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RACCONTO 
Adamo Bencivenga
Dove fioriscono i capelli
"Accarezzami dove fioriscono i capelli, sopra le macerie fumanti
dei miei sudori. Fammi distinguere il verso d’una passera che cova,
da quello di una merla in cerca del suo maschio"

Accarezzami dove fioriscono i capelli, sopra le
macerie fumanti dei miei sudori. Fammi distinguere il
verso d’una passera che cova, da quello di una merla in
cerca del maschio, lo stesso che negli anni non sono
riuscita a sentire. Non dire nulla, ti prego, che non
sappia d’amore, ascolta il silenzio di questa trama di
seta, di questa foglia di vite che danza, che cade e
m’avvolge come regalo che offro e ti dono.
Ripeti
il mio nome per sentirne il fruscio, l’onda di suono che
mi fa femmina bella, la nota dei sensi che densa
galleggia come se non m’avessi mai chiamata, e chiamami
ti prego, perché il paradiso non può essere altrove, se
non tra queste mie gambe che scomposte ti chiedono
aiuto.
Sì ora ti sento, sono tue le mani che
disegnano esatte il profilo dei fianchi, il ventre del
sesso dove intingi le dita, e ne gusti il sapore e ti
disseti l’arsura. Sanno di buono, sanno di me, di
nettare e miele, di resina e polpa, che cola dal tronco
di un acero donna.
M’avvicini in un gioco
sospeso, dove non ci sono regole e ruoli, e i tuoi occhi
danno già per certo che perdo, che il pegno sono queste
mie cosce, come una sposa la prima notte d’amore, come
una madre che brama dalla voglia di esserlo.
Fa
che l’odore di terra mi salga dal cuore, che la pioggia
che batte si faccia leggera e rimanga a scintillare
contro il sole al tramonto. Non parlare. Qualsiasi
parola, che non sia il mio nome, righerebbe il silenzio,
come spine di rose sul mio seno proteso, che mi cerchi e
ne fai sorgente, in un orizzonte di sabbia e di dune.
Dissetati dentro questa natura, ingozzati di questo
mistero, che mi fa regina ogni qualvolta mi mostro, che
ti fa suddito devoto al piacere che sgorga. Vorrei dare
un nome ad ogni foglia che calpesto, impararlo a
memoria, così come ad ogni passo, un suono ed un rumore,
per ricordarlo domani e chiamarlo per nome.
Vorrei che questo corpo non avesse la pelle, così che tu
possa dissetarti del sangue, di tutti gli uomini che
hanno goduto ferendolo a morsi. Ti prego non chiedermi
perché ora mi offro, se nei miei anni c’è un uomo con
gli stessi tuoi occhi, se ora c’è una colpa che porto
fin sopra i capelli.
Guardami, come se m’avessi
scovata dentro un guscio di noce, tra le spine dei rovi
come more e lamponi. Accecati al rosso delle mie labbra
perfette, abbagliati e pretendi rispetto, per ogni
goccia che s’addensa e s’aggruma, per ogni goccia di
seme che mi sfama e mi disseta, nei canali prosciugati
dove ristagna solo melma.
Lascia che le mie gambe
diventino foce, di tutte le piogge che corrono al mare,
di rami, di trote e bottiglie ormai mute, che riparano
gelose invocazioni d’amore. Ascolta il rumore di questo
seno che dondola, e selvaggio mi sfida ad esser fedele,
ad un’unica bocca, ad un’unica voglia, che mi strizza i
pensieri e me ne chiedo ragione, e mi fa remissiva,
cedevole, incredula, come fossi una rete che ad ogni
maglia si slabbra. Assapora il mio seno come fosse il
primo che lecchi, come quello di una vergine che non ha
ancora capito, quale sia la differenza tra dolore e
piacere, e perché nessun sentimento potrà mai darle
conforto.
Prendimi, prima che le tue mani esitino
all’angoscia di non farmi godere, prima che le mie dita
ritornino esili e riprendano forma. Prendimi, saprò di
nulla e bugia se proprio vuoi che rimanga nel sogno, se
proprio non vuoi che sia fatta di carne. Prendimi sarò
docile e mansueta come un cane abbandonato, eterea e
fragile come una rosa in inverno, come un bimbo
racchiuso dentro la mano di un padre.
Se questo
fosse il paradiso vorrei già essere morta, ma se per
caso fosse l’inferno, peccherei ogni giorno, per
guadagnarmi questo oblio di spirito e carne. Ora le
sento, queste mani scellerate che esperte mi toccano, e
mi sfiorano come se conoscessero ogni istante che segue,
come se alba e tramonto non avessero un giorno di mezzo
e continuassero a girare in un vortice denso di brama e
passione.
Mi fai sentire incompleta perché ti
desidero, convinta che il mio corpo sia imperfetto, da
ora, da oggi, da quando son nata, difettoso d’amore in
ogni sua parte, che tocchi, che scavi, e ne cadenzi i
respiri. Ora ti sento! Impaziente come qualsiasi uomo,
mi cerchi dove l’anima si scompone al piacere. Mi volti
e mi rivolti per riempirmi di maschio in ogni dove
natura m’ha fatto capiente.
Incredula tremo e
t’imploro di essere almeno reale, di chiamarmi per nome
perché di null’altro ho bisogno. Amore, infinito amore,
dimmi che esisti, che queste mani non sono le mie, e il
vapore che alita il ventre sono parole che non potrei
mai dire. Dimmi che ci sei, che sei ragione ed istinto,
natura che torna come l’aprile che sboccia le rose, come
l’estate che matura il grano, prima che la falce non lo
recida dal gambo.
Se mi dicessi amore sarebbe
pazzia, se mi dicessi che m’ami sarebbe un sogno
soltanto. Taci, ti prego taci, perché se amore esiste,
non ci sono parole dentro questo silenzio.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale. IMMAGINE GENERATA DA IA
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