Perché ora mi vieni vicino e fai finta che niente sia
successo? Che questa sera sia come tutte le altre
quando ancora in cucina disegni i tuoi cerchi di
piccione che tuba? Conoscevi il momento, la
mattonella precisa dove sarei scivolata, fin dove le
tue braccia mi avrebbero accolta e sollevata di
peso. Pochi passi e mi sarei ritrovata distesa a
fremere di voglia reclamando la fretta di sentirti
qui dentro. Non ti saresti fatto pregare, mai negli
anni mi hai mancato rispetto o m’era parso che le
tue mani facessero attrito. Mai negli anni ho preso
sonno leggendo un libro o pensato a cosa pensassi se
m’avessi dato le spalle.
Ma allora perché è
successo? Ti prego non urlare, non chiamarmi da
dietro la porta! Lasciami almeno la dignità d’una
donna tradita dentro questo antro nel bagno dove mi
cullo con le ginocchia sul viso ed un pollice in
bocca. Lascia che questo bagno raccolga le lacrime,
che verso a goccia a goccia come se il malessere che
sento non avesse la forza d’uscire d’impatto.
Mai avrei pensato di passare una notte chiusa a
chiave qui dentro in attesa di non reggere l’impeto
e vomitare quello che è rimasto intatto sui piatti
in sala da pranzo. Non era un granché, un piatto di
pasta e una carne scottata, ma sapeva di famiglia e
fiducia! Aveva il sapore soffice d’un qualsiasi
giorno che volgeva alla fine, dove ogni sera cercavo
rifugio e m’accovacciavo nel posto più morbido per
sentirmi serena.
E’ vero! Dovrei scappare di casa
senza lasciarti il recapito della mia infinita
tristezza, senza lasciarti l’appiglio che ora o
domani tu possa ancora sperare come adesso mi chiedi
di aprire la porta, come ancora hai l’ardire di
minacciarmi che svegli i vicini e ti metti a
gridare. Fallo se vuoi, non me ne frega più nulla!
Mi spieghi perché dovrei aprire la porta? Quale
ragione a questo mondo mi potrebbe dare la forza di
guardarti negli occhi, la tua bocca che mi reclama
come se vantasse ancora qualche diritto. La vedo
come se ce l’avessi davanti che risucchia emozioni e
aspira saliva d’un’altra. Come fai a muovere le
labbra e dirmi che m’ami? Come cavolo fai a tradire
due volte nella stessa giornata, a fondere il cuore
e non sentire qualcosa che stride da dentro.
Ma
davvero stasera avresti toccato i miei seni col
ricordo tra le dita di quelli di un’altra? Dimmi
almeno come sono, se sono più grandi, più morbidi e
nell’incavo sprofondi come hai fatto con i miei per
ogni sera in tutti questi anni. Come fai a non
sentirti ridicolo quando mi parli d’amore? Le tue
parole sanno di menzogna, d’illegalità e violenza,
le tue mani che bussano sanno di stupro dentro
queste orecchie costrette a sentire che l’ami, su
queste tempie che battono e fanno dolore.
Mi
sento vuota, scavata nell’anima. Mi rannicchio e
m’abbraccio le gambe per farmi più piccola dentro
quest’angolo. Sono occhi e pelle senza memoria, sono
capelli morti che scendono secchi e mi coprono il
viso. Ti prego lasciami sola! Smettila di colpire la
porta e far finta di dare testate sul muro. Tanto
nessuno crederebbe al tuo dolore, nessuna donna può
credere ad un uomo che reclama d’essere capito e
odora ancora di femmina calda!
Me ne sono accorta
da sola e tu non me l’avresti mai detto! Perché solo
l’odore ti sbatte in faccia quello che mai avresti
voluto vedere! Chissà quante volte è successo! Tante
quante le paure che ora t’assalgono e ti fanno
pentire al punto di dirmi che è stato uno sbaglio,
che è stata la prima. Come posso crederti! Se ora
ripenso alle tante volte quando un piccolo neo
s’ingigantiva nella mia testa. “Ma cosa vai a
pensare?” Mi ripetevo ridicola fino al punto di
sentirmi infedele perché non ti esternavo i miei
dubbi, lasciandoli sciogliere nell’immensa fiducia
dove fino a stasera mi sarei bruciata una mano.
Stringo la faccia tra le ginocchia perché non
voglio sentirti, chiudo i miei sensi perché non
voglio immaginare, non voglio sentire la confessione
di chi alle corde ora cerca una via d’uscita. Mi
diresti convinto che non è bella, che non l’hai
neanche baciata. Ma allora perché! Che stupida! Sto
chiedendo spiegazioni! Sapendo benissimo che non ci
sono ragioni quando un uomo s’infila cieco tra le
gambe d’un’altra, non ci sono ragioni all’istinto di
provare piacere quando sente una donna che gode!
Conoscendoti non vedo altri motivi, perché allora?
Se non quest’orgoglio di sentirla strillare, di
sentirla fremere mentre la riempi di tutto te
stesso. Come una farfalla che gira e non trovi altro
che ucciderla per sentirne il possesso! Come una
donna che ancheggia e scivola via e ti viene
l’istinto d’esserne il padrone.
Perché allora?
Non voglio che tu mi dica i dettagli, che per filo e
per segno tu mi descriva dove e per quanto ti sei
sentito più uomo, intinto nel caldo bollente d’una
voglia di donna. Vorrei solo sentire cosa ti abbia
fatto scattare la molla, il momento preciso dove hai
deciso d’agire seguendo il profumo d’una gonna che
si svasa alla brama e fa ruote e fa cerchi, e fa
pieghe distorte negli occhi che continuano a danzare
per infiniti secondi.
Ora mi chiedo cosa c’è
dentro quell’irrefrenabile istinto, cosa c’è dentro
due mani incompiute che salgono lungo la trama del
desiderio che incombe e si saziano al tatto. Mi
pento di non aver mai avuto l’istinto di assaggiare
altra saliva, di sentirne il gusto e la differenza
che in questo momento, ti giuro, mi darebbe
consolazione, mi farebbe almeno sentire normale
davanti a te che ripeti convinto che è stato uno
sbaglio. “Ma quale cavolo di sbaglio? E se anch’io
fossi andata a letto col primo stamattina che mi ha
detto buongiorno? “Prego s’accomodi pure, sono
pulita ed odoro di more!”
Come ci saresti
rimasto se t’avessi poi detto che era stato uno
sbaglio? Ti prego, non dirmi che eri confuso, che a
nulla hai pensato nel momento che … Oddio perché mi
voglio fare ancora del male? Ogni volta che ci penso
mi sembra che tu mi stia tradendo di nuovo, che ogni
volta t’infili, godi, strizzi gli occhi e rantoli
come un maiale.
Ho ancora nel naso quell’odore,
mi sciacquo, mi lavo la faccia, ma lo sento ancora,
sporco e dolciastro come lo sterco di uccelli per
strada. Venisse almeno un temporale! Laverebbe
dentro il mio cuore, che ora allo sbando salta ogni
tanto una corsa.
Ti prego smettila, sei libero di
tornarci, tanto io chiusa qui dentro ci passo almeno
la notte, ci passo il tempo per sentirmi pulita.
Fammi almeno un favore. Ti prego smettila, non
uccidere la mia speranza. Non farmi pensare che
indistintamente gli uomini siano tutti uguali. Ho
bisogno di dare fiducia, di ricevere amore. Voglio
vivere e mai potrei pensarlo di farlo da sola.
Ti prego, smetti di bussare. Non serve. Non
esco! Non voglio vederti come un cane bastonato con
le orecchie abbassate. Non so se questa sia l’ultima
volta che sento la tua voce, se domani me ne vado e
ti lascio davvero solo come un cane. Ora non so
nulla, ed il prezzo che paghi è l’indecisione di non
sapere cosa faccio domani, per sempre.
LETTERA FIRMATA