La solitudine non si sente quando si è soli! Ma non ti lascia respiro e ti
devasta l’anima quando qualcuno ti ha lasciato e ti saccheggia il cuore
quando vieni a sapere qualcun’altra ha preso il tuo posto. Certo che te lo
chiedi se sarà più brava di te, a letto o in cucina e non fai altro che
distruggerti la ragione e massacrarti le unghie da ciò che avresti potuto
fare e da tutte le volte che non hai dato abbastanza, compresa quella
volta, che non lo sei stata a sentire, perché avevi un nonnulla da fare,
perché quella è stata la goccia prima della tempesta.
Durante il
giorno lui diventa evanescente come l’acqua del mare che resta nella mano
chiusa a pugno, distante come un treno che si è appena perso, ma di notte
spesso ti viene vicino, s’infila incorporeo dentro le lenzuola
malinconiche emanando un forte calore che ti avvolge leggero simile alla
tela di un paracadute dopo l’atterraggio. Eh sì che lo senti vero, anzi lo
chiami per nome e lui insolente e deciso scivola nelle pareti del tuo
corpo come un aliante tra i versanti rocciosi, come un gabbiano che fende
la nebbia. La lancetta delle ore dell’orologio in ingresso s’allunga fino
a confondersi con i minuti, i centimetri di piacere diventano chilometri
di autostrade che s’infilavano nel buio tunnel della passione. Bruciante e
distruttivo come la pipì sulla neve si lascia dietro una voragine da
riempire, un vuoto d’aria al decollo, e poi salite a pendio e discese a
dirupo elastiche come molla, appiccicose come la gomma che non riesci a
disfartene o come il tappo dello sciroppo per la tosse sul comodino.
Intenso e sfibrato come avviene nei sogni, altero e spaurito come una
mamma che ha salvato i suoi cuccioli da un imminente pericolo. E il tempo
s’allunga denso simile al miele che cola dal cucchiaio o lo sputo quando
sei raffreddata. E lui diventa un adagio che per tutta la giornata ti gira
intorno, ti gonfia il cuore e ti accompagna col tuo cervello scollegato da
quelle giornate che ti soffocano e da quelle umide notti di sudore quando
non riesci a sopravvivere. E ti sorprendi a pregare un Dio femmina che
senti vicino e capisce, senza spiegare, sensazioni di donna e voglie
sconvenienti che colano senza ragione proprio nei momenti che più ti senti
sola.
Come una turista rivisiti i luoghi comuni alla ricerca di un
fragile indizio, di un raccordo ai tuoi pensieri slegati, ma come una
vigliacca scappi non appena ti sembra di averlo intravisto. Ma non puoi
farci nulla, perché diventa ossessivo quando lo vedi dentro la schiuma del
cappuccino alla mattina, dentro il sacchetto delle immondizie o negli
occhi neri di quella zingara che ti offre una rosa e tu, confusa e
incredula compri la rosa, ti fai leggere la mano e prendi come oro colato
le sue istruzioni per leggere i fondi del caffè.
Le giornate si
dilatano dentro notti che iniziano sempre più tardi e fai fatica a
riempirle con la sola preoccupazione di non poterle riempire. Ti tieni il
da fare e t’impegni per riempire le tue serate che in altre occasioni non
avresti voluto per niente riempire. E vai avanti rifiutando proprio quella
libertà che ora è a portata di mano, ma che ti fa sentire più sconnessa
che libera finché in un mercoledì banale, mai considerato prima, incontri
quel pozzo senza fondo pronto a raccogliere i tuoi fallimenti, le tue
delusioni, le tue amarezze.
C’è sempre un’amica complice che ti
invita un sabato sera e tu, come se niente fosse, come non avresti mai
fatto prima, accetti e ti sorprendi ad uscire, ballare, ridere e cadere
nelle braccia anonime di qualcuno che non ha il suo stesso identico odore,
che non ha un nome facile da intercalare, che porta la cravatta troppo
accollata, ma che ti ci stringi attorno sentendoti più piccola del metro e
sessantacinque con i tacchi. E poi non è neanche bello, ha gli occhi
troppo vicini o troppo incavati, il naso storto, le mani rugose e porta i
capelli troppo corti che non ti sono mai piaciuti prima, e non ha le
stesse tue battute per ridere, ma riderai, sicura che riderai ad ogni
occasione che ti scopri con meno pretese.
Succede sì, succede che
ci vai a letto, quasi subito, tentando di accorciare distanze e colmare
quei vuoti che non ti è dato di riempire altrimenti. E il tuo Dio femmina
ti consiglia e ti indirizza nella scomodità dei tuoi pensieri appiccicosi
che corrono altrove. Sopra al disagio del nuovo diventi più intraprendente
affinché l’imbarazzo non appaia troppo evidente sui tuoi seni molli, sul
tuo sesso arido da tanta ragione, sulle tue labbra screpolate da tanta
astenia. Ma sicura che ce la metterai tutta, per piacere e dare piacere al
punto da non pensare di ricevere perché sarai solo distratta nel pensare a
quello che l’altro possa pensare di te e del tuo passato, delle tue
fragilità ancora troppo evidenti.
Subito e tardi si rincorreranno
nella tua mente, rimandando o anticipando, ma reprimendo le cadenze del
tuo corpo che solo in quel momento esatto avrebbe dato il meglio di se
stesso. E il suo sesso non sarà maschio, un fallimento di uomo che, come
te, per la maledetta paura di essere giudicato, ha sbagliato completamente
momento e fantasie. Ma tu gli dirai che va tutto bene, fingendo, e come
fingendo, ripetuti orgasmi che esploderanno solo nella tua premura di non
deludere.
Così andrà perché non siamo mai sicuri di niente, perché
ciò che non conosciamo è troppo grande rispetto a quello che sappiamo.
Perché la nostra unica sicurezza è l’abitudine, dove solo lì troviamo le
risposte giuste alle nostre domande. Più delle volte farai finta di non
capire, perché nella tua risposta ci potrebbe essere in agguato la sua
delusione e fingendo cercherai di mostrare il tuo profilo migliore. Ma ti
sentirai brutta, non perché tu lo sia veramente, ma solo perché ti guardi
con gli occhi di chi ti sta guardando per la prima volta più intensamente.
E ti sentirai bambina con le tue mutandine bianche e troppo
infantili, cambiate prima di uscire per non dare troppo all’occhio; e ti
sentirai troppo provocante con quei tacchi troppo alti; e ti sentirai
tutto e niente perché in quel momento vorresti essere il contrario. Ma poi
lo accontenterai come mai ti è successo prima, accogliendolo nelle voglie
dove mai la prima volta è consentito. Magari tra il rossetto che la notte
ha già portato via o dove il sesso maschio fa male per davvero più della
ragione che sopita dorme accanto.
E ancora ti concederai di nuovo
alle sette del mattino, precisamente a quell’ora, al risveglio quando mai
e poi mai hai accolto un uomo e dove sempre hai stretto le gambe perché
l’alba, finora, non aveva mai fatto poesia. E ti volterai delusa
schiacciando faccia e trucco sul cuscino, convinta che il giorno non sarà
mai più come prima, perché l’amore, quello vero, è rimasto chissà dove,
fuori dalla finestra, sospeso sulla luce che filtra dalle righe. E il tuo
Dio femmina capirà, perché a lui non devi spiegare, che solo quando è
sola, una femmina può darsi senza amore.
FINE