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INTERVISTA
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Tullia d'Aragona
La cortigiana dei Poeti
Era figlia dell'amore e visse sacra all'amore. Figlia di una
cortigiana ferrarese, Giulia Campana, chiamata la Ferrarese perché
nativa di Adria, e presumibilmente del cardinale Luigi d’Aragona.
Cortigiana dalla bellezza rifulgente e raffinata, Tullia fu
un’autentica figlia del Rinascimento, colto e naturalistico. 1508 –
1556

Passò alla storia per aver largamente
distribuito, nel suo primo soggiorno romano, i piaceri
della sua alcova. Fu insieme musa di poeti e venditrice
d’amore. Una sola notte con lei poteva arrivare a
costare l’iperbolica cifra di cento scudi!
Le sue origini madame? Sono nata a Roma nel 1508, mia
madre era Giulia Campana, molto bella e molto nota
nell’alta società di allora.
Nacque da un’unione
illegittima vero? Chi era suo padre? Non lo so… forse
Luigi d’Aragona, arcivescovo di Palermo, nobile di
sangue reale, nipote del re Alfonso II di Napoli e
cardinale tra i più in vista durante pontificato di
Leone X, ma ufficialmente all’anagrafe risultavo figlia
di Costanzo Palmieri d’Aragona, cugino di Luigi
d’Aragona e con meno problemi di attribuirsi la
paternità.
Dove trascorse la sua infanzia? A
Roma, poi mi trasferii a Firenze e poi Siena, ricevendo
sempre un'educazione d’alto lignaggio, raffinata e
colta. Appresi l’arte della seduzione senza tralasciare
gli studi, perché una cortigiana non poteva essere una
donna rozza. Così imparai a scrivere e ad argomentare in
latino, alla pari di un degno letterato, tanto da poter
competere con chiunque del mio tempo.
Perché
tornò a Roma? Mia madre, intuendo le mie qualità, sia
artistiche che seduttive, mi riportò a Roma. A suo
parere un ambiente più ricco ed elegante e soprattutto
pieno di prospettive per il mestiere che mia madre aveva
in mente per me.
Ed è proprio la raffinatezza a
distinguerla dalle altre sue colleghe… Alcuni
letterati paragonarono il mio fascino a quello di
Cleopatra. Trasformai la mia alcova in un raffinato
salotto letterario, e non per vantarmi ebbi moltissimi
frequentatori, soprattutto uomini di cultura e poeti.
Le stava stretto il titolo di cortigiana dei
poeti? Assolutamente no! Lo adoravo, nella mia casa
si animavano intense discussioni che vedevano coinvolte
personalità come Filippo Strozzi, il cardinale Ippolito
de’ Medici e scrittori alla stregua di Bernardo Tasso,
Giulio Camillo Delminio, Francesco Maria Molza e Sperone
Speroni. Mi compiacevo di essere la loro musa, ma allo
stesso tempo amavo scrivere.
Si dilettava anche
nella musica vero? “Intrattenevo gli ospiti
accarezzando gl’istrumenti musicali con dolcezza, e
maneggiavo la voce cantando così soavemente, che i primi
professori degli esercizj ne restavano maravigliati.”
(A. Zilioli)
Girolamo Muzio si innamorò
perdutamente di lei… Mi dedicò numerosi componimenti
poetici.
Lui nei suoi sonetti la descrive come
una donna di rara bellezza, forse unica… Molti poeti
furono sedotti dalla mia bellezza. Ero alta di statura,
ma sinceramente non bella. Anche se i miei occhi erano
grandi ed espressivi e avevo i capelli biondi sono certa
che la mia capacità di intrattenere gli ospiti
influenzava di gran lunga il giudizio sul mio aspetto
fisico.
Rimase a Roma fino al 1531, poi cosa
successe? La mia dipartita da Roma fu una vera e
propria fuga. Avevo conosciuto nella città eterna un
tedesco, un certo Gianni, uomo deplorevole e ributtante.
Innamorato di me, dietro pagamento di un compenso da far
girare la testa, mi propose di trascorrere insieme una
settimana intera d’amore.
A quanto ammontava il
compenso... se posso? Cento scudi a notte! Era una
cifra davvero iperbolica ed io sono sempre stata molto
sensibile al denaro per cui accettai, ma il tedesco era
un tipo a dir poco nauseabondo per cui non riuscii ad
andare oltre una notte.
Immagino che la notizia
fece il giro della città. Purtroppo sì e macchiata di
infamia fui costretta a partire. Andai prima a Ferrara e
poi a Siena.
Poi anche un breve periodo a
Venezia. I versi di Giraldi Cinzio mi avevano
letteralmente amareggiata. Lui mi descrisse
esclusivamente come una prostituta d’alto bordo: “Tullia
de l’altre vuol esser maggiore / E vuol fantesche e
paggi e nane, e sfoggia / E fa con tutti i giovani
l’amore.”
Come andò nella Serenissima? Mi
attirava di Venezia la fama di città splendida, galante
e soprattutto tollerante nei confronti delle cortigiane
attorno alle quali scorrevano fiumi di denaro. Una volta
lì mi accorsi che l’offerta risultava di parecchio
superiore alla domanda e la concorrenza era così forte
che non conosceva esclusione di colpi. Tenga conto che
io avevo ormai trent’anni e le altre cortigiane molto
più giovani e ben agguerrite non erano per niente
disposte a farsi da parte per lasciare spazio a una
venuta da fuori.
Quindi non riuscì a primeggiare…
Purtroppo no, pensi che Lorenzo Venier, un poeta amico
dell’Aretino e autore di poemi osceni, stilò un elenco
in versi delle cortigiane, con tanto di nome e prezzo,
ed a me assegnò l’ottavo posto! Lo considerai un
affronto e allora decisi di andare via da Venezia.
A Siena nel 1543 si sposò con un certo Silvestro
Guicciardini, come mai? Dovevo tutelarmi dalle severe
leggi in materia di prostituzione. Ero perseguitata
dagli Esecutori Generali di Gabella che mi accusavano di
vestire e portare ornamenti vietati alle meretrici. Una
cortigiana onesta doveva essere maritata!
Nel
1545 la troviamo a Firenze… In tema d’ispirazione
poetica fu il mio periodo più fecondo. Dedicai a Cosimo
I de' Medici, Duca di Firenze, la mia opera più famosa,
il Dialogo della infinità d'amore. Poi la raccolta delle
Rime di ispirazione petrarchesca, che dedicai alla
duchessa Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I e mia
protettrice. E poi ancora alcuni sonetti in ottave, un
rifacimento del Guerrin Meschino che tradussi da una
edizione spagnola.
Nella vita privata altre
difficoltà immagino… Il problema è che mi ritenevo
una poetessa, una donna di cultura e dimenticavo spesso
che per gli altri in realtà ero prima di tutto una
cortigiana, o per meglio dire una meretrice, alla quale
non era concesso vestire ed atteggiarsi da nobildonna.
Per obbedire alle leggi suntuarie dell’epoca ero
costretta a indossare il velo giallo che serviva a
distinguermi dalle gentildonne oneste.
Quindi
ripartì per Roma… Tornai a Roma sì credendo di
rivivere i fasti della mia giovinezza, andai a vivere in
una meravigliosa casa a Palazzo Carpi nei pressi della
parrocchia di S. Agostino. Purtroppo nel febbraio del
1547 morì mia sorella Penelope, non ancora
quattordicenne e, subito dopo, mia madre Giulia.
Ormai a Roma si respirava il clima della
Controriforma… Già, per me fu difficile adattarmi,
addirittura fui sanzionata con una tassa proporzionale
all’affitto della casa in cui abitavo. Fui costretta a
indossare la reticella di colore giallo in testa
rischiando umilianti punizioni come capitò alla famosa
cortigiana romana Isabella di Luna, alla quale il
governatore di Roma fece infliggere sulla pubblica
piazza cinquanta frustate sulle natiche nude: uno
spettacolo a cui metà del popolo romano non rinunciò ad
assistere.
Tempi duri… Avevo problemi
economici, fui costretta a lasciare la mia casa e
fissare la mia dimora nel rione Trastevere, in una casa
di poche pretese dell’oste Matteo Moretti da Parma. La
fama di donna “galante” mi perseguitò ancora non
permettendomi di ottenere fino in fondo il favore del
pubblico, il resto lo fecero le malelingue che
continuarono senza esitazione a chiamarmi “La cortigiana
dei Poeti”.
Di certo sappiamo che il 2 marzo del
’56 dettò le sue ultima volontà nel testamento. Forse
morì lo stesso mese, forse in solitudine, aveva 48 anni,
ma non vi è certezza. Venne sepolta nella chiesa di
S. Agostino a Roma, accanto alla mamma e alla sorella.
“Era figlia dell'amore e visse sacra all'amore” (C.
Téoli, 1864).
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-daragona-la-cortigiana-amata-dai.html
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