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BAGNI GIUDITTA

Si spiegano albe
"Ma sarò capace d'essere femmina normale? Di sedermi e coprire per pudore quei pochi centimetri di coscia quando sale la gonna?"







Photo Iraklis Makrigiannakis


 


Si spiegano albe sopra questo mare di pesto, sopra quest'infinita follia di scurire il riflesso prima che venga domani, prima che il chiarore m'invada lasciandomi solchi. Sono tenebre sbiadite ancora prive di luce che avanzano sulla cresta dell’acqua e s’allungano a gocce scavando tracce depresse di un’altra indelebile notte.
Le trattengo gelosa come se fossero ore e sola potessi fermare la luce e riempirmi di tempo, come se fossero ancora sessi di maschio e tutt'intorno ristagni e m'anneghi la notte che soffio, che gonfio d'interminabile attesa.
Si spiegano albe sopra i tavolini umidi dei Bagni Giuditta, sopra le sedie e bottiglie che vuote qualcuno stanotte ha cercato di prenderne a caso e sentirsi più uomo. M’ha voluta sopra questo bagnasciuga, che bagnassi i capelli di acqua di mare mentre allargavo le cosce e l’anima tutta. M’ha voluta perché ero bella, convinto che il suo sesso mai avrebbe potuto saziarmi, mai dove stanotte sono arrivata.
Ma sarò capace d'essere femmina normale? Di sedermi e coprire per pudore quei pochi centimetri di coscia quando sale la gonna? D’offrire questo tesoro senza per questo sentirmi chiamare puttana? Perché non mi ci sento, perché non può essere puttana chi ha il padre avvocato, chi in ingresso dentro una cassapanca, che dicono antica, fa muffa e ingiallisce un corredo da vomito. Sorrido pensando a mia madre che fa già le prove di pianto, come se fosse domani, come se già avessi un pretendente o una pancia da nascondere a parenti e vicini.
Chissà se davvero mi sposo, se nel mio destino c’è la favola del cliente straricco che s’innamora della bella puttana. Perché non vedo altro luogo dove possa spuntare la fiamma di questo sogno d’amore, oltre queste cabine che conoscono a memoria dove metto la lingua quando mi chiedono un bacio.
Ma non posso essere puttana se questa mattina ho stretto mia madre tra le braccia, se ho incamerato come spugna tutta la sua disperazione per alleviarle la rabbia lasciandole soltanto il dolore e la disillusione di innamorarsi di qualsiasi uomo ed oggetto le capiti al volo. M’ha chiesto consigli come se fossi esperta di cuore, come se l’amore che offro fosse distante da queste mutande che stranamente porto perché quest’alba a breve mi ricorderà d’essere femmina normale, almeno una volta ad ogni luna che nasce.

Mi chiedo se oltre quest’alba sarò capace di provare piacere come adesso confondo il dolore con questi soldi che sbucano spiegazzati e mi gonfiano le tette. Le guardo e sanno di mignotta, sanno di sesso a portata di mano che inutilmente copro cercando un fragile e sconosciuto pudore. Sono trote di fiume, spigole di mare che nude sopra un banco di pesce annaffio e addobbo con foglie di vite per farle apparire più fresche. Le stringo perché siano più sode, le raccolgo dentro le mani per illudermi che sfameranno per sempre qualsiasi bocca anche quando, a forma di pere, caleranno senza riguardo.
Perché nulla ora serve degli anni che porto, degli uomini che mi cercano con in mano una bottiglia vuota di birra, che mi baciano frantumandomi l'anima come se fosse una fica, come se delusi si rendessero conto che non è altro che un buco, un misero squarcio che nessuna bellezza potrà mai affinare. Eppure questi stivali che indosso trafiggono gli occhi di chiunque ne voglia sentire l’odore, sgocciolano lingue e appannano occhiali di tutti gli altri che s’accontentano di vederli passare. Mi fanno sentire bella più di quanto non faccia il primo canto dell’Inferno a memoria o quando scalza cammino per casa e mio padre mi urla preoccupato perché mi raffreddi, senza sapere i problemi che incontro ai Bagni Giuditta quando non riesco a respirare col naso.

Mi chiedo davvero se sarò all'altezza, se quest'alba che spiega possa ridarmi la luce, che questa paura che sento m'aggrovigli la faccia come dentro ad un sentiero tra la tela di ragno. Chissà se quello che ora sto provando sia davvero l’amore o qualcosa d’informe che chiamano tale, ma ho paura che, se davvero lo fosse, svanisca e m’illuda, che quando avrò smesso non ci saranno più rose e gli occhi di Luca non vedranno che seni, che carne. Mi chiedo davvero se sarò all’altezza, se dopo mesi di fitto lavoro non siano rimasti che calli capaci solo d’accogliere sessi di vetro e non sentirne il dolore.
Davanti a questa luce che implacabile incombe vorrei che qualcuno mi bendasse perché sia buio di nuovo, siano di nuovo i Bagni Giuditta dove mi sento una stella che brilla, che urla come stanotte a carponi riempita nel punto preciso dove Luca ci scrive poesie. Perché di nulla sarei più sicura! Dentro questa luna che sbiadita mi regola l’umore, dentro questa notte che passa, dentro questo cuore scarnito che confonde l’amore col sesso e vuoto difendo coi soli assorbenti che porto.
















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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale..
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