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  La nostra missione
 Stringevo il suo sesso caldo, ancora 
								umido per un orgasmo lungo quanto il nostro 
								tragitto di ritorno. Ero allibito per il mio 
								coraggio e altrettanto per la facilità con 
								la quale ci eravamo dichiarati. Avevo tutta 
								la sua intimità nella mia mano…
 
 
 
  
 
 
 
 
				
					| Buongiorno Silvia, spero stia bene e che a Milano 
						oggi sia una bella giornata come qui a Roma. Oramai sono 
						passati più di cinque anni da quella volta insieme a 
						Verona, ma io la ricordo come se fosse oggi: piazza 
						delle Erbe, piazza dei Signori e quel piccolo hotel dove 
						alloggiavamo, credo si chiamasse Giulietta e Romeo con 
						vista sull’Arena. Ci rimanemmo solo tre giorni. Lei al 
						tempo era il mio direttore e la nostra azienda aveva 
						pensato bene di mandarci in missione insieme.
 
 Io 
						ero giovane, inesperto nel lavoro e nell’amore, mentre 
						lei era una donna in carriera molto più grande di me. 
						Ricordo sul lavoro come assorbivo i suoi insegnamenti e 
						ricordo l’ultima sera quando lei mi invitò a cena. Io 
						non avrei mai osato farlo! Facemmo una lunga 
						passeggiata, ricordo un gruppo di ragazzi, forse cileni, 
						seduti sul selciato a ridosso della fontana, con le loro 
						chitarrine curiose e i flauti di Pan. Era una serata 
						piacevole e ci mettemmo ad ascoltare quei suoni strani. 
						Poi ricordo quel minuscolo ristorante, ma intimo. Lei 
						era bella, bionda come il grano e gli occhi color di 
						mare, aveva due labbra rosse buone per parlare, sprecate 
						per mangiare, meravigliose per farci l’amore, ma questo 
						ovviamente lo pensai senza dirglielo.
 
 Durante la 
						cena lei mi chiese quale fosse la nostra missione e 
						nell’intimità di quel posto pensai che non si riferisse 
						al lavoro. E allora azzardai rispondendo confusamente 
						che conoscerci fosse stato già un buon traguardo, e la 
						conoscenza portava inevitabilmente ad assaporare il 
						gusto di un’ottica diversa. Poi feci una specie di volo 
						pindarico e le dissi che la realtà è banalmente 
						oggettiva, alle volte piatta, ma ciascuno di noi 
						possiede il dono di filtrarla, per poi adattarla, 
						renderla fruibile alle proprie aspettative. Forse sì, 
						siamo venuti al mondo non a caso, abbiamo una missione, 
						e in quel momento non trovai di meglio che risponderle 
						che osservandola vedevo il mondo attraverso i sensi, e 
						viste le nostre diversità, il nostro compito fosse 
						quello di assecondare il destino.
 
 Ricordo ancora 
						quel ristorante, seduto in quel posto, mi lasciavo 
						trascinare dalla coda dei pensieri, dalle stanchezze del 
						viaggio, dalle note della sua gonna, che danzava sullo 
						sfondo, come un velo in controluce, che colorava a tinte 
						dense, di verde i miei respiri, d’organza a strati le 
						parole, nello strascico dei sensi che saziavano i miei 
						occhi, per lasciarsi conquistare, da lei esperta di 
						malizia, dalla cresta di quel vento che spirava sulla 
						gonna, ed avvolgeva le sue forme come un velo di 
						passione, risalendo tra le gambe come amante dentro il 
						letto, che focoso la pretende, che rovente la rivuole...
 
 La prego, non mi prenda per pazzo, erano solo 
						pensieri, nel gusto evocativo e sottile della 
						trasgressione che stavo vivendo, nell’unico fine di dare 
						la dimensione giusta alla mia anima, a ciò che sentivo. 
						Non è vero che quella sera omisi e men che meno ignorai 
						le sue domande. Semplicemente le risposi a modo mio, 
						quando lei parlando di missione parafrasò quella 
						meravigliosa poesia di Itaca, immaginando quel 
						viaggiatore che fa incetta di mercanzie per rendere più 
						piacevole il viaggio. Ecco, Itaca era lontana, ma questo 
						non ci impediva di arricchire le nostre anime nel 
						percorso.
 
 Perché le sto scrivendo? Questa 
						mattina, insolitamente mi sono alzato presto, ho 
						assaporato la luce dell’alba ed ho fatto una lunga 
						passeggiata per le stradine del quartiere. 
						Immancabilmente l’ho pensata, mi creda dopo cinque anni 
						ho pensato ancora alle sue domande, al Caso che ci aveva 
						messi di fronte, alla nostra azienda che aveva deciso di 
						mandarci insieme a Verona. Ecco ho immaginato se le cose 
						fossero potute andare in maniera diversa, forse il tempo 
						e i modi e dove una situazione diversa ci avrebbe potuto 
						portare… Ma in quel momento ero solo affascinato da lei, 
						il suo modo di vedere le cose, molto diverso dal mio, il 
						domandare direttamente, come se avesse già una meta, 
						come se già conoscesse la risposta, come se già la vita 
						l’avesse messa di fronte a simili percorsi, ma altro non 
						so perché non sapevo nulla di lei.
 
 Oggi è una 
						bellissima giornata, piena di luce, una luce nuova, mi 
						sono seduto ai tavoli del bar del mio amico Domenico. 
						Abbiamo scambiato due parole mentre gustavo il suo 
						splendido caffè dal sapore denso e terroso. Mi affascina 
						tutto questo, mi saziano i dettagli, entrare 
						nell’umanità delle persone, entrare nelle loro debolezze 
						e nelle loro fragili gioie, anche se poi si scambiano 
						due parole leggere, sul tempo o sul calcio, sulla 
						politica o sulle donne, va bene lo stesso, qui non ci 
						sono grandi temi, non si parla mai dell’origine del 
						mondo, di missioni e prove, le cose vanno come devono 
						andare, in quell’atavico fatalismo per cui accade ciò 
						che deve accadere: “questo è” e se piove “è tempo suo…”. 
						In quel frangente ho pensato a lei, al nostro incontro, 
						forse davvero doveva accadere, e forse non c’è bisogno 
						di tante domande, ma solo di risposte… e già, ciascuno 
						ha la propria missione e quella di Domenico è quella di 
						servirmi un buon caffè…
 
 Non mi chiedo perché 
						seduto in questo bar le sto scrivendo, non mi chiedo 
						perché lei risponda, in fin dei conti abbiamo fatto solo 
						l’amore, sì lì proprio lì a Verona, dopo quella cena a 
						lume di candela, Dio com’era bella, Dio come è stato 
						lungo quel tragitto di ritorno e quella scala di quel 
						piccolo hotel che non finiva mai. Lo ricorda vero? 
						Mentre saliva davanti a me l’ho presa per i fianchi, lo 
						so è stato un azzardo, un attimo, un barlume 
						d’incoscienza, poteva finire anche con cinque dita sulla 
						mia faccia, ma in quel momento le sue movenze, il suo 
						tacco alto, la sua forma ad anfora romana, i suoi anni, 
						la sua calza con la cucitura erano per me un richiamo di 
						mille sirene. Allora ho agito, ho puntato tutti i miei 
						averi sul nero, il mio colore preferito, l’ho stretta a 
						me, e poi la mia mano magicamente è scivolata sotto la 
						sua gonna fino al punto da rendermi conto quanta femmina 
						nascondeva quel vestito. Mi sorpresi e lei mi disse: 
						“Una donna senza mutandine è una donna già presa.”
 
 Eh già lei in quel ristorante aveva già fatto 
						l’amore con me, ignaro di tutto. Si era bagnata, si era 
						toccata a mia insaputa, aveva goduto sorseggiando quel 
						buon calice di vino rosso. Aveva sorriso, risposto alle 
						mie domande, replicato alle mie risposte, a quale fosse 
						la nostra missione. Forse per lei era già sufficiente e 
						magari non si sarebbe mai aspettata quella mia reazione 
						su quelle scale. E invece eravamo proprio lì, in bilico, 
						precari, su quelle scale, stringevo una donna nuova, 
						molto più grande di me, un nuovo profumo, dolciastro e 
						ricco di seduzione. Stringevo il suo sesso caldo, ancora 
						umido per un orgasmo lungo quanto il nostro tragitto di 
						ritorno. Ero allibito per il mio coraggio e altrettanto 
						per la facilità con la quale ci eravamo dichiarati. 
						Avevo tutta la sua intimità nella mia mano e contro quel 
						muro assaporavo il gusto dell’attesa e a breve la nostra 
						intimità segreta in una delle due stanze. Lei mi fissò 
						negli occhi e quasi dispiaciuta mi implorò: “Ma io ho 
						già fatto l’amore con lei.”
 
 Rimasi per un attimo 
						a pensare. Non volevo aggiungere nulla a quella magia, a 
						quel miracolo che l’aveva già sciolta, perché, pensai, 
						l’oblio è e mai sarà e ogni persona ha il suo modo di 
						raggiungerlo. Ma lei sorrise: “La prego non cerchi la 
						chiave della stanza.” Poi mi prese per mano e scendemmo 
						una rampa di scale. Scivolammo in una penombra 
						silenziosa entrando prima in una stanza di servizio 
						piena di scatoloni e poi nella cucina dell’hotel.
 A 
						quel punto senza parlare lei si tolse il soprabito, 
						rimase in un trasparente babydoll bianco, poi puntò i 
						suoi tacchi sul pavimento, si appoggiò contro una 
						credenza e sollevò quei merletti. Era nuda. Mi sussurrò: 
						“Prima mi sono lasciata andare perché non credevo di 
						essere l’oggetto delle sue attenzioni.” Poi mi portò a 
						sé avvicinando la sua bocca: “Lei è un illuso, cosa mai 
						crede di trovare tra le cosce di una signora matura?”
 Già cosa stavo cercando se non la risposta a quale fosse 
						la nostra missione… ma non risposi perché non era una 
						domanda, ma semplicemente un invito.
 
 Lei chiuse 
						gli occhi e disse: “La prego mi prenda qui, dentro 
						questa cucina, godiamoci questo presente, perché tra 
						qualche minuto sarà già futuro e quello non ci 
						appartiene. Venga nel mio Paradiso, la prego, si goda la 
						coda di questo lungo strascico di orgasmo.”
 La 
						presi.
 Solo a quel punto capii cosa lei intendesse e 
						quale fosse la nostra missione, ovvero fare l’amore in 
						quel modo, anzi fare sesso buono senza spazio e tempo, 
						cause e ragioni come in un sogno, come fosse un qualcosa 
						di imponderabile, senza per questo coinvolgere i nostri 
						mondi, i nostri ruoli per poi tornare tranquillamente 
						nelle nostre stanze separate.
 Così fu.
 Non 
						dimenticherò mai quel bacio, il più lungo in assoluto di 
						tutta la mia vita! Le nostre bocche si unirono per tutto 
						il tempo che facemmo l’amore. Succhiai la sua anima e 
						lei tutta la mia passione, finché un urlo muto e 
						simultaneo ci diede il segnale della fine della nostra 
						missione.
 
 Non ci salutammo.
 Lei risalì le 
						scale lentamente e rientrò nella sua stanza, avrebbe 
						chiamato suo marito, gli avrebbe detto che era andato 
						tutto bene, che aveva cenato con un collega in un 
						meraviglioso ristorantino vicino Piazza delle Erbe, che 
						ora aveva una gran voglia di dormire e poi avrebbe 
						riattaccato dicendogli “Buonanotte Amore!” Rimasi in 
						quella cucina finché lei non chiuse la porta, poi 
						risalii le scale. Anch’io sarei rientrato nella mia 
						stanza, avrei chiamato mia moglie, le avrei detto che 
						era andato tutto bene, che avevo cenato con una collega 
						in un meraviglioso ristorantino vicino Piazza delle 
						Erbe, che ora avevo una gran voglia di dormire e poi 
						avrei riattaccato dicendole: “Buonanotte Amore!”
 
 
 
 |  
 
 
  
 
 Pur basato 
							su temi ricorrenti
 questo racconto 
							è opera di pura fantasia.
 Nomi, personaggi e 
							luoghi sono frutto
 dell’immaginazione 
							dell’autore e non sono da
 considerarsi reali. 
							Qualsiasi somiglianza con
 fatti, scenari e 
							persone è del tutto casuale
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