È notte fonda, fuori Roma è sotto una pioggia battente, al terzo piano
dello stabile centrale della Procura di Roma la dottoressa Ambra Comi,
sostituto procuratore, sta sorseggiando un caffè. Un attimo di pausa per
poi immergersi di nuovo in quei faldoni di carte, foto, documenti e
rilievi scientifici finora raccolti della vicenda criminosa che le è stata
affidata.
Legge e rilegge quelle carte. Ora sta osservando la foto
di Davide Ferro, capelli bianchi e occhi profondi azzurro mare, uno
stimato dermatologo di 57 anni con studio nel quartiere residenziale
dell’Eur in viale dell’Umanesimo. È sposato da 27 anni con Claudia
Giacomi, professoressa di italiano e latino alla scuola media Parrini. I
due si sono conosciuti ad una festa di amici, durante i festeggiamenti del
nuovo anno. Era il primo gennaio del 1990. Praticamente un colpo di
fulmine, dopo tre mesi si sono sposati andando ad abitare in un lussuoso
appartamento in affitto sempre in zona Eur. Dopo due anni, grazie ad una
consistente eredità di un lontano parente di lei, sono andati a vivere in
una bella villa a schiera fronte mare di loro proprietà nella zona di
Ostia. Dopo circa venti anni sono ancora insieme, nel frattempo hanno
avuto due figli maschi, due cani e quattro gatti. Appassionati d’arte e
cucina hanno viaggiato molto, risultano membri del Lions Club del locale
distretto e hanno partecipato a diverse iniziative benefiche. Insomma una
coppia all’apparenza tranquilla e benestante.
Quindi tutto bene
finché un venerdì del 12 Dicembre del 2010, rientrando in casa a bordo
della sua bella BMW, Davide Ferro si accorge che il telecomando del
cancello è scarico per cui ferma la macchina davanti alla sua villa e
scende. Prima di aprire il cancello con la chiave incontra il suo vicino
di casa, a passeggio col cane, e si ferma a parlare con lui. Parlano del
più e del meno, un accenno alla squadra di calcio locale, prima in
classifica, e poi di certi lavori di manutenzione del manto stradale e
della rete elettrica. Mentre stanno per salutarsi Davide Ferro vede con la
coda dell’occhio un uomo incappucciato che sta scavalcando la siepe della
sua casa e poi in tutta fretta si allontana lungo la stradina che porta
alla spiaggia.
Davide non lo ferma, non urla e non segue l’uomo, ma
preoccupato apre di fretta il cancello pedonale con la chiave ed entra
immediatamente nel giardino. Affannato percorre il vialetto a piedi e
chiama la moglie: “Claudia, Claudia sei in casa?” Ma Claudia non risponde.
Lui nota la grata della porta di servizio insolitamente aperta, allora di
corsa entra in casa, si dirige verso la sala e poi la cucina e purtroppo
fa una terribile scoperta: sua moglie immersa in una pozza di sangue è
distesa sul pavimento della cucina. Grida, cerca di rianimarla, poi chiama
il 112. A detta dell’operatore l’uomo è piuttosto agitato tanto che non
ricorda l’indirizzo di casa. Urla soltanto di fare in fretta. La
telefonata viene subito localizzata e sette minuti dopo i soccorsi
arrivano sul posto. Tentano di rianimarla, ma purtroppo la donna non
respira. Tentano di nuovo, ma Claudia Giacomi non risponde perché è stata
sgozzata con un grosso coltello e purtroppo per lei non c’è nulla da fare,
il medico non può che accertarne la morte.
Le indagini affidate
appunto al sostituto procuratore Ambra Comi vanno avanti per alcune
settimane, si esclude immediatamente il movente della rapina in quanto la
casa al momento dell’omicidio risulta essere in ordine, non ci sono
effrazioni, i cassetti sono tutti chiusi e tra l’altro non risulta che sia
stato rubato alcun gioiello né tanto meno la somma in contanti di circa
duemila euro che la donna teneva in un cassetto della sala da pranzo.
Vengono ascoltati i colleghi della vittima, alcuni vicini e parenti, tutti
escludono che la donna potesse avere una relazione sentimentale parallela,
circostanza confermata anche dall’analisi del cellulare di lei per cui
viene scartata anche l’ipotesi del movente passionale.
Davide Ferro
e i figli della coppia vengono interrogati più volte finché salta fuori
che il marito della professoressa Claudia Giacomi non è uno stinco di
santo. Per ben due volte la donna ha dovuto ricorrere alla cure dei
sanitari per percosse. I vicini di casa e soprattutto il medico di
famiglia confermano la circostanza anche se la donna in entrambe le
occasioni non ha sporto denuncia affermano che quei lividi erano frutto di
cadute accidentali e altro. Ma gli stessi figli della coppia confermano
che il loro padre, spesso a cena, dopo aver bevuto qualche bicchiere di
troppo, alzava le mani sulla loro madre per motivi irrisori, chiamandola
troia, cretina ed altro. Lei di solito non reagiva chiudendosi in bagno
piangente. I figli però non conoscono la vera ragione di quelle violenze,
sanno solo che tra il padre e la madre non corre buon sangue, ma ignorano
il motivo scatenante che salterà fuori nel corso delle indagini soltanto
successivamente.
Quindi scartata l’ipotesi del ladro e del delitto
passionale le indagini prendono un indirizzo specifico, a quel punto
vengono riesaminati nuovamente gli istanti che precedono e seguono il
delitto e tutti gli elementi che, in un certo qual modo, potrebbero
condurre all’incriminazione del dermatologo. Purtroppo in casa non viene
trovata l’arma del delitto e i vestiti di Ferro sono intrisi di sangue,
dovuti al tentativo di rianimare la moglie negli minuti che precedono
l’arrivo dei soccorsi. Ma ci sono dei particolari che non quadrano e sono
messi sotto esame. È a questo punto che Ambra Comi scopre che dalla
chiacchierata col vicino alla chiamata al 112 sono trascorsi ben 18 minuti
e che la donna ha avuto un rapporto sessuale poco prima di soccombere al
suo assassino. Il medico legale dai rilievi non trova tracce di sperma, ma
afferma con sicurezza che il rapporto non può risalire alla sera
precedente. Con chi ha fatto l’amore Claudia Giacomi?
Altro
particolare è la circostanza dell’incappucciato che scavalca la siepe. Il
fatto non viene confermato dal vicino di casa e le telecamere installate
in giardino risultano inattive a causa di un guasto da oltre due
settimane. Davide Ferro interrogato su quei particolari conferma che il
vicino potrebbe non aver visto l’incappucciato scavalcare, conferma di non
fare l’amore con sua moglie da tempo immemorabile e ovviamente di non
avere avuto quel giorno alcun rapporto sessuale con lei, avendola trovata
in una pozza di sangue. Conferma inoltre di aver attraversato di corsa il
giardino e alla vista del cadavere di aver chiamato immediatamente i
soccorsi per cui, si chiede Ambra Comi: “Cosa ha fatto Davide Ferro in
quei diciotto minuti?”
Unico indizio che disturba l’ipotesi di un
ennesimo femminicidio avvenuto in famiglia è un brandello di pelle umana,
trovato sotto le unghie della vittima, che non corrisponde al DNA del
marito e non a quelli del ragazzo addetto alle consegne di regali di
Natale e al postino, ovvero le due persone che in quel pomeriggio hanno
bussato a casa Ferro, i quali non indagati si sono comunque sottoposti
all’esame.
Ambra Comi non si dà per vinta, decide per il momento
di mettere da parte quell’indizio e scavando nella vita dell’uomo e in
particolare dall’analisi degli SMS nel suo cellulare e delle sue email
viene a scoprire che Davide Ferro ha una storia parallela con una giovane
assistente del suo studio. Da quel materiale Ambra Comi ricostruisce tutta
la storia: Sabrina Vinci è una bellissima ragazza di appena diciannove
anni, studentessa di Psicologia a Roma III, per mantenersi gli studi va
tre pomeriggi a settimana nello studio del dermatologo. Dai messaggi e
dalla testimonianza dell’anziana segretaria di Ferro, viene fuori che il
dermatologo, innamorato della giovane, per trattenerla in quella
relazione, le promette a chiare lettere che lascerà prima o poi la moglie
per vivere insieme a lei. Sabrina all’inizio è dubbiosa e sicuramente non
disposta, in quanto fidanzata, a intrecciare una relazione col suo capo.
Ma Davide Ferro insiste, i suoi messaggi si fanno sempre più romantici e
pieni di premura per la ragazza, i mazzi di rose diventano sempre più
abbondanti e di un colore rosso deciso, finché dopo un litigio col suo
ragazzo, Sabrina accetta un invito a cena. Per dare più veridicità al suo
sentimento il dermatologo quella sera non ci prova, la riaccompagna a casa
senza alcun tentativo di approccio, ma da lì la strada per lui si fa
rapidamente tutta in discesa, tanto che Sabrina la sera seguente si lascia
andare e insieme consumano il loro primo rapporto in un motel della zona.
Quando ormai la relazione è conclamata i due amanti si intrattengono nello
studio, di solito il lunedì e il giovedì sera, dopo le visite. Fanno
l’amore, nonostante lei abbia ancora una relazione affettiva con il suo
ragazzo.
A quel punto il sostituto procuratore decide di
interrogare la ragazza. Sabrina Vinci conferma la relazione e il proposito
di convolare a nozze col dermatologo, cosa ancora più fattibile dopo la
morte della signora Claudia. Ammette però che dal giorno del delitto i due
non si sono più visti, anzi lui le ha anche proibito di andare nel suo
studio pur dandole il dovuto, circostanza che lei spiega per il dolore
dell’amante per la perdita della moglie escludendo sdegnata qualsiasi
altra ipotesi.
A domanda specifica descrive Ferro come un tizio molto
passionale al limite del morboso, ammettendo, incalzata dagli inquirenti,
che anche con lei spesso il Ferro non esitava ad alzare le mani,
scusandosi immediatamente dopo e alle volte, addirittura, chiedendo
umilmente perdono in ginocchio. Dall’alto dei suoi studi non può non
constatare che il suo amante abbia una personalità piuttosto instabile e
per questo motivo quei cambi umore troppo repentinamente. Racconta poi di un
episodio in cui il Ferro aggredì e malmenò il suo ex ragazzo sotto il
portone della sua abitazione minacciandolo di morte se avesse ancora
frequentato quella che lui riteneva la sua donna. Dopo quell’episodio e
venuto a conoscenza di tutta la relazione, il ragazzo aveva lasciato
definitivamente Sabrina.
Conclusa la fase preliminare Ambra Comi,
seppur in assenza di prove schiaccianti sull’omicidio e nella totale
mancanza di altri indiziati, rinvia a giudizio l’imputato con l’accusa di
aver ucciso sua moglie. Due giorni dopo Davide Ferro a bordo della sua BMW
e in compagnia di una donna francese viene fermato dalla polizia di
frontiera di Ventimiglia. Portato negli uffici della questura dichiara di
essere diretto a Parigi per un week end di piacere escludendo ogni
intenzione di fuga. Ovviamente gli inquirenti non credono a quella
versione e lo arrestano.
Sei mesi dopo inizia il dibattimento che
termina con la richiesta di condanna all’ergastolo dell’indiziato. La
difesa sicura dei fatti non chiede il rito abbreviato insistendo sul tizio
incappucciato che scavalca la siepe e soprattutto su quel brandello di
pelle trovato sotto le unghie della vittima, ipotizzando così una rapina
non portata a compimento a causa del sopraggiunto arrivo del marito della
vittima. L’accusa invece insiste sulla vita parallela del Ferro e della
sua intenzione di sposare l’amante e non ottenendo la separazione
consensuale, oggetto di furibonde litigate tra moglie e marito, decide di
disfarsi della moglie uccidendola.
Ambra Comi ricostruisce in aula
quei diciotto minuti, ovvero da quando il Ferro entra in casa e la moglie
è ancora viva. La donna sta lavando i piatti ed è di spalle alla porta.
Lui entra in cucina, la prende da dietro e la convince ad avere un
rapporto sessuale sul pavimento durante il quale la immobilizza e alla
fine le taglia la gola. L’arma del delitto è sicuramente uno dei tanti
coltelli che la donna tiene in bella mostra sul piano cucina. I giudici a
quel punto si riuniscono in camera di consiglio, ma prima che emettano la
sentenza avviene un fatto nuovo.
*****
Uno studente
di medicina legale, un certo Francesco Orefice, prendendo in esame alcuni
campioni di DNA per la sua tesi, scopre casualmente che il DNA rilevato
nel campione trovato sotto le unghie della vittima Claudia Giacomi
corrisponde, perfettamente e senza ombra di dubbio, ad un altro DNA
trovato sempre tramite un brandello di pelle umana sotto le unghie di una
donna uccisa nove mesi prima del secondo delitto. Dalla scheda allegata lo
studente Orefice scopre che le modalità di quell’assassinio sono
esattamente le stesse. La donna Carla Manticone, di 56 anni e non sposata,
è stata prima violentata e poi sgozzata nella sua abitazione. Anche in
quel caso la donna era stata trovata cadavere distesa sul pavimento della
cucina. Dagli atti risulta che un pescatore che passeggiava lungo il
canale antistante la casa aveva affermato con sicurezza di aver visto un
uomo uscire dalla villa con un grosso cappuccio scuro in testa. Il delitto
era avvenuto in zona Tor San Lorenzo, una località di mare e di
villeggiatura, distante circa 30 km dalla casa del dermatologo.
A
quel punto lo studente avverte immediatamente il suo professore e da lì la
notizia arriva prima alla questura e poi sul tavolo del sostituto
procuratore Ambra Comi la quale avverte immediatamente i giudici del
processo in corso. I giudici prendono atto dei nuovi elementi e dispongono
immediatamente di sospendere il processo e danno incarico al procuratore
di acquisire agli atti la documentazione delle precedenti indagini,
sospese a suo tempo per mancanza di indiziati.
Davide Ferro in
custodia preventiva viene immediatamente scarcerato e i giornali del luogo
escono in prima pagina con il titolo a caratteri cubitali: “Il Serial
Killer di Ostia”. Con ampi articoli si pone l’accento sulle stesse
modalità dei due delitti e soprattutto nei pezzi in cronaca si invitano le
donne in casa a chiudere porte e finestre alimentando così una vera
psicosi di un fantomatico serial Killer che sgozza ed ammazza le sue
vittime in cucina.
La notizia così diffusa stimola la fertile fantasia
criminale di vari mitomani. Arrivano in Procura, nelle redazioni dei
giornali e al Commissariato di zona varie lettere composte da caratteri di
giornali in cui si indicano diversi possibili autori dei due delitti.
Oppure gente che si autoaccusa anticipando a breve un altro delitto. La
polizia decide di intensificare la vigilanza, soprattutto notturna,
specialmente nelle stradine periferiche ed isolate dove sono presenti
villette a schiera. Alcuni fogli locali inattendibili addirittura
diffondono altezza, peso e un falso identikit dell’uomo con tanto di
cappuccio. Cosa per altro assolutamente non veritiera in quanto Davide
Ferro e il pescatore hanno sempre dichiarato di non aver mai visto
l’incappucciato in volto. Nella speranza di una cattura imminente qualcuno
decide di non uscire di casa, le donne sole si fanno istallare da ditte
specializzate grate e sistemi di sicurezza in casa, altri infine si
organizzano in gruppi e danno luogo a presidi e fiaccolate notturne.
Intanto in procura, alla presenza dello stesso Dna e quindi in
presenza di un unico colpevole, si decide di unificare i due casi. Ambra
Comi concentra tutti i suoi sforzi per stabilire esattamente i punti
coincidenti, confronta e studia le dinamiche e i rilievi scientifici,
interroga di nuovo i testimoni, in primis Davide Ferro e il pescatore,
ponendo l’accento questa volta sul famoso incappucciato, figura
decisamente trascurata nella precedenti indagini, ma, come in una vicenda
processuale che si rispetti, sarà il caso fortuito a indirizzare le
ricerche nella giusta direzione.
Francesco Orefice, lo studente di
medicina legale, che dal giorno della scoperta dei due DNA perfettamente
uguali, ha iniziato a seguire il caso, rilascia interviste ed è indicato
dai giornali come un vero e proprio eroe. Da quel giorno non si perde
neanche un minuto delle udienze, prendendo appunti e conducendo una sua
indagine personale. Tramite il padre, comandante del locale Corpo dei
Vigili Urbani, viene a scoprire un particolare all’apparenza
insignificante ossia che Davide Ferro risulta moroso per due multe non
pagate e contestate all’incirca due anni prima. Per puro caso decide di
approfondire la circostanza, trascurata dalle indagini ufficiali della
Procura, e scopre casualmente che una di quelle due multe è stata
contestata per un divieto di sosta rilevato alle ore 23:27 in via del
Piroscafo nel comune di Ardea, ovvero il comune che comprende la località
di Tor San Lorenzo. Consultando la mappa della zona scopre che Via del
Piroscafo è l’ultima traversa a destra di via delle Baleniere, ossia la
strada in cui abitava la prima vittima Carla Manticone.
Riferisce
tramite email la strana coincidenza al procuratore. Ambra Comi sente di
avere in mano la chiave a lungo cercata e mette alle strette Davide Ferro.
Convocato in Procura il dermatologo non può che confermare la circostanza
della multa e sostiene che, essendo un pescatore dilettante, alle volte si
recava presso quel tratto di canale, lungo il quale parcheggiava la sua
auto. In effetti, da informazioni raccolte sul posto, viene fuori che quel
canale alquanto pescoso è meta di diversi pescatori della zona, ma Ambra
Comi quella sera da sola nella sua stanza della Procura si sta domandando:
“Davide Ferro e Carla Manticone si conoscevano?” Legge e rilegge le carte:
la donna viveva sola in quella villetta davanti al canale e piuttosto
fuori mano, aveva dei parenti lontani vicino Padova, per cui nessun
testimone convocato in Procura poteva confermare i suoi sospetti o quanto
meno stabilire quel legame tra i due. Ovvio che, se confermata, la
circostanza avrebbe dato nuova linfa alle indagini e di sicuro avrebbe
fatto prendere una nuova piega alle indagini.
Quindi non si dà per
vinta, il giorno dopo mette a soqquadro le case di Ferro e della
Manticone, migliaia di bollette, fogli sparsi, agende, dediche sui libri,
lettere, fotografie, scontrini della spesa, ma nulla, nessun elemento
certifica la conoscenza tra i due. Nessun scambio di email tra i due,
nessun numero sulla rubrica del telefono del Ferro corrisponde alla Sim
ormai chiusa della vittima. La vittima tra le altre cose non lavorava, ma
viveva con la rendita di due appartamenti affittati nella provincia di
Padova per cui nessun collega, vicino o conoscenza era al corrente della
sua vita privata.
Alla fine Ambra Comi è costretta a lasciare la
pista, ma si chiede se sia possibile che uomo indagato per l’omicidio
della moglie possa, mesi prima, parcheggiare la propria auto a qualche
centinaio di metri dalla casa di una donna uccisa con le stesse modalità e
che sotto le unghie presentava lo stesso Dna dell’altra vittima! Nessuno
mai le toglierà dalla mente che l’incappucciato, non visto dal vicino del
secondo delitto, ma visto dal pescatore del primo delitto abbia un solo
volto, ovvero quello di Davide Ferro! Purtroppo però il processo, a fronte
dell’assenza di un legame tra i due delitti e soprattutto della risonanza
mediatica ormai sicura di un Seria Killer, non può che concludersi con un
nulla di fatto.
Nel frattempo Francesco Orefice si è laureato a pieni
voti portando come tesi proprio quella vicenda e tramite un concorso
interno è stato accolto a braccia aperte in Polizia.
La notizia del
Serial Killer ad Ostia, in assenza di altri fatti, pian piano si sgonfia,
la gente pur in assenza del colpevole, si dimentica della vicenda.
*****
È un pomeriggio inoltrato di dodici anni dopo, un
uomo piuttosto anziano sta passeggiando col suo cane sul lungomare di
Ostia. Respira l’aria di mare, ma è inquieto. Ogni tanto si ferma, parla
col cane, poi pensa, davanti a lui, dall’altra parte della strana c’è un
edificio giallo con una grande scritta bianca e blu: POLIZIA.
È
Davide Ferro che nel frattempo si è rifatto una vita e si è sposato
nuovamente, ma non con Sabrina Vinci. All’età di sessantadue anni è andato
in pensione e ora si gode il meritato riposo tra Roma e Parigi, ma un bel
giorno, un banale martedì di agosto scopre di avere un tumore e che il
tempo di vita è veramente esiguo per cui volendo morire in pace, pensa di
sgravarsi la coscienza. E quindi quel giorno attraversando quel lungomare
decide di entrare nel commissariato chiedendo di Francesco Orefice, sì
proprio lui, lo studente di medicina legale che nel frattempo è diventato
un brillante ispettore di Polizia.
Orefice lo accoglie nella sua
stanza ed è visibilmente sorpreso per quella visita. Dopo i convenevoli
del caso Davide Ferro tira fuori dalla tasca una innocua e banale foto in
bianco e nero di classe della III B del Liceo Maniero.
“Ecco vede
Dottor Orefice? Se durante quel sopralluogo i collaboratori del
procuratore avessero prelevato anche questa foto per me non ci sarebbe
stata via di scampo, ma evidentemente hanno giudicato una foto di classe
troppo banale per essere oggetto di indagine. Guardi qui! Questo in piedi
sono io, il terzo da sinistra, mentre questa bella ragazza seduta proprio
sotto di me è Carla Manticone.”
Orefice osserva attentamente la foto.
“Vuole dirmi che questo è l’anello mancante che la dottoressa Comi ha
cercato per anni?”
“Esatto. Avevo passato mesi, prima della morte
di mia moglie, a distruggere ogni tipo di legame che potesse far risalire
alla nostra conoscenza, dimenticandomi però di questa foto.”
“In
effetti ci è riuscito ampiamente…”
“Esatto, avevo fatto in modo
che i soli anelli di congiunzione dei due delitti fossero l’incappucciato
e il brandello di pelle sotto le unghie delle vittime.”
“Mi faccia
capire, dopo dodici anni è qui per confessare di essere lei il colpevole
dei due delitti?”
“Ora non c’è ombra di dubbio. Questa foto è
quello che cercavate no?”
“E perché mai si è deciso solo ora?”
“I casi della vita sono identici ai casi processuali. È il destino a
guidare entrambi.”
“Eh no Ferro, se è vero quello che dice, lei in
questi anni si è divertito a giocare con la giustizia. Chi mi dice che
anche in questo caso lei non continui a prendersi gioco di noi.”
“Lei dice?”
“Dico!”
“Beh non direi propriamente un gioco,
diciamo che ogni accusato ha la facoltà di difendersi usando tutte le armi
possibili ed io l’ho fatto e a quanto vedo ci sono riuscito!”
“Mi
ascolti Ferro, lei potrebbe aver conosciuto la signora Manticone, esserne
stato anche l’amante, ma non per questo essere il suo assassino, del resto
l’esame del DNA lo ha scagionato totalmente…”
“Dottor Francesco,
lasci perdere, mi spiace che la dottoressa Comi sia andata in pensione.
Avrei voluto confessare a lei, guardandola negli occhi, che i due delitti
erano stati preparati nei minimi dettagli.”
“Questo cosa c’entra?”
“Lei lo sa vero che sono un dermatologo? Al tempo la dottoressa, sempre in
cerca dell’anello mancante, le è sfuggito questo particolare.”
“In
effetti…”
“Aveva la soluzione a portata di mano, ma non è stata
capace di fare uno più uno due e pensare che essendo uno del campo non mi
sarebbe stato difficile prelevare un campione di pelle dalla stessa
persona e utilizzarlo per i miei scopi, ossia conficcandolo sotto le
unghie delle due povere donne una volta uccise.”
“Posso sapere
perché le ha uccise?”
“Al tempo avevo perso la testa per una
ragazzina di nome Sabrina, Carla si era accorta di lei per cui mi
minacciava di dire tutto a mia moglie e alla stessa Sabrina. Per quanto
riguarda mia moglie invece, lei non voleva concedermi il divorzio, per cui
non ho fatto altro che replicare le modalità del primo delitto,
riutilizzare lo stesso campione di pelle e ripetere la storia
dell’incappucciato ossia la testimonianza del pescatore.”
“Per
questo motivo si uccide?”
“A volte anche per meno, ma tenendo
conto che è stato tutto inutile, visto che poi Sabrina non ha voluto
sapere più nulla di me, potrei dirle che sono davvero pentito, ma dopo
dodici anni non servirebbe a nulla. O ci si pente subito oppure il
pentimento non ha alcun senso. Diciamo che voglio vivere anzi morire in
pace con me stesso.”
“Lei lo sa vero che dovrò immediatamente
riferire questa sua confessione…”
“Sono vecchio e malato e poi
l’assassino torna sempre sul luogo del delitto e nella maggior parte dei
casi dà una grossa mano alle indagini… ed io sono ben felice di aver
contribuito alla risoluzione del caso.”
“Purtroppo anche alla morte
delle due donne…”
“La morte lava le coscienze e in questo caso
anche la mia.”
“Comunque il caso verrà riaperto…”
“Sono
qui per questo.”
FINE