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Jayne Mansfield
La tragedia in biondo platino
Considerata una sex symbol, celebre per la sua capigliatura
biondo platino e per il suo profilo, raggiunse la fama negli anni
'50 seguendo - anche sulle pagine di Playboy - la scia delle pin-up
aperta da Marilyn Monroe, sua grande rivale.
(Bryn Mawr, 19
aprile 1933 – Slidell, 29 giugno 1967)

Madame, le sue origini? Sono nata in
Pennsylvania da genitori di origine italiana. Mio padre,
Erberio Palmieri, emigrato giovanissimo negli Stati
Uniti, aveva trasformato il suo nome in quello di
Herbert ed il cognome in Palmer. Cosa faceva
suo padre? So che faceva l’avvocato, ma io l’ho
conosciuto poco perché se ne andò di casa quando avevo
tre anni e morì poco dopo per un attacco cardiaco e mia
madre per mantenermi iniziò a lavorare prima come
cameriera e poi come maestra di scuola. Una
infanzia e una adolescenza difficili… Mia madre si
risposò e ci trasferimmo a Dallas nel Texas. Ero
abbastanza brava a scuola, imparai a suonare il violino
e mi esibivo sui marciapiedi per i passanti. Ma il mio
desiderio era quello di diventare attrice. A 16
anni era già madre di una bambina… Fu frutto di una
violenza durante una festa in casa di amici. Un ragazzo
senza scrupoli prima mi fece ubriacare di whisky e poi
passò alle vie di fatto. Jayne Mansfield è un
nome d’arte vero? Il mio nome è Vera Jayne Palmer,
Mansfield era il nome del mio primo marito. Paul mi
sposò quando ero ancora incinta. Lui era uno studente
universitario disposto a fare da padre alla bambina. Un
ragazzo dal cuore d’oro e un padre meraviglioso pieno di
affetto e di attenzioni per la piccola Jayne-Marie, ma
assolutamente squattrinato. E fu una vita di stenti, di
grandi sacrifici: dovetti adattarmi a fare la
cigarette-girl in un cinematografo, lui la maschera
nello stesso locale. Poi cosa successe? A
Dallas incontrai Baruch Lumet, padre del regista Sidney
Lumet, che decise di aiutarmi e mi prese sotto la sua
protezione. Frequentai le sue lezioni di recitazione al
Dallas Institute of the Performing Arts, da lui fondata.
Il 22 ottobre 1953 feci la mia prima apparizione su un
palcoscenico in una produzione di “Morte di un commesso
viaggiatore” di Arthur Miller. Le biografie
parlano di numerosi premi vinti in diversi concorsi di
bellezza… Beh sì era molto bella, ma le mie
aspirazioni erano altre. Parlavo cinque lingue ed oltre
al violino suonavo il pianoforte. Per me non fu facile
scoprire che non erano le mie capacità artistiche ad
interessare il pubblico bensì la mia procace e
provocante bellezza. Se ne fece una ragione?
Direi proprio di sì… E il matrimonio come
andava? Paul credeva che la nascita di mia figlia
avesse scoraggiato il mio desiderio di intraprendere la
carriera cinematografica. Ma non era così. Nel 1954
accettò di trasferirsi con me a Los Angeles e mentre lui
si arrangiava facendo vari lavori, io ripresi gli studi
di teatro all'Università della California.
Quando avvenne la svolta? Non ci fu una svolta vera e
propria. Lentamente mi feci conoscere e già nel ’54 feci
qualche particina al cinema e l’anno dopo salii sul
palcoscenico di Broadway nella commedia di George
Axelrod Will Success Spoil Rock Hunter? Ma il
successo venne per un servizio sulla rivista Playboy…
Fui scelta come playmate del mese ed apparvi
completamente nuda. Mesi dopo mi cimentai in una
spiritosa imitazione della diva Marilyn Monroe, allora
ventinovenne e già all’apice della gloria, ricca e
famosa. Da quel giorno ebbi un chiodo fisso: ricalcare
le orme della grande Marilyn. E il cinema? A
Hollywood ebbi il mio primo ruolo importante nella
commedia musicale The Girl Can't Help It di Frank
Tashlin e il 3 maggio 1956 firmai il mio primo contratto
con la 20th Century Fox. Poi altri successi
vero? Tentavo di scollarmi di dosso l’immagine di oca
bionda cercando di affermarmi come attrice drammatica e
quindi accettai film come The Wayward Bus un adattamento
del romanzo di John Steinbeck e Kiss Them for Me assieme
a Cary Grant. Era un momento importante per me,
ricevetti molte proposte importanti tra le quali il
ruolo di protagonista in Una strega in paradiso con
James Stewart, ma dovetti rinunciarvi perché ero
incinta. Hollywood si dimenticò di lei… Feci
delle scelte sbagliate e ripiegai su film a basso costo,
in cui, a dire il vero, più che il mio talento come
attrice veniva messo in mostra il mio fisico. A
23 anni nel 1955 divorziò da Paul Mansfield… Era
gelosissimo e forse stanco di quella relazione. Diceva
che erano troppi gli uomini che mi ronzavano intorno e
mi accusava di essere disposta a tutto per la carriera e
di non fare nulla per nascondere quelle presunte
relazioni. Lui diventerà un ingegnere affermato e
comunque rimanemmo buoni amici tanto che mi concesse di
mantenere in arte il cognome acquisito col matrimonio.
Lei non perse tempo e si sposò di nuovo… Sono
sempre stata una donna stravagante… Nel 1959 mi sposai
per la seconda volta con Mickey Hargitay, un culturista
di origini ungheresi, ex Mister Universo, famoso in
America come “Mister Muscolo”. Era stato uno dei “boy”
di Mae West, prima regina del sesso hollywoodiana al
tempo del cinema muto. Ci parli del “Palazzo
Rosa”… In occasione del matrimonio acquistai una
villa da quaranta stanze sul Sunset Boulevard a Beverly
Hills, battezzandola Pink Palace: il colore dominante
era il rosa, con piccoli Cupido circondati da luci rosa
fluorescenti, tappetini rosa nei bagni, una vasca da
bagno a forma di cuore e una fontana che sprizzava
champagne rosato. Mickey, che prima di divenire
culturista era stato idraulico e muratore, costruì
personalmente la piscina a forma di cuore naturalmente
rosa. Quindi il rosa era il suo colore
preferito, immagino… Assolutamente no! Sono stata
identificata con il rosa per tutta la mia carriera, ma
non ci andavo pazza! Ho solo portato la gente a
crederci. I miei colori preferiti erano in realtà il
bianco e il nero, ma in fondo chi pensa a una ‘movie
queen’ in bianco e nero? Tutto dev’essere in colori
vividi. Come andò il matrimonio con Mister
Muscolo? Avevo 26 anni, la stessa età di Mickey.
Cinque anni di vita coniugale e tre figli. All’inizio
una passione fortissima, ma anche un amore semplice,
romantico, fatto di piccole cose, sentimenti veri,
autentici. Ma la favola non durò molto e il nostro Pink
Palace divenne teatro di clamorose scenate di gelosia da
parte di Mickey, schiaffi e rottura di piatti e
bicchieri, insulti, fughe con porte sbattute, seguite
poi da repentine rappacificazioni e lacrime di gioia.
Nella vita artistica pian piano tornò a galla…
Direi a caro prezzo, quando accettai di apparire nuda
nel film Promises! Promises! del 1963. Il film fu uno
scandalo, a Cleveland venne addirittura bandito, ma ebbe
un enorme successo commerciale. Aveva capito che
per la sua carriera era fondamentale apparire…
Purtroppo seguii i gusti del pubblico e quindi iniziai a
mostrare il seno in una serie di "incidenti"
apparentemente fortuiti, ma in realtà attentamente
studiati a uso dei fotografi e a scopo pubblicitario.
È rimasto famoso lo scatto che la ritrae accanto a
Sophia Loren in una cena in onore dell'attrice italiana
nell'aprile 1957. Oh sì, successe durante un party
organizzato a Hollywood dalla Paramount. Io mi ero
presentata con una scollatura decisamente generosa. La
Loren, appena sbarcata in America, perplessa o forse
scandalizzata, mi guardava di sottecchi con un certo
disprezzo mentre sporgendomi verso il fotografo,
mostravo "inavvertitamente" un capezzolo. Ma
non fu la sola stravaganza… Una volta mi presentai ad
una serata di gala, per la quale era espressamente
richiesto l’abito da sera, in bikini di pelle di
leopardo. Un’altra volta passai otto ore in cima ad un
traliccio della televisione per protesta nei confronti
di chi aveva censurato uno dei miei film per troppe
nudità. Ero sempre in bikini, ma di seta rossa, ricordo
che mi sfilai il reggiseno per la gioia dei fotografi.
Fece scandalo anche per le sue interviste… si
divertiva vero? Amavo anche parlare schietto e senza
peli sulla lingua. Feci scandalo quando dissi che gli
americani sessualmente valgono poco, sono quasi tutti
bambini a livello di asilo. Molto più interessanti
quelli europei e gli italiani in particolare. E poi che
male c’era dire che ero stata nel letto del presidente
John Kennedy prima di Marilyn Monroe? A
proposito… fu considerata per anni la rivale di Marilyn…
Feci del mio meglio, ma mi resi conto che era una
missione impossibile. Non riuscii mai a prendere il suo
posto, neanche dopo la sua morte. Mi venivano offerti
troppo pochi ruoli e la pubblicità negativa che mi ero
procurata portò la Fox a non rinnovarmi il contratto.
Ci parli di JFK… Ci eravamo conosciuti tramite
la sorella del presidente, Pat, moglie dell’attore Peter
Lawford. Ci incontrammo due volte: la prima a Palm
Springs, la seconda a Malibù. Non è stato un grande
amore, ma una reciproca e irresistibile attrazione
fisica. Durò poco perché una notte mi fece piangere di
rabbia, quando mi disse che la mia voce somigliava tanto
a quella di sua moglie Jacqueline. Non lo considerai
affatto un complimento! Jackie aveva una voce
particolare, stridula e piuttosto sgradevole. La mia
invece era vellutata, come uscita da una gola di miele.
Mi fece davvero rabbia! Nei nightclub la sua
popolarità rimase per anni inalterata… Oh sì, lì ero
una vera e propria star, mi sentivo una Dea, sono stata
per anni senza rivali e potevo chiedere grosse cifre.
Cosa faceva su quei palchi? Mi esibivo come
ballerina, cantante, persino come dicitrice di
barzellette, ma in realtà supplivo alla mancanza di
serie proposte di lavoro e al pressoché totale oblio di
produttori e registi, per cui, per fare il pieno ogni
sera, i miei show diventarono sempre più piccanti e i
miei abiti sempre più succinti e trasparenti.
Nel 1963 si sposò ancora… Stanca delle scenate di
Mickey divorziai e iniziai una relazione con un italiano
che non aveva i muscoli del mio precedente marito, ma
era bello come un dio greco, con il petto villoso fino
al mento! Chi era? Era il regista Matt
Cimber, all’anagrafe Tommaso Vitale Ottaviano. Il
matrimonio durò due anni. Da quella relazione nacque mio
figlio, Anthony. Divorziammo per il solito motivo. Matt,
italiano di Sicilia pretendeva l’esclusiva, di essere
cioè l’unico nell’Olimpo. Non lo era? In
effetti sì, tranne qualche volta quando era impegnato in
qualche regia lontano da casa. Per quanto mi riguarda
non erano incontri importanti. Ma lui decise lo stesso
di andarsene senza farsi più vedere. Non le
pesavano tutti quei matrimoni? Assolutamente no, era
così romantico cambiare marito e cognome… E poi fa bene
allo spirito, alla salute e soprattutto al sesso.
La trentacinquenne Mansflied faticava sempre più a
trovar lavoro. Uno degli ultimi film di un certo
successo lo aveva girato in Italia, nel 1960, con il
secondo marito Mickey Hargitay e Massimo Serato: Gli
amori di Ercole, diretto da Carlo Ludovico Bragaglia.
Poi aveva lavorato nel film Single Room Furnished,
diretto dall'ultimo marito, Cimber. Quando si separò da
Cimber la lavorazione del film venne sospesa. Jayne
iniziò allora una relazione con l'avvocato che seguiva
la sua pratica di divorzio, Sam Brody. A soli 34
anni era una diva e una donna stremata, passata dalla
vanagloria dei concorsi di bellezza ai paradisi
artificiali dell’LSD. Aveva assaporato la solitudine più
profonda e si era avvicinata al satanismo. In amore non
era mai stata fedele. Su di lei calò il sipario una
notte d'estate con la medesima spettacolarizzazione che
ne aveva contraddistinto la breve vita. A
consacrarla all'immortalità è stato il suo tragico
destino in stile James Dean, Grace Kelly e Lady Diana
Spencer. Era la sera del 28 giugno ed aveva dato
uno spettacolo in un ristorante-night, il Gus Stevens
Supper Club di Biloxi, nel Mississippi, terminato poco
prima della mezzanotte. E l’indomani, a mezzogiorno,
doveva essere a New Orleans, in Louisiana, per una
ripresa televisiva programmata con una emittente locale.
Doveva accontentarsi delle piccole Tv locali, la donna
che aveva sognato di diventare una diva come Marilyn: da
tempo le grandi reti televisive non si occupavano più di
lei. L’avvocato Brody, suo amante, aveva noleggiato
un’auto di rimessa, per partire subito dopo lo
spettacolo, nel cuore della notte. «The one and
only» furono le ultime parole di Jayne Mansfield. Le
disse a una donna che le aveva appena domandato se fosse
proprio lei, la famosa attrice. Rispose all’istante,
senza pensarci, poi si avviò verso l’auto che
l’attendeva oltre la porta a vetri del ristorante,
scambiò qualche tenerezza coi bambini sistemati sul
sedile posteriore, salì quindi davanti, sul sedile del
passeggero, chiuse la portiera e andò incontro alla
morte. Al volante della Buick Electra 225, blu
metallizzata del 1966 diretti a New Orleans, c’era un
autista di vent’anni, Ronnie Harrison. Sul sedile
anteriore, al centro, l’avvocato; sulla destra, Jayne,
che aveva in braccio i due inseparabili cagnolini
chihuahua, Popeicle e Monaicle. Il sedile posteriore era
completamente riservato al sonno di Miklos, Zoltan e
Maria, i tre ragazzi di 8, 7 e 4 anni, nati dal secondo
matrimonio con Hargitay, che seguivano quasi sempre la
mamma nelle sue tournée. All’una e un quarto
sulla Highway 90 a Slidell, il tragico scontro. Allo
sbocco di una curva, l’autista si trovò di fronte un
autocarro del servizio per la disinfestazione
anti-malarica, che aveva un po’ rallentato per spruzzare
i suoi liquidi tossici su uno sciame di zanzare. Uno
scontro violentissimo, l’auto ridotta a un ammasso di
lamiere. Morti all’istante l’autista, l’avvocato, Jayne
e i suoi due cagnolini, e cioè tutti quelli che stavano
sul sedile anteriore; miracolosamente illesi o quasi, i
tre ragazzi che dormivano dietro: solo un braccio rotto
per Miklos e qualche contusione per gli altri. La testa
di Jayne, con i suoi favolosi lunghissimi capelli
biondi, letteralmente falciata, finì ad un paio di metri
dalla carcassa dell’auto. “Sembrava una parrucca, una
bellissima parrucca bionda, di quelle che le attrici
portano con sé in sagome di legno imbottite di velluto
per non farle sformare”, raccontò il comandante della
polizia stradale di New Orleans. Era purtroppo la testa
di Jayne. La notizia della scomparsa della
biondissima diva fu battuta da tutte le agenzie
internazionali, persino da quelle dell'Unione Sovietica.
In sintesi la Mansfield si sposò tre volte, ebbe
cinque figli, numerosissimi amanti, tra cui, Robert
Kennedy, attori come Red Buttons, Stuart Whitman, Bobby
Darin, Tony Curtis, Robert Wagner, John Wayne, Dean
Martin, Tom Tryon, Burt Reynolds, Nicholas Ray, Jeffrey
Hunter, Peter Lawford, ecc... Fu la star più
fotografata di Hollywood, dopo Liz Taylor, l'icona
glamour che ha scandalizzato con i suoi atteggiamenti e
le sue pose tutto lo star system dell'epoca. Riceveva
circa cento richieste di interviste a settimana e cinque
proposte serie di matrimonio al giorno. Il funerale
dell'attrice ebbe luogo il 3 luglio 1967, a Pen Argyl,
Pennsylvania. Jayne Mansfield è sepolta al Fairview
Cemetery, presso Pen Argyl. Sulla tomba di Jayne
Mansfield c’è scritto: "Viviamo per amarti ogni giorno
di più"
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IMMAGINE GENERATA DA IA INTERVISTA A
CURA DI ADAMO BENCIVENGA REALIZZATA GRAZIE A:
https://it.wikipedia.org/wiki/ Jayne_Mansfield
http://www.panorama.it/cultura /libri/jane-mansfield-biografia/
http://shock.style.it/2012/12/11/
jayne-mansfield-1967-biondo-platino -e-tragedia/ Gaetano
Saglimbeni http://gaetanosaglimbeni.jimdo.
com/attori-stranieri/jayne-mansfield/ Simon Liberati - Jane
Mansfield 1967 - http://www.fandango.it/scheda.php/it/
jayne-mansfield-1967/692
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