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ADATTO AD UN PUBBLICO ADULTO 
LiberaEva
La prima notte di quiete
"Mettimi fretta, mettimi in fila come se dovessi aspettare il
mio turno, ti prego, guarda l’ora impaziente, come se tu avessi
altro da fare, un nonnulla, un’inezia, magari una donna, un
appuntamento galante, oppure un impegno che mi faccia sentire, meno
importante, d’ogni cosa ordinaria. "

.Dimmi di andare, cacciami via, quando lasciva mi
scopro e ti imploro, dammi la faccia più cruda del
maschio, che snobba insensibile ogni minimo ardore,
dammi la sola che mi faccia sentire, di poco e di
troppo, di tanto e di niente, una femmina persa, che
implora il tuo sguardo, se puoi un sorriso, le mani, il
piacere, che caldo mi bagna, che illusa trattengo,
sperando che a breve, tu possa saziare, l’infinito
bisogno d’averti qui dentro.
Mettimi fretta,
mettimi in fila come se dovessi aspettare il mio turno,
ti prego, guarda l’ora impaziente, come se tu avessi
altro da fare, un nonnulla, un’inezia, magari una donna,
un appuntamento galante, oppure un impegno che mi faccia
sentire, meno importante, d’ogni cosa ordinaria. Dimmi
che è tardi, ricopri il mio seno, raffredda all’istante
il calore che emano, conducimi dove non c’è più un
ritorno, blocca di colpo i miei brividi forti, resta
impassibile, lucido e forte, come una roccia dove
s’infrangono i flutti.
Guardami ancora con occhi
di fuoco, ma frena i tuoi fremiti, i guizzi, l’ardore,
cadenza i miei passi, battimi il tempo, guida e governa
i miei respiri impazienti, le gambe scomposte, la bocca
obbediente, metti una regola ad ogni mio orgasmo, dagli
un nome perché io ne ricordi, almeno il giorno o l’ora e
ne faccia un gingillo da appendere al collo. Ti prego
conducimi nel nulla, nel vuoto che sento, nell’unico
posto dove mi sento Regina, nei bassifondi di fango,
lungo i muri inzuppati, di umido e piscio, dove
s’acquattano gatte che disperdono odore.
Affittami al primo, chiunque lui sia, amico o parente,
un estraneo ora che passa per strada, e poi dammi un
prezzo, quello che valgo, per farmi sentire come mi
sento, una merce al mercato, un biglietto al casello, un
pesce che ributti in mare, una panchina all’aperto per
barboni di notte. Cambiami il nome, chiamami come,
l’ultima donna che t’ha fatto impazzire, che ogni tanto
rivedi per farci l’amore, per fare confronti e darmi dei
voti.
Convincimi dai, urlami addosso, che non
c’è gelosia se t’amo davvero, dimmelo ora, dimmelo
adesso, non lasciare incompiuta la pazzia che ti offro,
chiedimi ora in dono una donna, obbligami a guardarla
con gli stessi tuoi occhi, dimmi che lei è più bella,
che lei è più brava, e fammi indossare gli stessi
stivali, questi tacchi che porto che sono di un’altra,
per prepararti il percorso, per facilitarti il tragitto,
per godere ai suoi urli, come se m’illudessi di stare al
suo posto.
Fammi sentire divina ed oscena, in
cielo e all’inferno, padrona e sconfitta, Dio, quello
sguardo, il respiro affannoso! Dio, quel tremore di
labbra in arsura! È un buco nell’anima che m’annebbia la
vista, mi sento femmina, fragile e ricca, lascialo
andare, che lieviti ancora, mischia il sapore di baci e
d’umore, scivola, arrenditi, fammi cadere, stringimi
abbracciami, fammi godere.
Perché tu sia di
nuovo una roccia, la mia pietra ed il sole ed io il
vento a scirocco, che riscalda i tuoi sensi, il richiamo
ossessivo, di sirene che seducono maschi, tante quante
ne reclama la brama, tante quante la mia mente mai possa
arrivare. Negli anfratti del tuo vizio, nelle siepi dove
m’offri, tra cartacce ed avanzi, e gli odori di quei
cani, che a branchi fanno il giro, che da soli si fan
maschi e mi fanno come vuoi e mi dicono bella e mi
dicono altro.
Sono tante e sono una, quella che
ti fa godere, quella che cerchi ogni volta a quest’ora,
quella che stasera hai incontrato per caso e mi hai
chiesto quanto tempo ci avrei messo, per scaldare il tuo
letto, per sentirti più maschio. Sono il nulla, una
vertigine vuota, inanimata ti guardo come bambola che ti
fissa ed aspetta il suo contrario, aspetta il suo pieno,
aperta al mondo che si sazia, dell’idea e dell’attesa,
d’un sogno ricorrente, che ti fa soldato e padrone, che
ti fa guerriero della notte, combattente nel mio sesso,
che risale la corrente, salmone nel mio mare, che mi
piega al tuo volere, e poi ti culla e mi fa madre, che
ti lecca le ferite, che raccoglie il mio sudore, come
foce e come sponda, che fa di mare una sola onda.
Ti prego ora non fermarti, rimani qui dentro, nella
tua donna, la sola che confonde l’anima col sesso, che
tracima di voglia, che trattiene e si comprime per il
gusto di aspettare, finché un fiume sotterraneo risalga
in superficie ed esploda in un fragore come lampi e
tuoni e rombi che rischiarino la valle. Sono il tuo
angelo custode e il demonio tentatore, l’altro Dio che
non riconosci come tale, dea, madonna, santa e spirito
del male, sono una e sono tante, madre, figlia ed
amante, amica e sconosciuta, sorella e nemica, donna a
pagamento, che s’offre a pezzi o tutta intera, che
conosce la sua parte, che conosce cosa vuole, frutto del
destino, per travolgere il tuo passato, per sconvolgere
il presente, e cambiare il tuo futuro.
Ti prego
ora non fermarti, rimani qui per ore, baciami oltre il
tuo piacere, il mio che lento si dirada al tuo calore,
ti prego rimani, non andare, perché quel chiarore
all’orizzonte sia la nostra prima alba dove sboccerà un
nuovo amore e queste ore che la precedono siano la
nostra prima notte di quiete.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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