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IL RACCONTO E'
ADATTO AD UN PUBBLICO ADULTO 
LIBERAEVA
L'amore non ha un nome
"Lui diventa
evanescente come l’acqua del mare che resta in un pugno, lontano
come un treno che si è appena perso per sempre, ma di notte ti viene
vicino, s’infila incorporeo tra le lenzuola stirate, emanando un
forte calore che t’incatena leggero, come la tela d’un paracadute
che atterra, che soffice copre e ti toglie il respiro."

Ci sono dei giorni che hanno un sapore dolciastro come
lo sterco di storni quando fa buio, t’affidi all’odore e
ti lasci guidare, nonostante tu conosca benissimo da
dove provenga, che è solo melma, merda che ti riempie la
bocca, e ripeti ossessiva per assaporarne il disgusto.
Lui diventa evanescente come l’acqua del mare che resta
in un pugno, lontano come un treno che si è appena perso
per sempre, silente quanto due lacrime sporche di rimmel
che non sei riuscita a fermare. Di notte ti viene
vicino, s’infila incorporeo tra le lenzuola stirate,
emanando un forte calore che t’incatena leggero, come la
tela d’un paracadute che atterra, che soffice copre e ti
toglie il respiro. E lo senti insolente come gli
capitava di rado, che scivola piano tra le pareti
infiacchite quanto un aliante tra i versanti rocciosi,
come un gabbiano attraverso la nebbia.
Ci sono
dei giorni quando esci al tramonto e t’avvii e t’immergi
nella solita sera di strade e pensieri, gli stessi
negozi lungo i tuoi marciapiedi dove conosci a memoria
avvallamenti e tombini. Ti tieni alla larga dalle grate
di ferro, come se le scarpe che porti avessero ancora
tacchi di fata, come se il tempo non fosse passato a
prosciugarti quel sangue che irrorava i tuoi dubbi.
T’intravedi tra le luci e i riflessi delle vetrine e ti
ripeti ossessiva che non sei sola, che se solo volessi
potresti avere la mente occupata dal vestito che metti
stasera, potresti stare qui a mangiarti l’asfalto per
anticipare quel ritardo cronico che ti contraddistingue
da sempre.
Da quando sei tornata a vivere sola,
non c’è giorno che tu non abbia un invito, che qualcuno
non ti proponga di passare la sera lontana da casa,
lontana da quella che credono noia. Ti vedono
trasandata, ma il ricordo di quanto eri bella stuzzica
la fantasia di rivederti rinascere. Ma tu rifiuti, anzi
l’anticipi per non vederli delusi, come se fossi
occupata da tanti impegni, come se non avessi un minuto
di tempo prima che le giornate volgano alla fine. Li
vedi e ci credono, credono davvero che tu sia già presa,
perché una donna separata è come un’offerta al mercato
da prendere in fretta prima che altri ne esauriscano la
merce e ne logorino il vestito nei punti dove
s’appiccicano gli occhi.
Se sapessero invece che
non t’aspetta nessuno, che quando rientri devi
spalancare porte e finestre perché l’odore di chiuso ti
prende alla gola, perché il rimbombo dei passi
t’ingrandisce il vuoto dove precipiti ogni volta che
accendi la luce e non vedi nessuno. Ma è un attimo, un
banale attimo che passa, annientato dalla convinzione
che non potresti chiedere di meglio a te stessa, alla
tua volontà d’amarti prima d’ogni cosa, senza più vivere
nel timore di non essere accettata o peggio trascurarti
in nome d’un amore che ad oggi non ne riconosci l’odore.
Da quando è successo non c’è stato uomo che t’abbia
destato interesse, non c’è stato delirio che t’abbia
annegata dentro due occhi per poi assaporare baci e
carezze e riprendere fiato. Vai incontro ai giorni
perché tutto ciò non accada, perché solo nella mente
degli altri s’allochi la certezza che sei piena
d’impegni. Sapessero invece quanto da sola passi le ore,
che uniche scorrono senza appaiarsi, che ammassate le
lasci fuori di casa perché a nulla ti servono quando
chiudi la porta, a nulla servirebbero per sentirti più
donna. Non hai voglia di correre a casa e indossare un
vestito da sera, truccarti la faccia ed il cuore per
qualcuno che non sia te stessa, per non far trasparire
ciò che di più prezioso nasconde. Nasconde te stessa, la
tua voglia infinita che hai scoperto da poco, di restare
in casa e goderti spirito, carne e cervello, che ami al
punto d’essere certa che per nessun altro uomo faresti
altrettanto. Ti convinci che sarebbe sprecato spartirti,
diluirti, che nessuno t’apprezzerebbe intera per quella
che sei, ma soltanto per l’unica parte che chiedono
all’una di notte.
Queste vetrine ti fanno
sentire fuori dal mondo, queste luci, questi colori più
grigia di quanto t’ostini e ti vesti. Sono mesi che
raccogli i capelli e li giri, li lavi e l’asciughi senza
dargli una piega, un minimo tocco che quando li sciogli
non ti facciano assomigliare ad una vera pannocchia.
Sono mesi che non cambi la borsa per dare ordine ai tuoi
tanti ricordi, sono mesi che vorresti ribellarti, ma poi
t’adagi sul pensiero che solo da sola ti basti davvero.
Gli sguardi degli uomini si trattengono il
necessario per rendersi conto che nulla s’intravede
oltre quello che appare. I loro occhi schizzano e vanno
via veloci alla ricerca di fertili appigli su altre
donne, forse più belle, forse più sensuali, ma di sicuro
bisognose di attenzioni e mazzi di fiori. Non sanno
invece che da sola, come un papavero in una distesa
d’ortiche, tu sbocci e rifiorisci, che ti gratifichi più
di quanto possa fare per gli altri.
Tra poco
sarai sola con accanto la malattia di sentirti diversa,
di goderti a pieno solo quando non sei oggetto dei loro
sguardi che scrutano e pretendono che da una sola
occhiata si possa fare una storia, si possa ricostruire
un passato. S’illudono pensando che dentro un paio di
scarpe ci si possa imbastire un incontro, che dentro una
ciocca di capelli ci sia la risposta che stanno
cercando. Che ne sanno quanto questo grigio nasconda
colori, quanto questa pelle un’anima che rifiorisce ogni
volta che ti chiudi la porta alle spalle.
Allora
sì che diventi come non ti hanno mai vista, come
vorrebbero che tu fossi, invasata da una sola passione
che nessun uomo ti potrebbe ancor più far risalire.
Allora sì che ti trasformi solo per i tuoi occhi, solo
per le tue mani che si inzuppano e t’intingono alla
fonte dello stesso desiderio. Se sapessero quanto
impegno ci metti, quanto meticolosa scandisci il tuo
tempo di pause e tappe che ogni sera ripassi senza
sgarrare.
Tutto nella lucida follia d’appagarti
di te stessa e non c’è evento che possa distrarti, che
possa farti cambiare il percorso. Tutto studiato nei
dettagli come un bagno di sali e di rose, come un riposo
dentro un accappatoio di spugna, come due mani che
chiami, che brami nel preciso istante che le vedi
salire… Ti trucchi come ogni sera ti vuoi, come se i
tuoi specchi avessero due occhi di maschio che
t’accettano passivi perché non hanno mai visto di
meglio, non hanno mai visto questa donna che chiude la
lampo del vestito così delicata come se stesse fasciando
un bambino, non hanno mai visto queste mani che
srotolano calze e s’affrettano a cambiarle per un banale
filo tirato. Ti guardi, ti giri, ti volti per essere
pronta e vederti perfetta, guardi l’ora per essere in
tempo, per non farti aspettare sul divano in trepida
attesa, perché tu possa gustare una cena tranquilla
prima di passare all’azione, prima che tu stessa
t’inviti a favorirne il bisogno, a sentirti più donna
distesa che chiedi e ricevi.
Alle volte immagini
che se un uomo bussasse alla porta, che se entrasse in
questo momento sarebbe solo un intruso. Seduta in tavola
ordini e ti servi, accavalli le gambe per i tuoi stessi
occhi, per le tue stesse voglie che si fanno femmine e
maschie senza avvertirne il distacco. Apri una bottiglia
di vino, delicatamente lo versi e l’assapori a piccoli
sorsi, come se davanti ci fosse un cameriere in attesa.
“Gradisce Signora?” Ti pare di sentire la voce servile
mentre infila gli occhi nel tuo decolté che subito
ricopri. Perché sono tue, perché nessun’altro in questa
parte di mondo potrebbe saziarti e riempirti quel vuoto
nel ventre che ora ti sale. Aspetti che due sorsi ti
diano brividi, che i lembi del vestito scivolino
frusciando sul nylon delle tue calze velate, e ti chiedi
se tutto questo non sarebbe da spartire, se i due occhi
del cameriere potessero ingigantire la voglia che senti,
potesse colpirti nel punto che ora offri a bersaglio,
mentre il fiato s’ingrossa e tu t’accarezzi leggera
senza neppure sfiorare quei punti che reclamano il
tatto, dove qualsiasi maschio sarebbe già concentrato,
starebbe lì a rivoltarti di fianco e davanti senza
sapere dove davvero s’annida l’incanto.
Trattieni il respiro ed apri le gambe, socchiudi le
labbra e stringi le cosce a piccole dosi, a piccoli
passi come se stessi ripassando dei versi, sapendo già
che quello che segue è un’immersione tranquilla in un
immenso placido mare. Sai già che tra poco ti stenderai
sul letto e solo la luce di un neon lontano righerà i
tuoi seni. Tra poco ti chiederanno d’essere presi,
d’essere stretti con la stessa intensità che stringi,
che accarezzi, che riempi completamente l’incavo delle
tue mani. Ti rigiri e ti rivolti nell’attesa precisa che
non tarda un secondo, che la ragione si faccia istinto e
la carne pensieri, che travalicano mari fino a
ritrovarti distesa tra piante d’ortensia mentre ti
guardi dall’alto. Vedi e senti carezze che diventano
pugni, che decise sfilano vergogna e mutande per
guardarti le pieghe che offri ed eccitarti al pensiero
che una donna nuda in quel punto è una donna che chiede.
Ed ora sì che hai bisogno di maschio, quello riposto
con cura nel primo cassetto, avvolto nell’unico
fazzoletto di stoffa che ancora disponi. Sa d’amore e
sapone, di violetta e mughetto, sa di proibito ed
imbarazzo, ma è il solo a cui permetti d’allargarti le
sponde che da mesi non hanno più visto la luce. Lo
chiami, ci parli e ti sfugge un sospiro di parole che
scommetti d’amore, un intenso piacere che ti sale,
t’avvolge e scompare dentro l’unica ragione di cui hai
bisogno. Giuri e ti chiami come se fosse altra la voce,
respiri ed obbedisci sentendolo che sale più in alto di
qualsiasi uccello che scompare nel vuoto celeste. Giuri
e gli prometti che nessun altro uomo s’inumidirà le dita
dentro questo piacere, t’accarezzerà questi profili che
solo ora riprendono forma e si fanno seni e labbra, si
fanno donna che accoglie il solo sesso che si muove
perfetto alla voglia.
Lo senti più forte che
sale, che piano scende e si rivolta, che s’affatica e ti
penetra fino a toccarti il cuore, oltre il buio della
tua solitudine, oltre questo temporale che sbatte porte
e finestre e ti rende più unica e sola. Smani parole a
volte più dolci, a volte volgari, senza la più remota
paura che lui ti possa mai lasciare in sospeso, che da
un momento all’altro possa essere così egoista e finirsi
senza averti finito. Gridi e ti cerchi oltre qualsiasi
impedimento, oltre l’indecenza che si ribella al pudore,
perché da sola non c’è vergogna e non c’è dissenso, non
c’è dissonanza che ora, proprio in questo momento,
potrebbe fermarsi di netto. Lo senti che ti ama, che ti
vuole quanto desideri d’essere amata, che pretende e ti
scardina l’anima più di quanto possa fare una fede. Lui
è perfetto, si muove come ti muovi, rallenta quando ne
hai voglia, non ti saluterà dopo l’amore, ma resterà
quanto vuoi. E allora urli fiati e parole mai uscite
dalle bocche d’amanti, che non capirebbero perché nulla
ora ha un senso, nulla una voce, tranne questo raro ed
impagabile maschio che ancora ti cerca, ti ama e ti
vuole, e solo ora t’accorgi di non poterlo chiamare per
nome.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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