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GIALLO PASSIONE

Miranda Ferrante
(1960 Montecatini
Terme)
LA MISTERIOSA MORTE DELLA BALLERINA
La denuncia del
figlio: «Mia madre morì in circostanze
sospette, sono convinto che venne assassinata,
ma il caso fu insabbiato. 60 anni dopo,
ho scoperto cosa accadde... In quell'albergo non
era sola. Con lei, durante l'agonia, c'era
un uomo. Si tratta di un personaggio noto,
un industriale romano, all'epoca già
sposato»..
(1941 –
1960)

Era l'estate del 1960, Mina
cantava "Tintarella di luna" e Caterina Valente
"Personalità". Era un'estate afosa e luccicante come i
lustrini sui costumi delle ballerine, quando Montecatini
Terme si trasformava in un palcoscenico a cielo aperto
per la borghesia romana in fuga dalla calura della
Capitale e dagli echi delle manifestazioni di piazza
contro il governo Tambroni. Di giorno le
terme gorgogliavano di acque curative, i viali alberati
brulicavano di signore in tailleur di lino e signori con
panama calati sugli occhi. La notte invece, il Kursaal,
il locale notturno più esclusivo della città, esplodeva
in un turbine di twist e champagne. Lì, tra i tavoli
di marmo e i divani di velluto rosso, si esibivano le
soubrette come carne da macello insaccata in calze a
rete: gambe tornite, seni abbondanti, sorrisi che
promettevano serate bollenti e corpi di femmine che
danzavano al ritmo di un'Italia in pieno boom economico,
dove il sogno americano si mescolava al profumo di pasta
al pesto e sigarette Nazionali.
Miranda Ferrante
era una di loro, la più abbagliante decisa, su quel
palco, a ritagliarsi uno spicchio di luce propria. Nata
nel 1941 a Colleferro, un paesino operaio tra le colline
laziali, dove sua madre stirava camicie in una fabbrica
di esplosivi e suo padre curava i giardini dei signori.
Miranda aveva frequentato solo la terza elementare, ma i
libri non le servivano: aveva gli occhi grandi, neri
come olive mature, e gambe che sembravano scolpite da un
dio malizioso.
A sedici anni era scappata di
casa con una valigia di cartone e un sogno più grande
del Colosseo: diventare attrice, calcare i palcoscenici
veri, quelli di Cinecittà. Ma Roma, con i suoi vicoli
affollati e i caffè di via Veneto, l'aveva accolta come
ballerina. Dall'Ambra Jovinelli al Volturno, dai night
club polverosi ai locali alla moda, Miranda si era fatta
strada a forza di sorrisi maliziosi e passi di
cha-cha-cha. A diciannove anni era una soubrette sexy e
determinata, con un guardaroba di vestiti attillati,
gioielli falsi che brillavano come veri, e abbastanza
soldi per viaggiare nei vagoni di seconda classe fino a
Montecatini, dove la stagione estiva prometteva
contratti grassi e ammiratori danarosi.
Quell'estate del ‘60, Miranda divideva una stanza
angusta in un albergo modesto vicino alle terme con
altre due ballerine, ragazze come lei, sfuggite alla
miseria e desiderose di brillare come le stelle della
notte toscana. Di giorno provavano coreografie sudando
sotto un sole impietoso, di sera si trasformavano in
sirene al Kursaal. Miranda era felice, o almeno così
sembrava: rideva forte, fumava sigarette con il
bocchino, accettava inviti a cena da industriali e
avvocati romani. Guadagnava bene, mandava soldi alla
famiglia, non tanti, ma abbastanza per far sognare sua
madre di un futuro migliore.
E poi c'era il suo
segreto: un bambino di due anni, Maurizio, frutto di una
relazione clandestina a diciassette anni, con un uomo
che non aveva mai rivelato. Lo aveva lasciato a
Colleferro affidandolo a sua sorella.
La sera
del 12 luglio 1960 era una di quelle notti in cui
Montecatini sembrava un sogno febbrile. Il Kursaal era
gremito: trecento anime tra cui conti, ministri in
incognito, attrici in declino e nuovi ricchi con auto
decapottabili parcheggiate fuori. Come ogni sera la
bella Miranda entrò alle dieci e un quarto, avvolta in
un abito argentato. Diciannove anni, gambe che
tagliavano l’aria, occhi neri che non chiedevano
permesso, labbra rosse e un seno rigoglioso che cullava
i desideri del pubblico a stragrande maggioranza
maschile.
Colleferro era un ricordo sporco di
polvere e urla di fabbrica; Roma l’aveva sputata fuori
dai night di via Veneto con un contratto per l’estate
toscana. Ballava, sorrideva, ammiccava e incassava mance
in banconote piegate dentro il reggiseno. Nessuno sapeva
del bambino di due anni lasciato a casa. Tra quel
pubblico Miranda si esibì come sempre ballando un twist
frenetico che fece applaudire l'intera sala. I suoi
occhi grandi catturarono sguardi, i suoi fianchi
ondeggiarono al ritmo di un'orchestra che suonava
"Volare".
Il Kursaal era un acquario di squali,
trecento anime di industriali con mogli a casa e amanti
in albergo. Ma quella sera tra loro c’era un uomo che
fissava Miranda da un tavolo in disparte. Sigaro tra i
denti, anello d’oro che rifletteva la luce come una
lama, la mangiava con gli occhi. Lui era sposato,
potente con un nome che faceva tremare i camerieri.
Dopo lo spettacolo, Miranda scomparve nella folla,
come faceva spesso. Nessuno la vide uscire dal locale,
nessuno la vide rientrare in albergo da sola. Fu la
cameriera, una donna toscana robusta di nome Gina, a
trovarla alle sei del mattino dopo. La porta della
stanza era socchiusa, l'aria densa di un odore
dolciastro, come di medicine, sudore e vomito. Miranda
giaceva sul letto sfatto, nuda tranne un lenzuolo
appallottolato, il viso pallido come cera, pupille fisse
come vetri rotti, le labbra bluastre, in coma profondo.
Accanto a lei, sul comodino, un bicchiere con
fondo di whisky, un rossetto spezzato, una boccetta di
antistaminici quasi vuota, farmaci per l'allergia,
comuni tra le ballerine che soffrivano di raffreddori
estivi. Gina urlò, chiamò il medico dell'albergo, poi la
polizia.
Gina urlò. Il medico dell’albergo
arrivò immediatamente. Poi la polizia. Poi l’ospedale.
Miranda fu portata d'urgenza all'ospedale di
Montecatini, ma poche ore dopo, alle prime luci
dell'alba del 13 luglio, spirò. Il medico legale
appose una firma frettolosa sul certificato di morte:
overdose di antistaminici, abuso a scopo suicida.
Nessuna analisi del sangue. Nessuna autopsia. Il
fascicolo aperto alla Procura di Pistoia contro ignoti
chiuse prima del tramonto. Ma quella notte Miranda non
era sola.
Perché Miranda avrebbe dovuto
uccidersi? Era bella, giovane, con una vita davanti.
Guadagnava abbastanza per comprarsi un appartamento a
Roma, sognava di sfondare al cinema. Il suo bambino la
aspettava, e lei gli mandava giocattoli da ogni città.
La famiglia, povera gente di Colleferro, non poteva
permettersi avvocati.
Il piccolo Maurizio, due
anni appena, fu consegnato alle suore del brefotrofio
locale. Qualcuno continuò a pagare la retta mensile, un
misterioso benefattore che non si fece mai vivo. Dopo
qualche anno, il bambino fu affidato definitivamente
alla zia, la sorella di Miranda, una donna gentile che
lo crebbe come figlio suo. Maurizio crebbe credendo di
essere adottato, in una casa modesta con odore di
minestrone e preghiere serali.
Ma il seme del
dubbio era stato piantato. Anni dopo, nel 1953, lo
scandalo di Wilma Montesi aveva scosso l'Italia: una
ragazza trovata morta sulla spiaggia di Torvaianica,
nuda, con tracce di festini e potenti della Roma bene.
Dimissioni di ministri, pettegolezzi su via Veneto, un
caso insabbiato per proteggere i potenti. La morte di
Miranda odorava di un olezzo simile: un fascicolo
sparito dalla Procura di Pistoia, testimoni che
all'improvviso perdevano la memoria. Le ex ballerine,
ora madri di famiglia o cameriere, scrollavano le
spalle: "Non ricordo, era tanto tempo fa." I fotografi
del Kursaal, con i loro archivi polverosi, negavano di
avere scatti di quella notte.
Fu Maurizio a
scavare nella verità. Nel 1986, ottenendo il certificato
anagrafico, scoprì l'impensabile: non era adottato, era
il figlio di Miranda Ferrante, la ballerina morta in
circostanze misteriose. E il padre? Un vuoto, un buco
nero. Maurizio, operaio in una fabbrica come sua nonna,
iniziò una crociata personale. Scandagliò archivi,
intervistò vecchie conoscenze, pagò investigatori
privati con i suoi risparmi. Il fascicolo scomparso?
Bruciato in un "incidente" alla Procura. I testimoni?
Minacciati o comprati. Ma piano piano, come tessere di
un mosaico, emerse il quadro.
Miranda non era
sola quella notte. Nella stanza d'albergo, durante
l'agonia, c'era un uomo. Un industriale romano, noto nei
salotti della Capitale, già sposato con una donna di
famiglia altolocata. Un uomo che frequentava il Kursaal,
che offriva champagne e promesse di matrimonio. Qualche
testimone dimenticato si fece avanti e sussurrarono a
mezza bocca dopo anni di silenzio il nome dell’uomo del
tavolo in disparte con l’anello d’oro al dito. Lo vide
una ballerina ormai in pensione, lo sentì il barista del
locale, che servì due whisky doppi alle tre di notte, lo
ricordò il fotografo che scattò una polaroid poi fatta
sparire.
Quell'uomo era con lei quando Miranda
uscì dal locale, era con lei quando rientrò in albergo
ed era ancora con lei quando Miranda iniziò a sentirsi
male, dopo una serata di eccessi: farmaci mescolati ad
alcol, forse per calmare un litigio, forse per altro.
Non suicidio, ma omicidio? O incidente coperto per
proteggere un matrimonio, una reputazione, un impero
industriale?
Le somiglianze con Wilma Montesi
erano lampanti: belle ragazze ai margini del potere,
morti sospette, insabbiamenti per salvare un potente.
La chiave era tutta lì, un figlio mai riconosciuto,
Maurizio, il figlio di Miranda e di un industriale
anonimo che mandava bonifici. Maurizio non si arrese.
Sessant'anni dopo, nel 2020, con documenti ritrovati e
confessioni strappate, gridò la sua verità: "Mia madre
fu assassinata, il caso insabbiato." L'uomo anziano morì
e nessuno si ricordò di Montecatini e parlò del bambino
che fino ad allora aveva ricevuto i bonifici. Poi più
niente.
Ma l'eco di quella notte al Kursaal
riecheggia ancora, un twist macabro in un'Italia che
ballava sul filo del boom, dove i sogni delle soubrette
finivano spesso in un’overdose di silenzio. Il Kursaal
venne chiuso dieci anni dopo. Le luci al neon spente, i
tavoli marcirono, il jazz rimase solo un’eco nelle ossa
della città. Ma la notte, quando il vento passa tra le
terme vuote, si sente ancora un twist lontano e un urlo
che nessuno ha mai voluto ascoltare.
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IMMAGINE GENERATA DA IA IL RACCONTO E' LIBERAMENTE TRATTO DALLA
STORIA DI MIRANDA FERRANTE
FONTI:
Fabrizio Peronaci per il “Corriere della Sera -
Edizione Roma” https://roma.corriere.it/notizie/cronaca
/20_gennaio_12/miranda-ferrante- Nicoletta Appignani
https://www.lanotiziagiornale.it/il-giallo
-della-ballerina-il-nuovo-caso-montesi/


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