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INTERVISTA
IMPOSSIBILE 
Beatrice Cenci
La nobildonna popolare
E' la figlia del conte Francesco Cenci, ne subì gli abusi in
gioventù fino a giungere alla decisione di organizzarne l'omicidio
in concorso con i fratelli. Vennero scoperti e catturati per ordine
di Papa Clemente VIII. Il fatto ebbe un grande seguito pubblico
(Roma, 1577 - 1599)

.Correva l’anno 1599, in una Roma giunta all’apice
dello splendore, grazie ai papi mecenati che avevano
reclutato i più grandi artisti per rendere splendida la
città eterna, si celebrò uno dei processi più famosi
della storia. Protagonista della vicenda fu una giovane
romana di 22 anni, Beatrice Cenci, la cui figura,
narrata da grandi scrittori, tra cui Stendhal, e storici
e immortalata nel celebre dipinto attribuito a Guido
Reni, ha oltrepassato la storia per entrare a far parte
della leggenda.
Beatrice, lei nacque a Roma. Chi
era suo padre? Mio padre Francesco proveniva da un
casato nobile, figlio di un tesoriere dello Stato
Pontificio. Era ricchissimo, proprietario di numerosi
latifondi nell’Agro Romano. Purtroppo era un uomo
violento e sadico, dedito a comportamenti turpi fin
dalla prima giovinezza. Fu incriminato più volte per
i suoi vizi, venne accusato tra l’altro di sodomia e
rilasciato grazie alla sua ricchezza.
Sua Madre?
Purtroppo mia madre Ersilia Santacroce è morta quando
avevo solo 7 anni, in seguito a un parto gemellare.
Poverina, aveva già messo al mondo dodici figli e il suo
corpo non resse.
Si racconta che i suoi fratelli
chiesero più volte udienza al papa per denunciare le
violenze di suo padre. Clemente VIII, vista
l’influenza di mio padre e nonostante conoscesse tutta
la verità, punì i miei fratelli con l’esilio.
Quindi, lei e la sua sorella rimaneste sole a Palazzo
con vostro padre? In assenza dei miei fratelli fu più
facile per mio padre organizzare festini e quant’altro.
Dicono che lei fosse bellissima? Beh in
effetti vincevo i cuori di molti uomini, purtroppo,
compreso mio padre.
Ma sua sorella più grande
riuscì a salvarsi? Per interessamento del Papa fu
inviata come sposa al nobile Carlo Gabrielli della
famiglia di Gubbio, riuscendo così a liberarsi dalle
attenzioni di mio padre.
Lui come reagì?
Sentendosi nell’occhio del ciclone decise di portarmi
via da Roma. Naturalmente non rinunciò alle sue pratiche
sessuali. Andammo nel possedimento della fortezza di
Petrella vicino L'Aquila. Insieme a me c’era la sua
seconda moglie Lucrezia Petroni. Lucrezia, vedova e
madre di tre figlie, era vittima anch’essa dei soprusi
del marito. Praticamente vivemmo segregate. Per fortuna
potevamo contare sull’aiuto del castellano Olimpio
Calvetti che si era follemente innamorato di me.
La storia racconta diversamente ovvero che lei si era
innamorata di Olimpio, un plebeo, e non viceversa…
Olimpio aveva una moglie e due bambini e lavorava per
mio padre. Olimpio mi ammirava, era innamorato di me, ma
mai io avrei potuto corrispondere quell’amore.
Perdoni la domanda madame, lei assecondò suo padre?
Cosa altro potevo fare? Tentai comunque di far pervenire
a Roma, tramite persone di corte, una lettera
dettagliata al Papa di quello che succedeva nella
fortezza. Non so se la lettera arrivò oppure fu in
qualche modo preventivamente stracciata. Sta di fatto
che il Papa non intervenne.
I continui soprusi
la portarono così all'estrema decisione… La decisione
fu appoggiata da mio fratello Giacomo con l’aiuto di due
vassalli Marzio Catalano e appunto Olimpio Calvetti.
Tentammo dapprima con un finto rapimento, ma i due
commessi sbagliarono i tempi. L’idea era quella di
simulare un rapimento e poi ucciderlo a causa del
ritardato pagamento del riscatto.
Agiste durante
il sonno vero? Fu la sera del 9 settembre 1598.
Riuscimmo con qualche stratagemma a dare una piccola
dose di oppio a mio padre. Cadde immediatamente in un
sonno profondo. Chiamammo poi Marzio e Olimpo che con
freddezza conficcarono una canna di sambuco nella gola
colpendo ripetutamente il cranio con un martello. Poi
avvolsero il corpo in un lenzuolo e lo gettarono da un
balcone nell’orto sottostante, in modo da far pensare ad
una disgrazia.
La versione della caduta
accidentale dal balcone risultò credibile? Il
sopralluogo effettuato dagli inviati di papa Clemente
VIII mise in evidenza che non vi erano tracce di sangue
sul terreno. Si insospettirono e cominciarono ad
interrogarci, ma noi tutti confermammo la versione.
Stava andando tutto bene… tranne il particolare
della lavandaia… Infatti, il giorno dopo avevo dato
alla lavandaia il lenzuolo sporco di sangue
giustificandomi che la notte prima avevo avuto il ciclo
mestruale. Durante l’interrogatorio la lavandaia mise in
dubbio l’origine di quelle macchie….
Quindi i
commissari del Papa si convinsero che non era stata una
banale disgrazia… Gli indizi divennero prove finché
Marzio Catalano confessò di avere partecipato al delitto
dichiarando che ero stata proprio io a chiedergli di
trovare qualcuno disposto ad uccidere mio padre.
La situazione precipitò... Venimmo arrestati, le
testimonianze raccolte dai giudici erano sufficienti per
condannarci a morte. Ma la confessione era
indispensabile per ottenere la certezza della
colpevolezza e per la salvezza delle anime dei
condannati. Ma sottoporci a tortura non era possibile in
quanto la nostra condizione sociale era di alto rango
per cui serviva un intervento diretto del Papa. Il 5
agosto 1599 papa Clemente emanò il Motu proprio
Quemadmodum paterna clementia che dava piena facoltà al
giudice di sottoporci a tortura.
Poi cosa
successe? Giacomo, Bernardo vennero torturati nel
carcere di Tordinona mentre Lucrezia nella fortezza di
Corte Savella. Nessuno resistette alla tortura della
corda, che consisteva nel tenere appese le vittime dalle
braccia. I miei fratelli si accusarono a vicenda del
delitto, mentre Lucrezia mi addossò tutta la
responsabilità, accusandomi di essere stata
l’ispiratrice del delitto.
Infine toccò a lei…
Mi contestarono le piene confessioni di Catalano e di
Lucrezia. Nel disperato tentativo di allontanare da me i
sospetti di essere stata spinta dall’odio che nutrivo
nei confronti di mio padre negai di essere stata
maltrattata e picchiata dal defunto padre, negai la
storia del veleno e negai anche di aver conosciuto
Marzio Catalano.
Per convincerla a dire la verità
furono condotti e torturati davanti a lei sia Giacomo
che Bernardo. Naturalmente resistetti finché toccò
anche a me la stessa sorte. Fui legata e sollevata. Per
un tempo interminabile e nonostante le braccia slogate
non uscì una parola dalla mia bocca finché non mi
appesero per i capelli.
La confessione non
lasciava dubbi… Già, anche se in nostra difesa si
attivarono diversi principi e cardinali per tentare
almeno di farci scontare la pena in prigione evitando
così la condanna a morte. Fu tutto inutile.
Venerdì 10 settembre 1599 Clemente VIII ordinò
l'esecuzione. Mentre si allestiva il patibolo a
Piazza Ponte Sant’Angelo il nostro avvocato Prospero
Farinacci riuscì a parlare con il Papa e insistendo
ottenne la grazia almeno per il quindicenne Bernardo,
che fu costretto a pagare 400.000 franchi entro un anno
alla Santissima Trinità di Ponte Sisto.
Per voi
più adulti non ci fu nulla da fare… Già, a nulla
servirono le testimonianze a nostro favore che
evidenziarono la brutalità di mio padre e i sospetti di
ripetuto incesto ai miei danni.
Eppure nella
sentenza Francesco Cenci, la vittima, era descritto come
miserrimum patrem et infelicissimum maritum… Sa cosa
le dico? La nostra fu soltanto una pena esemplare
affinché altri non avessero a ripetere un simile atto.
Per giustificarla scrissero quelle menzogne.
11
settembre 1599 Ci racconta quella giornata? La
notizia dell'esecuzione mi giunse alle sei del mattino.
Feci subito testamento lasciando tutto in beneficenza.
La processione verso il patibolo partì dal carcere di
Tor di Nona, dove era rinchiuso Giacomo. Fu fatto
passare lungo due file di persone indemoniate che lo
colpirono ripetutamente in quanto nella sentenza era
scritto chiaramente che Giacomo, figlio maschio e
assassino, fosse condannato ad essere picchiato sopra il
carro per Roma e condotto al luogo del supplizio mentre
ferri infuocati attanagliavano le sue carni.
Un'esecuzione davvero orribile! E lei? Il carro
percorse via dell’Orso e via del Giglio, passò per
Sant’Apollinare, per la statua di Pasquino, proseguì per
il Palazzo della Cancelleria. Entrato poi a piazza
Farnese proseguì per via di Santa Maria di Monserrato e
si fermò davanti alle carceri di Corte Savella dove
venimmo prelevate io e Lucrezia. Ricordo tanta gente, il
corteo fece fatica a raggiungere la piazzetta di Castel
Sant’Angelo. Ai lati del corteo si aprivano ali di
folla che seguivano il corteo dai balconi dei palazzi,
dai cigli delle strade. Io rimanevo in piedi, dritta e
impassibile, mi stavo avviando orgogliosa verso la
morte, convinta di aver fatto soltanto giustizia e di
essere stata ingiustamente condannata.
Chi venne
ucciso per primo? Con noi c’era anche Bernardo che fu
condannato ad assistere al supplizio dei suoi familiari.
La prima a salire sul patibolo fu Lucrezia. Le venne
tolto il mantello e rimase a petto nudo. Perse i sensi e
fu distesa sulla panca, pochi istanti e la mannaia
recise la testa. Poi fu il mio turno, ricordo che mi
sistemai i capelli da sola per non farmi toccare dal
boia. Lanciai un urlo che credo si sentì fino a San
Pietro.
Dopo la sua decapitazione fu il turno di
Giacomo… Lui poverino subì un trattamento ancora più
atroce. Colpi di mazza gli sfondarono il cranio. Poi fu
ridotto a brandelli, i quali vennero appesi a dei ganci
attorno alla piazza. Sono felice per quanto sia di non
aver assistito a quel supplizio di carni.
La
storia la ricorda come donna coraggiosa. So che molti
hanno pianto la mia morte ed hanno sperato fino
all’ultimo nella grazie del Papa. In vita ero adorata da
tutti, naturalmente non solo per il coraggio dimostrato
in quell’occasione.
Sa che ancora oggi i Romani
visitano la sua tomba? Mi fa piacere essere l’emblema
della lotta contro quegli orrori.
Alle 21.15 il
corpo di Beatrice fu condotto e sepolto, secondo le
volontà della defunta, nella chiesa di S.Pietro in
Montorio al Gianicolo. Ogni anno, in ricorrenza
dell'undici settembre, Beatrice Cenci viene ricordata
con la messa pomeridiana voluta dal Principe e
dall'Associazione Beatrice Cenci nella Chiesa di Gesù e
Maria a Via del Corso. La figura di Beatrice fu ripresa
in diverse opere, fra cui il racconto di Stendhal
inserito in 'Cronache Italiane'. Nell'inchiesta lo
scrittore francese riuscì a risalire all'archivio dei
documenti riguardanti la data di nascita di Beatrice
Cenci ed il luogo della sua sepoltura, da cui è emerso
che la ragazza morì a 22 anni e non a 16 anni come
erroneamente alcune cronache letterarie hanno preferito
usare.
Il ritratto di Beatrice Cenci è esposto
nella Galleria Nazionale di Arte Antica. L'attribuzione
però è ancora incerta: le cronache romane dell'epoca
parlarono del maestro Guido Reni che venne appositamente
per vedere e dipingere la giovane condannata a morte.
nel luogo in cui è stata decapitata, è invalsa la
credenza di vedere la sua figura aleggiare sopra il
ponte la notte dell'11 settembre.
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IMMAGINE GENERATA DA IA INTERVISTA A CURA DI ADAMO BENCIVENGA E' STATA
REALIZZATA GRAZIE A: .http://www.romecity.it/Beatricecenci.htm
http://www.uvm.edu/ http://it.wikipedia.org/wiki/Beatrice_Cenci
http://www.museocriminologico.it/cenci.htm.


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