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IL RACCONTO E'
ADATTO AD UN PUBBLICO ADULTO
LiberaEva
L'amore non ha un
nome
"Lui diventa evanescente come l’acqua del
mare che resta in un pugno, lontano come un
treno che si è appena perso per sempre, ma di
notte ti viene vicino, s’infila incorporeo
tra le lenzuola stirate, emanando un forte
calore che t’incatena leggero, come la tela d’un
paracadute che atterra, che soffice copre e
ti toglie il respiro."
Photo Pavel
Ryzhenkov
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Ci sono dei giorni che hanno un sapore
dolciastro come lo sterco di storni quando fa buio, t’affidi all’odore e
ti lasci guidare, nonostante tu conosca benissimo da dove provenga, che è
solo melma, merda che ti riempie la bocca, e ripeti ossessiva per
assaporarne il disgusto. Lui diventa evanescente come l’acqua del mare che
resta in un pugno, lontano come un treno che si è appena perso per sempre,
silente quanto due lacrime sporche di rimmel che non sei riuscita a
fermare. Di notte ti viene vicino, s’infila incorporeo tra le lenzuola
stirate, emanando un forte calore che t’incatena leggero, come la tela
d’un paracadute che atterra, che soffice copre e ti toglie il respiro. E
lo senti insolente come gli capitava di rado, che scivola piano tra le
pareti infiacchite quanto un aliante tra i versanti rocciosi, come un
gabbiano attraverso la nebbia.
Ci sono dei giorni quando esci al
tramonto e t’avvii e t’immergi nella solita sera di strade e pensieri, gli
stessi negozi lungo i tuoi marciapiedi dove conosci a memoria avvallamenti
e tombini. Ti tieni alla larga dalle grate di ferro, come se le scarpe che
porti avessero ancora tacchi di fata, come se il tempo non fosse passato a
prosciugarti quel sangue che irrorava i tuoi dubbi. T’intravedi tra le
luci e i riflessi delle vetrine e ti ripeti ossessiva che non sei sola,
che se solo volessi potresti avere la mente occupata dal vestito che metti
stasera, potresti stare qui a mangiarti l’asfalto per anticipare quel
ritardo cronico che ti contraddistingue da sempre.
Da quando sei
tornata a vivere sola, non c’è giorno che tu non abbia un invito, che
qualcuno non ti proponga di passare la sera lontana da casa, lontana da
quella che credono noia. Ti vedono trasandata, ma il ricordo di quanto eri
bella stuzzica la fantasia di rivederti rinascere. Ma tu rifiuti, anzi
l’anticipi per non vederli delusi, come se fossi occupata da tanti
impegni, come se non avessi un minuto di tempo prima che le giornate
volgano alla fine. Li vedi e ci credono, credono davvero che tu sia già
presa, perché una donna separata è come un’offerta al mercato da prendere
in fretta prima che altri ne esauriscano la merce e ne logorino il vestito
nei punti dove s’appiccicano gli occhi.
Se sapessero invece che non
t’aspetta nessuno, che quando rientri devi spalancare porte e finestre
perché l’odore di chiuso ti prende alla gola, perché il rimbombo dei passi
t’ingrandisce il vuoto dove precipiti ogni volta che accendi la luce e non
vedi nessuno. Ma è un attimo, un banale attimo che passa, annientato dalla
convinzione che non potresti chiedere di meglio a te stessa, alla tua
volontà d’amarti prima d’ogni cosa, senza più vivere nel timore di non
essere accettata o peggio trascurarti in nome d’un amore che ad oggi non
ne riconosci l’odore.
Da quando è successo non c’è stato uomo che
t’abbia destato interesse, non c’è stato delirio che t’abbia annegata
dentro due occhi per poi assaporare baci e carezze e riprendere fiato. Vai
incontro ai giorni perché tutto ciò non accada, perché solo nella mente
degli altri s’allochi la certezza che sei piena d’impegni. Sapessero
invece quanto da sola passi le ore, che uniche scorrono senza appaiarsi,
che ammassate le lasci fuori di casa perché a nulla ti servono quando
chiudi la porta, a nulla servirebbero per sentirti più donna. Non hai
voglia di correre a casa e indossare un vestito da sera, truccarti la
faccia ed il cuore per qualcuno che non sia te stessa, per non far
trasparire ciò che di più prezioso nasconde. Nasconde te stessa, la tua
voglia infinita che hai scoperto da poco, di restare in casa e goderti
spirito, carne e cervello, che ami al punto d’essere certa che per nessun
altro uomo faresti altrettanto. Ti convinci che sarebbe sprecato
spartirti, diluirti, che nessuno t’apprezzerebbe intera per quella che
sei, ma soltanto per l’unica parte che chiedono all’una di notte.
Queste vetrine ti fanno sentire fuori dal mondo, queste luci, questi
colori più grigia di quanto t’ostini e ti vesti. Sono mesi che raccogli i
capelli e li giri, li lavi e l’asciughi senza dargli una piega, un minimo
tocco che quando li sciogli non ti facciano assomigliare ad una vera
pannocchia. Sono mesi che non cambi la borsa per dare ordine ai tuoi tanti
ricordi, sono mesi che vorresti ribellarti, ma poi t’adagi sul pensiero
che solo da sola ti basti davvero.
Gli sguardi degli uomini si
trattengono il necessario per rendersi conto che nulla s’intravede oltre
quello che appare. I loro occhi schizzano e vanno via veloci alla ricerca
di fertili appigli su altre donne, forse più belle, forse più sensuali, ma
di sicuro bisognose di attenzioni e mazzi di fiori. Non sanno invece che
da sola, come un papavero in una distesa d’ortiche, tu sbocci e
rifiorisci, che ti gratifichi più di quanto possa fare per gli altri.
Tra poco sarai sola con accanto la malattia di sentirti diversa, di
goderti a pieno solo quando non sei oggetto dei loro sguardi che scrutano
e pretendono che da una sola occhiata si possa fare una storia, si possa
ricostruire un passato. S’illudono pensando che dentro un paio di scarpe
ci si possa imbastire un incontro, che dentro una ciocca di capelli ci sia
la risposta che stanno cercando. Che ne sanno quanto questo grigio
nasconda colori, quanto questa pelle un’anima che rifiorisce ogni volta
che ti chiudi la porta alle spalle.
Allora sì che diventi come non
ti hanno mai vista, come vorrebbero che tu fossi, invasata da una sola
passione che nessun uomo ti potrebbe ancor più far risalire. Allora sì che
ti trasformi solo per i tuoi occhi, solo per le tue mani che si inzuppano
e t’intingono alla fonte dello stesso desiderio. Se sapessero quanto
impegno ci metti, quanto meticolosa scandisci il tuo tempo di pause e
tappe che ogni sera ripassi senza sgarrare.
Tutto nella lucida
follia d’appagarti di te stessa e non c’è evento che possa distrarti, che
possa farti cambiare il percorso. Tutto studiato nei dettagli come un
bagno di sali e di rose, come un riposo dentro un accappatoio di spugna,
come due mani che chiami, che brami nel preciso istante che le vedi
salire… Ti trucchi come ogni sera ti vuoi, come se i tuoi specchi avessero
due occhi di maschio che t’accettano passivi perché non hanno mai visto di
meglio, non hanno mai visto questa donna che chiude la lampo del vestito
così delicata come se stesse fasciando un bambino, non hanno mai visto
queste mani che srotolano calze e s’affrettano a cambiarle per un banale
filo tirato. Ti guardi, ti giri, ti volti per essere pronta e vederti
perfetta, guardi l’ora per essere in tempo, per non farti aspettare sul
divano in trepida attesa, perché tu possa gustare una cena tranquilla
prima di passare all’azione, prima che tu stessa t’inviti a favorirne il
bisogno, a sentirti più donna distesa che chiedi e ricevi.
Alle
volte immagini che se un uomo bussasse alla porta, che se entrasse in
questo momento sarebbe solo un intruso. Seduta in tavola ordini e ti
servi, accavalli le gambe per i tuoi stessi occhi, per le tue stesse
voglie che si fanno femmine e maschie senza avvertirne il distacco. Apri
una bottiglia di vino, delicatamente lo versi e l’assapori a piccoli
sorsi, come se davanti ci fosse un cameriere in attesa. “Gradisce
Signora?” Ti pare di sentire la voce servile mentre infila gli occhi nel
tuo decolté che subito ricopri. Perché sono tue, perché nessun’altro in
questa parte di mondo potrebbe saziarti e riempirti quel vuoto nel ventre
che ora ti sale. Aspetti che due sorsi ti diano brividi, che i lembi del
vestito scivolino frusciando sul nylon delle tue calze velate, e ti chiedi
se tutto questo non sarebbe da spartire, se i due occhi del cameriere
potessero ingigantire la voglia che senti, potesse colpirti nel punto che
ora offri a bersaglio, mentre il fiato s’ingrossa e tu t’accarezzi leggera
senza neppure sfiorare quei punti che reclamano il tatto, dove qualsiasi
maschio sarebbe già concentrato, starebbe lì a rivoltarti di fianco e
davanti senza sapere dove davvero s’annida l’incanto.
Trattieni il
respiro ed apri le gambe, socchiudi le labbra e stringi le cosce a piccole
dosi, a piccoli passi come se stessi ripassando dei versi, sapendo già che
quello che segue è un’immersione tranquilla in un immenso placido mare.
Sai già che tra poco ti stenderai sul letto e solo la luce di un neon
lontano righerà i tuoi seni. Tra poco ti chiederanno d’essere presi,
d’essere stretti con la stessa intensità che stringi, che accarezzi, che
riempi completamente l’incavo delle tue mani. Ti rigiri e ti rivolti
nell’attesa precisa che non tarda un secondo, che la ragione si faccia
istinto e la carne pensieri, che travalicano mari fino a ritrovarti
distesa tra piante d’ortensia mentre ti guardi dall’alto. Vedi e senti
carezze che diventano pugni, che decise sfilano vergogna e mutande per
guardarti le pieghe che offri ed eccitarti al pensiero che una donna nuda
in quel punto è una donna che chiede.
Ed ora sì che hai bisogno di
maschio, quello riposto con cura nel primo cassetto, avvolto nell’unico
fazzoletto di stoffa che ancora disponi. Sa d’amore e sapone, di violetta
e mughetto, sa di proibito ed imbarazzo, ma è il solo a cui permetti
d’allargarti le sponde che da mesi non hanno più visto la luce. Lo chiami,
ci parli e ti sfugge un sospiro di parole che scommetti d’amore, un
intenso piacere che ti sale, t’avvolge e scompare dentro l’unica ragione
di cui hai bisogno. Giuri e ti chiami come se fosse altra la voce, respiri
ed obbedisci sentendolo che sale più in alto di qualsiasi uccello che
scompare nel vuoto celeste. Giuri e gli prometti che nessun altro uomo
s’inumidirà le dita dentro questo piacere, t’accarezzerà questi profili
che solo ora riprendono forma e si fanno seni e labbra, si fanno donna che
accoglie il solo sesso che si muove perfetto alla voglia.
Lo senti
più forte che sale, che piano scende e si rivolta, che s’affatica e ti
penetra fino a toccarti il cuore, oltre il buio della tua solitudine,
oltre questo temporale che sbatte porte e finestre e ti rende più unica e
sola. Smani parole a volte più dolci, a volte volgari, senza la più remota
paura che lui ti possa mai lasciare in sospeso, che da un momento
all’altro possa essere così egoista e finirsi senza averti finito. Gridi e
ti cerchi oltre qualsiasi impedimento, oltre l’indecenza che si ribella al
pudore, perché da sola non c’è vergogna e non c’è dissenso, non c’è
dissonanza che ora, proprio in questo momento, potrebbe fermarsi di netto.
Lo senti che ti ama, che ti vuole quanto desideri d’essere amata, che
pretende e ti scardina l’anima più di quanto possa fare una fede. Lui è
perfetto, si muove come ti muovi, rallenta quando ne hai voglia, non ti
saluterà dopo l’amore, ma resterà quanto vuoi. E allora urli fiati e
parole mai uscite dalle bocche d’amanti, che non capirebbero perché nulla
ora ha un senso, nulla una voce, tranne questo raro ed impagabile maschio
che ancora ti cerca, ti ama e ti vuole, e solo ora t’accorgi di non
poterlo chiamare per nome.
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