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RACCONTO

LIBERAEVA
BAGNI GIUDITTA
La bimba di pezza
"L’amore che grido è questa donna che mi
chiama Giuditta, è mio padre che mai aveva dormito una notte fuori,
era mia madre che mai sarebbe uscita senza sottogonna. L’amore che
grido erano lunghi sentieri di fratte, era pioggia e lumache,
tamburi di latta l’11 novembre per festeggiare i cornuti"

Davanti a questo imbrunire
vorrei inventarmi uno spicchio di rosso, che non si
facesse mai nero, mai azzurro, ma che ci accogliesse
dentro questo infinito bacio che non ha fine. Fanny
oramai è distante, troppo lontano da questo cuore in
cerca di cura, in cerca di tramonto che trasmette
calore, in cerca di mani che ora mi stringono, che ora
mi danno una strana sensazione di non essere mai stata
sola. Mi stringono come se avessero il timore che non
rimanesse che niente, come se io fossi una nuvola, una
dissolvenza, un sogno che all’alba si fa lenzuola e
cuscino. Marta è qui incredula, i suoi occhi
pettinano i miei capelli, il suo naso m’annusa come se
in fondo in fondo all’odore ci fosse un profumo che non
riconosce, un sapore d’amore lasciato dentro qualche
dogana sperduta, dentro qualche promessa che ancora
batte e fa male. Si distende e s’inchina, mi bacia e
s’accovaccia perché è lei la femmina, i suoi baci mi
lasciano un sapore di olive salate, di ossi che spolpi e
che sputi in faccia a chi per anni m’aveva convinta che
l’amore ha sembianze di maschio, la forma a punta d’un
pene che penetra mentre tu godi e ne chiedi per il tempo
che lui ha deciso. La guardo e mi sfamo di tutti quei
giorni che sono rimasta a dormire nel letto. Sapesse mia
madre cosa s’annida dentro due tette, dentro due labbra
che ora mi cercano tra altre labbra che non hanno
rossetto, dentro altro umido che come saliva nasce e
s’abbonda al sapore di sale. Se lo sapesse mia madre che
tra due cosce di femmina c’è un pene che mi devasta, più
potente di qualsiasi uomo che finora m’ha fatto abbaiare
alla luna. Mi sembra incredibile che questo corpo esile
e biancastro possa comprendermi tutta, possa capiente
tranquillizzare le mie vene che battono, battono dal
cuore alle dita, calmarmi l’ansia dell’anima come quando
ti prostri davanti ad un altare e t’affidi e confidi
all’unico che possa darti conforto.
Ci sono dei
giorni che non usciresti da casa, che non serve andare
dall’altra parte del mondo per sentire un flebile
accenno d’amore, che come reti da pesca dividono i mari,
come ora, in questo momento Marta mi divide dal resto.
Le sue labbra mi cercano incessanti, come per trovare
parti mai esplorate, come per farmi sentire un brivido
senza nome che non conoscevo. Lei non si rassegna, sento
la sua lingua che batte come un martello sopra una lama,
che filtra, che ficca dove nessun pensiero fa
resistenza. Mi volta, mi lega e m’aggroviglia con i suoi
fili di fiato, con le sue dita che non hanno unghie, con
questa sua testardaggine d’affetto e d’ardore di farmi
godere. E godo sopra questo imbrunire, sopra questa
linea invisibile d’accettare le mani, il mio essere
dentro questo corpo che freme, che suda, che chiede come
se bambina non sapessi cosa ci sia in fondo, cosa tra
poco m’irrigidirà seno e cervello.
L’altro giorno
in cucina era stato un assaggio, un antipasto di mare
d’aceto e limone. E poi le parolacce di Fanny, il suo
ostinato orgoglio d’essere unica, il sentirmi calpestata
come foglie d’autunno. Il mio bisogno d’aiuto, il mio
bisogno d’amore che colmasse il vuoto di uomini che
entrano, escono e scavano, scavano e fanno buchi più
nell’anima che nella carne. Ma tutto ciò è amore?
Sono questi gli occhi che andavo cercando? Sono queste
le mani che ora mi stringono e mi chiedono di farmi più
piccola? Sono queste le labbra che mi lasciano il sapore
di olive salate? La lingua si insinua, si fa spazio,
crea un buco di vuoto ed entra nella mia bocca come lama
in un burro, come spiedino in una salsiccia. E’ la prima
volta che bacio una donna così, ma poi rido perché non
ho mai baciato un uomo, neanche Luca ai tempi di scuola
dove la sua passione si fermava sulle mie labbra
serrate.
Marta è muta, qualcosa di Fanny ha
capito! Chissà dove sarà ora? Chissà di quanti uomini si
ingozza e si placa. Tutto per amore di un uomo, quel
pericolo incombente che lei mi ha insegnato ad evitare,
a riconoscere la notte quando ti senti più fragile, a
scacciarlo quando la luna alta ti vorrebbe soggiogare.
Credo che non ci sia di peggio al mondo che fare la
puttana ed essere innamorata dell’uomo che ti sfrutta,
come un suino che fugge e s’affida ad un salumiere,
mentre io e Marta siamo qui e ci scambiano gratis
l’amore, carezze che ci graffiano la voglia interiore di
non essere sole.
Ti amo Marta. Mi cresce un
sospiro che diventa un boato, un’eco che sbatte, ribatte
e prende vigore. E l’amore che grido è questa saliva
abbondante che mi bagna i capelli, è questo fiato che
m’allarga i polmoni. E’ mia nonna che mi prepara pane e
olio, mio nonno con la sua bottiglia di vino che sapeva
di sale e sambuco. L’amore che grido è la libertà di non
avere paura, quelle preghiere infinite da sola nel letto
recitate a tre a tre. E’ mio padre che mai aveva dormito
una notte fuori, era mia madre che mai si sarebbe
sognata di fare a meno della sottogonna. L’amore che
grido erano lunghi sentieri di fratte, era pioggia e
lumache, erano funghi, suoni di tamburi di latta l’11
novembre per festeggiare i cornuti. L’amore che grido
è questa donna che mi chiama Giuditta, che mi inumidisce
le orecchie per sentirla più accanto, per sentire una
voce che proviene da dentro, che mi fa credere bella
come mai nessuno specchio m’ha persuasa davvero. L’amore
che grido è femmina dentro, è bucata nel mezzo e
t’accoglie, ti fa galleggiare come un feto, un canotto
che gonfio e rigonfio perché non sia mai che mi ritrovi
annegata ancora una volta, che il risucchio di un
vortice mi faccia pensare di stare meglio ai Bagni
Giuditta a far da scorta a Fanny che fa l’amore
guardando in faccia il cliente, mentre io che guardo il
mare e la luna, mai respirerò il sapore d’un fiato che
sa solo di maschio. L’amore che urlo non piscia
all’in piedi, non alza la zampa se mai fosse un cane, ma
ha latte abbondante che sfama e protegge, l’amore che
urlo è un leggero rossore che colora lenzuola quando
accanto ancora dorme una bimba di pezza.
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Questo racconto
è opera di pura fantasia. Nomi, personaggi e
luoghi sono frutto dell’immaginazione
dell’autore e non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari e
persone è del tutto casuale.
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