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AMORE IN CHAT

Il nostro primo incontro
"Mio caro volo, sto volando, sono fuori di casa e corro da lei sulle ali di questa notte."









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Ho il fiato in gola, il respiro grosso, ma struscio e sbatto i miei tacchi sull’asfalto per sentirne l’effetto che farà alle sue orecchie, per sentire il rumore contro questo muro di una scuola elementare. Sul portone c’è scritto che la libertà non ha prezzo! E la libertà me la voglio godere! Voglio respirare l’odore della notte, farmelo entrare nei polmoni e nel cuore, tra le pieghe dove emetto calore come bocche di cani fumanti, come buchi di terra d’acque sulfuree. Potrei prendere un taxi, la mia auto per correrle incontro, ma cammino, cammino per sentirmi dentro la sensazione di penetrare dentro l’oscurità, come un uomo che entra dentro la sua sposa la prima notte di nozze.

Come da suo istruzioni cammino da sola tra questi vicoli col soprabito stretto, ne slaccio un bottone per vederne l’effetto, della mia gamba lucida al riflesso di luna, del mio ricamo intrigante al piacere degli suoi occhi. Mi infilo in un budello di case, c’è una signora vestita di meno.
Mi dice: “Non vada più oltre, laggiù non ci sono uomini che hanno bisogno di caldo, d’un buco per passarci la notte.” La guardo, è bella, è alta con due occhi di mare, con le forme ristrette come un palo di luce.
“Stasera per strada si prende solo del freddo, di noi nessuno ha bisogno! Se vuole venire sto andando in una sala da giochi, proprio qui sopra all’ultimo piano. Non s’allarmi, è divertente! Deve solo girare tra i tavoli di poker e farsi toccare, il sedere e le tette. Se vincono una mano poi la vogliono vicino.”

La guardo, ha due labbra inquietanti, troppo belle, troppo finte perché un uomo qualunque ne apprezzi il velluto.
“Ma io voglio respirare la notte!” Rispondo.
“Ho solo tempo per sentirne i risvolti, per accarezzarle il sapore ed esserne avvolta, come la mia anima gonfia che s’apre e si chiude.”
Ride. “Guardi Signora, che in quel posto è considerata meno di un pezzo di ferro, deve cacciare la iella e portare fortuna, in caso aprire le cosce se una mano s’insinua e vuole sentire l’effetto. Qualcuno più bizzarro le farà scoprire le tette. Magari le ciuccia, per l’ultimo estremo tentativo di invertire la sorte. E se vince, la riempie di soldi, ed ogni mano la lecca, stringe il suo seno per diventare più ricco.”

Ma io sto pensando al nostro primo incontro, la prima notte e non voglio sprecarla, voglio che si infiltri umida tra le mie ossa, voglio rimanere qui a respirare il concetto in balia d’un caso ed in preda alla voglia, all’ossessione di farsi una donna, fino a farmi sentire l’ebbrezza del nulla che di colpo perde memoria e non rimane che carne, che buco, che vuoto, che mi consideri per quello che offro, per quello che ruba. Appoggiata ad un muro qualunque respiro nebbia e rilascio vapore e la donna scompare.

M’affamo e mi sazio al solo pensare al nostro incontro, alla tua ombra che tra poco apparirà improvvisa che scalderà le fibre della mia anima, di coscienza e di cuore perché è tutto un tutt’uno, è tutto un sentire quando lei mi invocherà ed io la sentirò davvero delineandole i contorni. Se tutto questo non bastasse, la prego mi porti oltre, dove mille occhi stanno a guardare, e mi apra il soprabito quando avrà deciso gridando che m’ha raccolto per strada, che sono solo un contorno di femmina persa. Se qualcuno per caso volesse lo faccia accomodare, lo faccia favorire all’in piedi senza ombrello e riparo perché se stasera piovesse non vorrei disperderne una goccia.

Ma il sogno svanisce ed io non sono uscita per il solo sognare! Cammino e mi lascio guardare, sono bella come ogni donna, come ogni vicolo cieco dove non ho scampo, dove cassonetti fanno da culla ad un uomo che ti sta aspettando. Eccolo, è lei! Vedo solo un’ombra ma sono certa di quello che vedo, con lei mi sento al sicuro e non c’è nulla da dire, nulla da spiegare perché mi trovo qui nella notte, perché non porto gonna e maglietta.
“Se le dicessi che ho voglia di essere legata come un cane alla zampa del letto?”
Lei mi guarda. “Non serve un maschio per sentire il suo sesso, non serve un sesso per sentirsi saziata.” E’ proprio lei allora!
“La prego mi bendi gli occhi, mi tappi la bocca, mi faccia colare piacere come sangue di bue appesa ad un gancio, come brina che si scioglie sui vetri al primo tocco di sole. La prego mi faccia illudere che sono l’unica donna che si dà al piacere di dita che frugano, come se ci fosse un tesoro, un rigagnolo d’acqua in pieno deserto. Chissà se l’anima è davvero vuota quanto il mio sesso? E il piacere che bramo non è fatto di carne, ma dal desiderio scomposto d’essere vinta, battuta nel fondo dove nasce la voglia, zittita all’idea che un altro a quest’ora sarebbe lo stesso.”

Lei mi guarda, è notte nei suoi occhi, nelle mie vene, nei tanti vicoli bluastri che non m’hanno dato risposta. Mi guarda come se tutto ciò fosse naturale, come se s’aspettasse di vedermi calare lo slip a questo punto di troppo, ed allora lo tolgo, sfrontata e senza vergogna, come se fosse l’ultimo pretesto per sentirmi più nuda. Ora la mostro, la ostento al chiarore d’una lampada fioca. La guardo, la guarda ma è meno oscena delle mutande appese ad un dito, che dondolo contro il suo naso, che dondolo perché ne senta l’odore, che m’annebbi la voglia di cercar di capire, perché non c’è ragione in quello che faccio, non c’è religione in queste mani giunte che ora la implorano di incatenarmi ad un palo come un scooter, come un cane al guinzaglio che aspetta che torni il padrone.

L’ombra mi guarda. È lei vero? Mi guarda ancora ma non mi tocca, mai lo farebbe! Perché non sono le mani, non sono mai state le mani di un uomo a farmi più bella. Lo sa, quasi ride. Mi guardo intorno e dietro di me c’è di colpo una coda in attesa, file di uomini muti che aspettano, come se fossi un’acquasantiera. Li ha chiamati lei vero? Oddio sono tanti! Troppi, chissà se sanno che è tutto in metafora, che il sentirmi la notte che entra non ha bisogno di carne, ma dell’idea di averne provato l’essenza. Sono senza soprabito e per loro sono nuda e sono sesso, un taglio verticale, una figura geometrica per ripassare la lezione.

Ho il fiatone, cominciano a toccarmi e mi strappano il vestito. Sono mani piene di calli, buchi della mia pelle che si riproducono ad ogni dito appuntito che spinge, ad ogni voce che offende. E sono uomini e sono bestemmie, suoni volgari che mi cercano in fondo, odori stranieri di stoffe e d’ascelle. Ma l’avrò lavata per bene? L’avrò risciacquata fino all’anima tutta? Voglio che sia innocente e incontaminata come la porta di casa, la parte interna che sa di famiglia, che sa di “Buongiorno Signora”, che sa di rispetto perché porto una gonna, che sono la moglie di un chirurgo famoso. Ma vorrei anche che entrassero senza cura, con le loro scarpe sporche, tutti insieme come un branco di bisonti, perché finora uno ad uno non l’hanno mai fatto, perché ne basterebbe uno solo che sa di figlio e d’amore, d’amante e d’albergo, di casa e lenzuola, di marito e di chat e mi fa ripetere quello che mai ho avuto il coraggio di dire, di chiedere durante una notte.

Mi giro di nuovo, ma non c’è nessuna coda, neanche due fari per farmi sentire più femmina, vedo solo due occhi, i suoi mio caro, che continuano a fissarmi. Lei sa che di nient’altro ho bisogno, che se solo si avvicinasse, se solo mi toccasse, svanirebbe la coda, svanirebbe il mio sogno e l’odore di femmina che si mescola all’aria, alla notte più intensa che ora m’avvolge. Ecco sì, rimanga distante, mi guardi quando libera mi mostro e in un attimo esplodo, un attimo solo prima dell’alba, prima che cada questa nebbia, che sottile s’addensa e leggera s’adagia e mi ricuce il vestito.
















 
          CONTINUA...     


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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale..
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