimorita, ma non dissi
nulla. Seduta tra loro su quel divano lasciai che la sua
mano risalisse le mie calze a rete fin sotto la gonna e
che sua moglie poggiasse le sue labbra sulle mie
sfiorandomi il seno.
Ero al dunque. Dovevo
decidere cosa fare. In redazione stavano solo aspettando
un mio segnale per mandarmi in onda. Strinsi gli occhi e
mi lasciai andare senza più pensarci. Le mani mi
tremavano mentre digitavo il codice per la diretta. Un
nodo alla gola mi impediva di respirare regolarmente.
Era come trovarsi sull'orlo di un precipizio, con la
consapevolezza che non ci sarebbe stata via di ritorno.
Il profumo dolciastro della donna mi stordiva.
In quel momento ripensai ai volti dei miei figli, al
sorriso sereno di mio marito. Un'ondata di vergogna mi
investì. Stavo per varcare un confine che mai avrei
immaginato di superare, tradendo la fiducia dei miei
cari e la mia stessa integrità. Ma la sete di una storia
potente, il desiderio di non essere più invisibile,
ebbero la meglio.
Quando le loro mani iniziarono
a toccarmi pesantemente, un brivido percorse la mia
schiena. Non era eccitazione, ma una strana mescolanza
di paura e di una fredda determinazione. Non ero io! Mi
sentivo distaccata, come se stessi osservando la scena
da lontano, un'attrice che recita una parte in un dramma
sconosciuto.
Poi, il piccolo led rosso sul mio
microfono nascosto si accese. Eravamo in diretta! Dissi
ai due che oltre al piacere del sesso ero curiosa di
conoscere la loro storia e le loro emozioni. E così
durante il servizio, mentre andavo in onda, iniziai a
fare domande sussurrate e a partecipare attivamente alle
loro effusioni. Nei venti minuti di diretta e
rigorosamente senza filtri immaginai Roma immobile. Le
chiacchiere nei bar che si spegnevano e i clacson delle
macchine muti improvvisamente. Ogni radio, ogni
smartphone sintonizzato su quella frequenza diventava
una finestra indiscreta sulla mia intimità. Le onde
sonore si propagavano nell'aria tiepida della serata
romana, portando con sé i sussurri, i gemiti, il fruscio
dei tessuti, lo scandalo e la curiosità morbosa. Più
passavano i minuti e più mi sorprendevo per la mia
audacia e non opposi resistenza quando lui, incitato
dalla moglie, baciò il mio piacere. Fu in quel momento
che ebbi un fremito più intenso consapevole che tutto il
mondo in diretta stava ascoltando il mio orgasmo
liberatorio.
Il giorno dopo fu un'apoteosi
mediatica. Il mio volto, ora non più anonimo,
campeggiava su ogni giornale, ogni sito web. Ero
diventata "la giornalista dello scandalo", un titolo che
bruciava sulla lingua come una condanna. Le opinioni si
dividevano ferocemente: c'era chi mi accusava di
sensazionalismo e di aver svilito la professione, e chi,
al contrario, lodava il mio coraggio e la mia capacità
di infrangere i tabù.
Il capo redattore mi
accolse con un sorriso ambiguo, un misto di trionfo e di
imbarazzo. "Elena, hai fatto parlare di noi. Questo è
innegabile. Abbiamo spaccato! Sfondato ogni record di
ascolto!"
La mia vita personale fu sconvolta. Le
telefonate anonime, i commenti sui social media, gli
sguardi carichi di giudizio per strada. I miei figli
faticavano a capire il clamore che mi circondava, e mio
marito, pur cercando di sostenermi, portava sul volto i
segni di una profonda ferita.
Nonostante il
successo professionale, mi sentivo vuota. Avevo ottenuto
la notorietà che tanto desideravo, ma a un prezzo
altissimo. Mi guardavo allo specchio e non riconoscevo
più la donna che ero stata. Il confine tra la
giornalista e la persona si era fatto labile,
pericolosamente indistinto.
Decisi di
allontanarmi dal clamore. Chiesi un periodo di
aspettativa, un tempo per ritrovare me stessa e per
ricostruire i legami familiari. Mi rifugiai nella quiete
della mia casa, cercando di ricucire gli strappi, di
rispondere alle domande innocenti dei miei figli, di
riconquistare la fiducia di mio marito.
Il mondo
del giornalismo continuò a correre, a inseguire nuove
"ultime frontiere". Io, lentamente, ritrovai la mia
strada, riscoprendo la bellezza delle piccole storie,
quelle che non fanno scalpore ma che raccontano
l'umanità con dignità e rispetto. Capii che la vera
sfida non era superare i limiti della morale, ma trovare
il coraggio di raccontare la verità senza perdere la
propria anima. E che la notorietà effimera non valeva il
sacrificio degli affetti più profondi.
Alla fine,
tornai a scrivere. Non più inchieste sensazionali, ma
storie di persone comuni, di resilienza, di speranza.
Ritrovai la gioia nel mio lavoro, un senso di
appagamento che il clamore delle prime pagine non mi
aveva mai dato. E imparai che la vera "ultima frontiera"
del giornalismo era, e sempre sarebbe stata,
l'integrità.
|

ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
© All rights
reserved FONTI
https://www.fanpage.it/esteri/giornalista-fa-
sesso-in-diretta-in-locale-per-scambisti
https://www.today.it/donna/storie/giornalista-
fa-sesso-locale-scambisti.html
© Riproduzione riservata
FOTO GOOGLE IMAGE


Tutte
le immagini pubblicate sono di proprietà dei rispettivi
autori.
Qualora l'autore ritenesse
improprio l'uso, lo comunichi e l'immagine in questione
verrà ritirata immediatamente. (All
images and materials are copyright protected and are the
property of their respective authors.and are the
property of their respective authors.
If the
author deems improper use, they will be deleted from our
site upon notification.) Scrivi a
liberaeva@libero.it
COOKIE
POLICY
TORNA SU (TOP)
LiberaEva Magazine
Tutti i diritti Riservati
Contatti

|
|