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RACCONTI

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Adamo Bencivenga
Il tuo Dio femmina
La solitudine non si sente quando si è soli! Ma non ti lascia respiro e ti devasta l’anima quando qualcuno ti ha lasciato e ti saccheggia il cuore quando vieni a sapere qualcun’altra ha preso il tuo posto.





Photo Andreas Wensauer


 


La solitudine non si sente quando si è soli! Ma non ti lascia respiro e ti devasta l’anima quando qualcuno ti ha lasciato e ti saccheggia il cuore quando vieni a sapere qualcun’altra ha preso il tuo posto. Certo che te lo chiedi se sarà più brava di te, a letto o in cucina e non fai altro che distruggerti la ragione e massacrarti le unghie da ciò che avresti potuto fare e da tutte le volte che non hai dato abbastanza, compresa quella volta, che non lo sei stata a sentire, perché avevi un nonnulla da fare, perché quella è stata la goccia prima della tempesta.

Durante il giorno lui diventa evanescente come l’acqua del mare che resta nella mano chiusa a pugno, distante come un treno che si è appena perso, ma di notte spesso ti viene vicino, s’infila incorporeo dentro le lenzuola malinconiche emanando un forte calore che ti avvolge leggero simile alla tela di un paracadute dopo l’atterraggio. Eh sì che lo senti vero, anzi lo chiami per nome e lui insolente e deciso scivola nelle pareti del tuo corpo come un aliante tra i versanti rocciosi, come un gabbiano che fende la nebbia. La lancetta delle ore dell’orologio in ingresso s’allunga fino a confondersi con i minuti, i centimetri di piacere diventano chilometri di autostrade che s’infilavano nel buio tunnel della passione. Bruciante e distruttivo come la pipì sulla neve si lascia dietro una voragine da riempire, un vuoto d’aria al decollo, e poi salite a pendio e discese a dirupo elastiche come molla, appiccicose come la gomma che non riesci a disfartene o come il tappo dello sciroppo per la tosse sul comodino.

Intenso e sfibrato come avviene nei sogni, altero e spaurito come una mamma che ha salvato i suoi cuccioli da un imminente pericolo. E il tempo s’allunga denso simile al miele che cola dal cucchiaio o lo sputo quando sei raffreddata. E lui diventa un adagio che per tutta la giornata ti gira intorno, ti gonfia il cuore e ti accompagna col tuo cervello scollegato da quelle giornate che ti soffocano e da quelle umide notti di sudore quando non riesci a sopravvivere. E ti sorprendi a pregare un Dio femmina che senti vicino e capisce, senza spiegare, sensazioni di donna e voglie sconvenienti che colano senza ragione proprio nei momenti che più ti senti sola.

Come una turista rivisiti i luoghi comuni alla ricerca di un fragile indizio, di un raccordo ai tuoi pensieri slegati, ma come una vigliacca scappi non appena ti sembra di averlo intravisto. Ma non puoi farci nulla, perché diventa ossessivo quando lo vedi dentro la schiuma del cappuccino alla mattina, dentro il sacchetto delle immondizie o negli occhi neri di quella zingara che ti offre una rosa e tu, confusa e incredula compri la rosa, ti fai leggere la mano e prendi come oro colato le sue istruzioni per leggere i fondi del caffè.

Le giornate si dilatano dentro notti che iniziano sempre più tardi e fai fatica a riempirle con la sola preoccupazione di non poterle riempire. Ti tieni il da fare e t’impegni per riempire le tue serate che in altre occasioni non avresti voluto per niente riempire. E vai avanti rifiutando proprio quella libertà che ora è a portata di mano, ma che ti fa sentire più sconnessa che libera finché in un mercoledì banale, mai considerato prima, incontri quel pozzo senza fondo pronto a raccogliere i tuoi fallimenti, le tue delusioni, le tue amarezze.

C’è sempre un’amica complice che ti invita un sabato sera e tu, come se niente fosse, come non avresti mai fatto prima, accetti e ti sorprendi ad uscire, ballare, ridere e cadere nelle braccia anonime di qualcuno che non ha il suo stesso identico odore, che non ha un nome facile da intercalare, che porta la cravatta troppo accollata, ma che ti ci stringi attorno sentendoti più piccola del metro e sessantacinque con i tacchi. E poi non è neanche bello, ha gli occhi troppo vicini o troppo incavati, il naso storto, le mani rugose e porta i capelli troppo corti che non ti sono mai piaciuti prima, e non ha le stesse tue battute per ridere, ma riderai, sicura che riderai ad ogni occasione che ti scopri con meno pretese.

Succede sì, succede che ci vai a letto, quasi subito, tentando di accorciare distanze e colmare quei vuoti che non ti è dato di riempire altrimenti. E il tuo Dio femmina ti consiglia e ti indirizza nella scomodità dei tuoi pensieri appiccicosi che corrono altrove. Sopra al disagio del nuovo diventi più intraprendente affinché l’imbarazzo non appaia troppo evidente sui tuoi seni molli, sul tuo sesso arido da tanta ragione, sulle tue labbra screpolate da tanta astenia. Ma sicura che ce la metterai tutta, per piacere e dare piacere al punto da non pensare di ricevere perché sarai solo distratta nel pensare a quello che l’altro possa pensare di te e del tuo passato, delle tue fragilità ancora troppo evidenti.

Subito e tardi si rincorreranno nella tua mente, rimandando o anticipando, ma reprimendo le cadenze del tuo corpo che solo in quel momento esatto avrebbe dato il meglio di se stesso. E il suo sesso non sarà maschio, un fallimento di uomo che, come te, per la maledetta paura di essere giudicato, ha sbagliato completamente momento e fantasie. Ma tu gli dirai che va tutto bene, fingendo, e come fingendo, ripetuti orgasmi che esploderanno solo nella tua premura di non deludere.

Così andrà perché non siamo mai sicuri di niente, perché ciò che non conosciamo è troppo grande rispetto a quello che sappiamo. Perché la nostra unica sicurezza è l’abitudine, dove solo lì troviamo le risposte giuste alle nostre domande. Più delle volte farai finta di non capire, perché nella tua risposta ci potrebbe essere in agguato la sua delusione e fingendo cercherai di mostrare il tuo profilo migliore. Ma ti sentirai brutta, non perché tu lo sia veramente, ma solo perché ti guardi con gli occhi di chi ti sta guardando per la prima volta più intensamente.

E ti sentirai bambina con le tue mutandine bianche e troppo infantili, cambiate prima di uscire per non dare troppo all’occhio; e ti sentirai troppo provocante con quei tacchi troppo alti; e ti sentirai tutto e niente perché in quel momento vorresti essere il contrario. Ma poi lo accontenterai come mai ti è successo prima, accogliendolo nelle voglie dove mai la prima volta è consentito. Magari tra il rossetto che la notte ha già portato via o dove il sesso maschio fa male per davvero più della ragione che sopita dorme accanto.

E ancora ti concederai di nuovo alle sette del mattino, precisamente a quell’ora, al risveglio quando mai e poi mai hai accolto un uomo e dove sempre hai stretto le gambe perché l’alba, finora, non aveva mai fatto poesia. E ti volterai delusa schiacciando faccia e trucco sul cuscino, convinta che il giorno non sarà mai più come prima, perché l’amore, quello vero, è rimasto chissà dove, fuori dalla finestra, sospeso sulla luce che filtra dalle righe. E il tuo Dio femmina capirà, perché a lui non devi spiegare, che solo quando è sola, una femmina può darsi senza amore.





FINE


 




 
 
 





Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale..
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