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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Il pezzo






Photo Remy Perthuiso
 


 
 


Poi andò come andò, ma Lisa mentre raccontava la sua storia dentro quella stanza fumosa pensò che il suo racconto non fosse poi così interessante. Già altre volte aveva provato a farsi pubblicare dei suoi racconti, ma con scarso successo. Quell’affascinante e incorruttibile Direttore, che corrispondeva al nome di Massimo Cloody, caporedattore della rivista “The Dream”, poco avvezzo al fascino femminile, aveva sempre declinato con estrema professionalità le sue proposte artistiche.

Questa volta però Lisa era più decisa, prima di entrare in quella stanza si era più volte detta che per nulla al mondo sarebbe uscita da lì senza la conferma della pubblicazione per cui non le rimase altro che giocarsi tutte le sue carte. Prese dalla borsa il suo rossetto e si dipinse le labbra di un rosso intenso quasi scarlatto. Poi tirò indietro la poltrona su cui era seduta in modo che il suo affabile interlocutore potesse ammirare le sue belle gambe formose, ammantate dalla seta color carne delle sue calze appena comprate da Barney’s, il grande magazzino sulla 17° Strada.

Dalla finestra semi aperta provenivano i fumi e i rumori del traffico intenso dell’ora di punta. Lisa in quell'istante si domandò quanto ancora il Direttore dovesse ammirare le sue gambe per esprimere un giudizio lusinghiero sul suo racconto. Certo non aveva esperienza, ma era sicura di potersi giocare tutte le sue chance confidando nel valore artistico complessivo del suo racconto e soprattutto delle sue cosce.

Il pezzo in questione, se lui avesse voluto, sarebbe potuto andare in stampa la sera stessa e pubblicato per l'edizione domenicale. Pensò a quanta smisurata gioia avrebbe provato vedendo il suo nome alla fine della pagina e quanto avrebbe fatto crepare d’invidia Rosye, Rachel, Dorothy e tutte le altre sue amiche di Greenpoint.

Certo lei non aveva ancora un nome come scrittrice, anche se fin da bambina aveva sempre scritto ed a scuola aveva sempre riportato buoni voti, ma tutti i suoi precedenti racconti erano miseramente finiti in quel cestino di metallo sotto la bella scrivania di noce di Mister Cloody. Del resto lei faceva la parrucchiera, anzi la shampista nel negozio di Katherine, l'amica di sua madre e ahimè amante di suo padre, ma questo lo era venuto a sapere, suo malgrado, solo dopo che Katherine l'aveva accolta nel suo bel salone sulla Manhattan Avenue.

Era successo una sera di pioggia, quando, tornando indietro per riprendere l’ombrello dimenticato nel negozio, aveva sentito delle voci provenire dal piccolo bagno in fondo al salone. Più che voci erano lamenti inconfondibili d’amore, più che lamenti erano veri e propri gemiti passionali d’orgasmo imminente, più che lamenti erano parole come troia e puttana senza virgole e punti. Curiosa si era avvicinata lentamente senza fare rumore e spiando da una piccola fessura aveva visto la bella Katherine di spalle appoggiata al lavandino con la gonna arrotolata fino ai fianchi. Attraverso lo specchio aveva guardato nei dettagli la sua faccia, stravolta dal piacere, e il suo bel corpo di cinquantenne ammantato in una meravigliosa lingerie di pizzo e merletto. Ma soprattutto in quei frammenti riconobbe immediatamente in suo padre l’uomo che dietro il bel sedere di Katherine consumava tutte le sue energie di maschio affamato.

Ovviamente, tornata a casa, non aveva detto nulla a sua madre, ma quella visione le rimase impressa per settimane e settimane fino a quando lesse su una rivista che la migliore cura per scrollarsi di dosso traumi e disagi mentali era scrivere esattamente l’accaduto e in qualche modo farlo proprio. Così fece, ma la fantasia di Lisa andò oltre e allora iniziò a infarcire di dettagli più succosi quell’esperienza, non trascurando antefatti, cause e successivi incontri sempre più morbosi, fino a quando si convinse che quegli appunti sarebbero potuti diventare un vero e proprio racconto di appendice per signore sposate in proverbiale astinenza e quindi avide lettrici di storie succulenti.

Ora era lì, alle sei del pomeriggio, la stanza era piombata in una inquietante penombra e allora Mister Cloody per facilitarle la lettura, ma soprattutto per ammirare le sue gambe aveva acceso la piccola lampada verde sulla sua scrivania. Addirittura le offrì prima un caffè e poi una caramella alla menta mentre lei continuava a leggere, cercando di fare lunghe pause e grossi respiri sulle scene più calde in modo che Mister Cloody ne fosse coinvolto anche emotivamente e non perdesse il filo del suo racconto.

Leggeva lentamente, ma era convinta che il bel Direttore, mezzo italiano e mezzo sposato, prestasse più attenzione alle sue calze ed a cosa ci potesse essere oltre quel bordo di merletto che maliziosamente ostentava. Tra sé e sé sorrise, pensando a cosa mai Mister Cloody ci potesse trovare di tanto originale visto che quel taglio di pelle, coperto da una normale peluria rossiccia, era perfettamente identico a quello di mezza umanità della quale modestamente lei ne faceva parte. Come del resto ne faceva parte l’avvenente segretaria Molly, tutta tette e culo, di Mister Cloody, la quale l’aveva accolta facendole fare oltre un’ora di anticamera. In quell’istante le vennero in mente le sue abbondanti forme e il suo attillatissimo vestito rosso rendendosi conto di quanto fosse improbabile quella competizione.

Lei comunque continuò a leggere decisa ad andare fino in fondo alla storia, ma lui, nel preciso istante in cui Lisa leggeva la scena del bagno nel salone di Katherine, si alzò, aprì la porta, chiamò la sua segretaria dicendole che per nessuna ragione doveva essere disturbato, poi chiuse la porta a chiave e si accomodò nella sua morbida poltrona di pelle nera appoggiando le scarpe sulla scrivania e invitandola a continuare. Lisa pensò che quella postura e soprattutto la porta chiusa a chiave fossero due indizi più che interessanti, forse davvero il Direttore, dopo essere stato per circa mezzora scettico, ora stava prendendo in seria considerazione l’idea di pubblicare il suo racconto.

Lei andò avanti nella lettura, ma Mister Cloody la interruppe nuovamente: “Signorina, per favore, mi rilegga la scena della toilette. Ma non sia solo una lettrice, cerchi di partecipare, di accompagnare le parole con lo stato d’animo della protagonista. Anzi faccia di più... provi a mettersi nei panni di lei e soprattutto della casalinga che sfogliando la nostra rivista, si imbatterà nel suo racconto. La immagini in poltrona, oppure seduta nel suo letto coinvolta anima e corpo nella lettura come fosse un suo sogno o meglio un suo desiderio.”

Lisa non se lo fece ripetere due volte, scandendo le parole, impostò la voce più sensuale a sua disposizione. La sua postura si fece più morbida perfettamente in sincronia col racconto. Mimò i gemiti di lei finché presa dal racconto s’immedesimò nella protagonista e la sua gonna, per puro caso o maliziosa necessità salì quel poco e quel tanto da scoprire la sua meravigliosa lingerie perfettamente in linea con quella di Katherine nel piccolo bagno del salone.

Saranno state le sei e mezza oppure le sette, New York era piombata nel buio più fitto di una giornata invernale e dalla finestra al sedicesimo piano i grattacieli illuminati offrivano una magica visione da cartolina. Mister Cloody, estasiato da quella visione suggestiva, si alzò dalla scrivania e avvicinandosi a Lisa, le chiese di leggere lui le parti del focoso amante, per rendere ancora più veritiero il racconto.

Così fecero finché, arrivati di nuovo al punto nevralgico, ovvero la scena del lavandino, Mister Cloody con un’inaspettata enfasi recitativa si calò nella parte del protagonista e con un gesto quasi felino e a quel punto inevitabile accarezzò la coscia di Lisa. Lei non si stupì, ma con studiata scaltrezza fermò quella mano e con un’aria svenevole gli chiese se fossero ancora in tempo per la pubblicazione nell’edizione domenicale.

Lui, forse preso dalla morbidezza di quella seta e forse per la meta a portata di mano, tergiversò sussurrando parole non propriamente inerenti al racconto: “Lisa sei bellissima…” Lei sussultò chiedendosi come mai Mister Cloody l’avesse chiamata Lisa anziché Katherine e solo a quel punto si domandò se a quel bel direttore, mezzo italiano e mezzo sposato, gli fosse piaciuto più il racconto o la sua coscia. Certo non aveva alcuna importanza in quel momento rendendosi conto di quanto fosse retorica quella domanda.

Con studiata femminilità Lisa era convinta che fosse solo una questione di attimi o meglio di centimetri e non doveva per nessuna ragione fallire, per cui doveva strappare la sua approvazione nel bel mezzo del suo desiderio, ovvero prima che la mano di lui fosse arrivata nel posto in cui mezza umanità aveva la stessa sua caratteristica. Sinceramente si stupì di quel desiderio e di quanto gli uomini fossero così fragili pur sapendo cosa avrebbero trovato, ma avendo nuovamente chiesto e questa volta ottenuto la promessa solenne che il pezzo sarebbe uscito la domenica successiva a firma di Lisa Flores Scott, lasciò la presa e lo lasciò fare.

Quella mano scivolò sotto la gonna arrivando in meno di un secondo alla meta senza alcun impedimento. Lisa in quel momento si chiese cosa lui ci trovasse di diverso da quella della sua segretaria Molly o da quella della parrucchiera Katherine, ma poi convenne che il desiderio maschile non fa distinzione tra finzione e realtà.
Lui invece con l’unica mano a disposizione si sbottonò i pantaloni e non si sorprese di trovarla nuda e bagnata o forse preso dall’eccitazione non se ne rese conto. Lisa non ci pensò due volte e per favorirlo si mise nella giusta posizione, schiuse ancor più le gambe e pensando alla pubblicazione del pezzo e soprattutto a quanto fosse stata dura l’impresa gli sussurrò: "Finalmente Mister Cloody!"


FINE


 









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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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