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IL MESTIERE ANTICO

Kabukichō
Il quartiere a luci rosse di Tokyo
Viaggio nel piacere tra love hotel, night club, soap land, Hostess club, Host Club, kyabakura e Oppai bar



 
 
Ecco Kabukichō il distretto a luci rosse di Tokyo più famoso del mondo! Sorge alle spalle della stazione di Shinjuku, il nodo ferroviario più trafficato al mondo. Da queste parti le attività più remunerative sono il gioco d’azzardo, l’intrattenimento per adulti e la prostituzione. La sicurezza è incredibilmente gestita dalla Yakuza, la potente mafia giapponese. Qui si gioca il pachinko, un misto tra un flipper e una slot machine, un gioco diventato una vera e propria malattia per centinaia di migliaia di giapponesi!

Il neon del Sakura Moon Bar illumina a intermittenza l’angolo di una stradina affollata. L’aria è densa di profumi dolciastri, risate e il ronzio incessante delle insegne. Mi siedo a un tavolo d’angolo e ordino un Shochu ghiacciato, il liquore che brucia in gola ma scioglie i nervi.

Sono qui sotto mentite spoglie, un cliente come tanti, ma in realtà devo raccontare per il mio giornale il mondo di Kabukichō, il suo fascino ambiguo e le sue contraddizioni. Ho fissato un appuntamento tramite un contatto discreto, un nome sussurrato da un amico che conosce le regole non scritte di questo quartiere.

Lei si chiama Aiko, o almeno così si presenta. La vedo quando entra nel bar. È una donna sui 35 anni, bellissima, con un’eleganza che sfida la volgarità del contesto. Indossa un vestito nero attillato, corto quel tanto che basta per lasciare poco all’immaginazione, con spacchi laterali che rivelano calze a rete che si arrampicano sulle gambe lunghe e affusolate. Ai piedi, tacchi vertiginosi di vernice rossa, che riflettono i neon come specchi. Il trucco è impeccabile: un rossetto scarlatto che cattura la luce, e un tocco di highlighter sugli zigomi che la fa apparire ultraterrena. I capelli, neri come l’inchiostro, le cadono a onde sulle spalle, e un piccolo ciondolo a forma di cuore brilla al collo.

Si avvicina con un sorriso caldo, quasi intimo, e si siede di fronte a me. “Ciao, tesoro.” Dice con una voce estremamente dolce e leggermente roca, che sembra fatta apposta per accorciare le distanze. “È la tua prima volta qui, vero? Sembri un po’ teso.” Il suo tono è giocoso, provocante, ma c’è una gentilezza che disarma. Ordina un cocktail alla frutta, un Ume sour, e si sporge appena verso di me, lasciando che il profumo di fiori e vaniglia mi avvolga.

“Solo un po’ curioso.” Rispondo, cercando di mantenere la calma. “Kabukichō ha qualcosa di... magnetico, no?” Lei ride. “Oh, sì. Questo posto ti prende e non ti lascia andare. Ma dimmi, cosa cerchi stasera?” I suoi occhi si fissano nei miei, e c’è un misto di malizia che rende difficile distogliere lo sguardo. Parliamo per un po’. Mi racconta di come ama il karaoke, di come le piacciono i clienti che sanno farla ridere. Ogni parola è calibrata, ogni gesto studiato per farmi sentire speciale. È brava, dannatamente brava.

Quando il cameriere porta il conto, pago la tariffa senza esitazione, ma prima che la serata prenda una piega diversa, decido di giocare le mie carte. Lei però mi interrompe: “Sai, non so perché ma tu mi sembri diverso dal solito cliente. C’è qualcosa in te di curioso, non sei invadente e nemmeno un po’ impaziente. Dimmi la verità, non ti piaccio?”
“Aiko.” Dico, abbassando la voce. “Hai ragione, non sono qui solo per... divertirmi. Sono un giornalista. Sto scrivendo un articolo su Kabukichō, sul mondo che lo anima, sulle persone come te.” Mi preparo a una reazione di rabbia o diffidenza, ma lei scoppia a ridere, una risata genuina che mi coglie alla sprovvista.

“Un giornalista, eh?” Dice, appoggiando il mento sulla mano, con un sorriso che non si spegne. “Non ho mai conosciuto un giornalista! E allora cosa vuoi da me?” Fa una pausa, sorseggia il suo drink e poi aggiunge, con un luccichio negli occhi: “Va bene, parliamo. Ma solo se prometti di non annoiarmi con domande banali. Io conosco ogni angolo di Kabukichō… Dimmi, cosa vuoi sapere davvero di questo posto?” E così, tra il tintinnio dei bicchieri e il brusio del bar, Aiko inizia a raccontarmi la sua Kabukichō: un mondo di luci e ombre, di sogni infranti e opportunità colte al volo, di regole non scritte e di vite vissute al confine.

Come prima domanda le chiedo da dove provenga il nome.
“Il nome del distretto proviene da un teatro kabuki che non fu mai costruito. Prima e dopo la seconda guerra mondiale questo posto era il paradiso di cultura popolare con centinaia di teatri, ma dopo la crisi di quel genere di spettacolo la conversione a grande bordello mondiale diventò una necessità. Da queste parti il tasso di criminalità è molto alto e si vedono frequentemente scene di persone ubriache svenute nei vicoli, risse, rapine e interventi continui da parte della polizia. Le autorità dal canto loro stanno faticosamente cercando di dare una nuova immagine al quartiere e recentemente sono sorti hotel, cinema, grattacieli residenziali di lusso e per le strade ci sono diversi cartelli che invitano i turisti a comportarsi civilmente, senza bere in strada, schiamazzare o lasciarsi andare ad atteggiamenti inopportuni. Il risultato è stato che a differenza di altri quartieri a luci rosse sparsi per il mondo dove si trovano più che altro prostitute e spogliarelliste a Kabukicho c'è anche molto altro da fare e da vedere ed è senza dubbio una delle zone più caratteristiche di Tokyo.”

Aiko si ferma un attimo ordina un altro Ume sour e poi riprende: “Ma nonostante gli sforzi qui di solito il turista viene per far sesso, anche se molti locali rifiutano lo straniero che non parla giapponese e noi prostitute locali siamo molto, ma molto costose. Ad esempio la mia tariffa in un albergo di lusso per una notte intera si aggira sui 500 euro. Ma se vuoi spendere poco, qui c’è un'alta concentrazione di love hotel, night club, soap land, Hostess club, Host Club e locali per adulti in genere.”

Le chiedo cosa sono gli Hostess club.
“Qui vengono chiamati kyabakura e sono luoghi di intrattenimento per uomini. In questi locali si va a bere e a svagarsi in compagnia di giovani donne il cui lavoro è proprio quello di sedersi al tavolo con i clienti e intrattenerli. Le hostess ti accendono la sigaretta, ti versano da bere, ti ascoltano e chiacchierano con te, a volte cantano al karaoke. Insomma queste hostess sono delle moderne geishe e non sono disponibili ad offrire servizi sessuali. Nella zona c’è anche la variante femminile, ovvero gentili signore che entrano negli host club e scelgono dal catalogo un bel ragazzo con il quale conversare durante il pranzo o la cena. Lui si siederà al tavolo e converserà amabilmente, versando da bere e cercando di far sentire speciale la cliente. In questo caso è possibile continuare “la chiacchierata” fuori dal club.”

Dico: “Ho notato che nel quartiere ci sono diversi centri massaggi…”
“Già, i famosi Soapland dove le ragazze a fine lavaggio e massaggio offrono un servizio "happy ending", ovvero concludono il massaggio portando il cliente all'orgasmo esclusivamente con le mani o talvolta, sulla base di un’extra a pagamento concordato, con la bocca. Poi ci sono gli Oppai bar, locali per adulti dove è possibile sedersi e consumare un drink con la possibilità di baciare, toccare il seno o altre tipologie di contatti soft, ma senza mai eccedere. Attenzione qui non si raggiunge mai l’orgasmo, ma si gioca soltanto, insomma una specie di aperitivo in tutti i sensi!”

Dico: “Deve essere divertente…”
Lei mi guarda stupita: “Ma sai forse sono meglio i Pink Salon… Lì si va oltre rispetto all’Oppai bar e alla legge, perché la ragazza di turno, dopo una breve chiacchierata, si lascia andare ad un caloroso rapporto orale, ovviamente il tempo della consumazione è a tariffa.”

Ci pensa un attimo e poi riprende: “Sai qui in Giappone l’industria del sesso non è sinonimo di prostituzione come per voi occidentali. Qui se non c’è il rapporto completo a pagamento non è prostituzione e come hai visto la maggior parte dei locali, per rimanere entro la legalità, offre solamente servizi che non comprendono il coito, come la conversazione, la danza, il palpeggiamento soft e il rapporto orale ma sempre senza orgasmo.

Aiko guarda il suo cellulare, un rapido squillo le illumina il viso sotto le luci soffuse del Sakura Moon Bar. Si alza con la stessa grazia con cui si era seduta, il vestito nero che ondeggia leggermente, e mi rivolge un sorriso caldo, di quelli che sembrano promettere più di quanto dicano le parole. “Spero di aver risposto a tutte le tue domande…” Dice, con un tono dolce, ma con un pizzico di ironia, come se sapesse che il mondo di Kabukichō non si può esaurire in una sola serata. Le rispondo che è stata meravigliosa e disponibile, e lei, con un sorriso malizioso, replica: “Beh, sì, ma le mie tette e le mie gambe avrebbero di certo saziato meglio la tua curiosità, e il tuo reportage sarebbe stato davvero completo.” Mi fa un ultimo cenno con la mano, i tacchi rossi che ticchettano sul pavimento mentre si allontana, inghiottita dal caos di neon e voci del distretto.

Rimango lì, con il bicchiere di Shochu ormai vuoto e il taccuino pieno di appunti. Aiko mi ha offerto uno spiraglio su questo universo. Ma più di tutto, mi ha lasciato con una certezza: questo quartiere, con le sue ombre e i suoi eccessi, è molto più di un semplice distretto a luci rosse. È un teatro umano, dove ogni storia è un filo intrecciato nel tessuto caotico e irresistibile di Tokyo.



 




IMMAGINE GENERATA DA IA
ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
WEB REPORTAGE
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FONTI
https://it.insideover.com/
https://it.wikipedia.org/wiki/Kabukich%C5%8D
https://it.youinjapan.net/tokyo/kabukicho.php
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