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			RACCONTI D'AUTORE 
							
								   
								
			
			L’amore bello  
			"Sarà che ogni notte lei si arrende più 
			tardi, e nel suo sogno poi vengono uomini in tanti, che le fanno la 
			corte e lei che sorride, e la chiamano amore come se davvero lo 
			fosse. "   
			
			   
  
			
				
					
      				    
      				  
                            
                            
						 Sarà che ogni notte lei 
						si arrende più tardi e nel suo sogno poi vengono uomini 
						a frotte, che le fanno la corte, che la bramano in 
						tanti, e lei che sorride e lasciva poi cede perché la 
						chiamano amore come se davvero lo fosse. Sarà che sto 
						sveglio e trattengo il respiro, la sento che geme che 
						mugugna e si dona, e le guardo la faccia, i suoi seni 
						ripieni, duri appuntiti come se fossero brocche, per 
						dissetare le bocche, che aspettano il turno e la 
						prendono insieme.   Sarà che si muove come se 
						avesse catene, o due uomini ai lati la tenessero ferma, 
						e lei con i fianchi che spinge e che preme, a catturare 
						gli uccelli che volteggiano in aria. Sono rondini nere 
						che garriscono fitte, sotto nuvole basse che minacciano 
						pioggia, ed ognuna di loro è una minaccia e un insulto, 
						un sesso invitante che stasera s’inoltra.
  Sto 
						zitto e la vedo che rilassa la pelle, rasserena il suo 
						viso come se avesse deciso, chi sia il prescelto, a chi 
						dare le grazie, a un cavaliere che ha vinto la sfida di 
						morte, per essere lui il candidato del letto, che si 
						sazia di carne e si disseta di latte. Lo vedo che ora la 
						governa e la doma, la rivolta e la sporca come un cencio 
						di casa, perché le sue labbra si spalanchino a velo, 
						come un fiore si schiude al primo bacio di sole.
  
						Sarà che poi si ferma per qualche secondo, come se ne 
						aspettasse un altro diverso, ancora più grande che cerca 
						un’alcova, come un nido di cicogna a dicembre. Sento il 
						suo profumo di olio di noce, il suo nettare denso di 
						resina e miele, che esce fumante come grasso appagato, 
						ed allora in silenzio scorro il suo corpo, m'avvicino 
						leggero perché non si desti, fino a che la mia bocca ne 
						assapora l’essenza.
  Sento il suo odore che 
						terroso m’avvolge, quel ruscello bollente che sgorga dal 
						fondo, come acqua sulfurea, come prova d’amore, dove da 
						sempre non sono invitato. Succhio e la bevo, ma non 
						voglio svegliarla, perché sia mai che me ne possa 
						privare, di quei residui caldi che fluiscono a fiotti, 
						di quei sapori diversi di maschi ormai sazi.
  La 
						misuro e l’assaggio per indovinare il percorso, il luogo 
						stasera dove ha fatto l’amore, e quanti ne ha presi 
						singoli o doppi, e come l’ha fatto in ginocchio o 
						distesa. Chissà se all’aperto, nascosta tra i rovi, o in 
						un letto di aghi all’ombra dei pini, oppure una casa 
						all’ultimo piano, una parete a vetrata che guarda sui 
						tetti.
  La sento che parla, che sussurra velata, 
						parole che solo hanno un senso di notte, d’avanzi di 
						strada, di fuochi all’aperto, d’inverni passati a 
						riscaldare la merce. La sento, la vedo ed è tutto 
						permesso, perché nel suo sogno non ci sono soffitti, 
						perché sta volando e non ha bisogno di aerei, ma basta 
						alle volte agitare le braccia.
  Ogni tanto un 
						sapore che ritorna violento, è grasso più denso e 
						profuma di more, come fosse di uomo, sempre lo stesso, 
						l’unico in grado di farla godere. Le vedo le unghie che 
						si curvano al tatto, che graffiano la pelle dell’inguine 
						interno, poi sospese si spostano senza toccare, come 
						fosse un peccato planare nel mezzo.
  Le vedo le 
						dita che s’accartocciano a pugno, come se l’uomo 
						l’avesse già presa, e lei che lo aiuta a sfamare il 
						bisogno, a rabbonire la parte dove nasce l’istinto. Sarà 
						che poi geme, che fiata e che soffia, a cadenza precisa 
						che spacca il secondo, come fosse la misura del sesso 
						che entra, e formasse una bolla di vuoto che esce. 
						 La vedo alle volte che tiene e trattiene, ed altre 
						s’impunta e s’imperla la fronte, ma caparbia si cerca 
						s’accanisce e si spreme, fino all’ultima goccia che a 
						fatica compare. Alle volte mi chiedo se ogni tanto mi 
						sogna, se sono quell’uomo che le addensa l’orgasmo, se 
						solo nel sogno mi ricompone la faccia, che di giorno 
						rimane frastagliata ai suoi occhi.
  Muto la chiamo 
						perché se ne accorga, perché lei sia libera ed io in 
						disparte, a contemplarla nel sogno finché l’alba si 
						schiara, ad accontentarmi di spiccioli come resto 
						dovuto. Alle volte mi chiedo se dorme davvero, se nel 
						gioco poi finge e diviene reale, perché è l’unico amore 
						che la soddisfa e la sazia, perché sveglia dovrebbe 
						concedersi oltre.
  Lei non vuole, non l’abbiamo 
						mai fatto, le nostre notti sono colme di baci e parole, 
						sono fiati e calore che si cuciono stretti, e il sonno 
						ci prende lasciandoci intatti. Ogni volta succede che la 
						bacio e la copro, perché dorma il suo sonno fino 
						all’alba domani, perché sia mai che possa scoprirlo, e 
						il sogno evidente arrossisca il suo viso.
  Sarà 
						che non voglio che mai possa accadere, ritrovarmi domani 
						e altre sere da solo, a guardarla che dorme, che dorme e 
						non sogna, ed io che rimango a fissare il soffitto. Poi 
						di colpo il silenzio e spengo la luce, nel sonno 
						profondo non chiede più altro, ed io che la guardo, sia 
						mai che la tocchi, e felice le bacio il suo viso sereno, 
						e l’accarezzo un instante ringraziando quel Cielo, 
						d’avermi dato per sempre l’amore più bello.  
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                        	Il racconto è frutto di 
		fantasia.  Ogni riferimento a persone e fatti  realmente accaduti 
			è puramente casuale. 
							
							
  
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