Fu
un successo!
Tradotta in quattro lingue, sette
milioni di copie vendute nel mondo conta in Italia ben 27
settimane consecutive di permanenza in classifica di cui ben 11
consecutive al primo posto. Fanno del brano il più venduto del
1960.
Raccontami della canzone.
La
canzone fu scritta dal giovane Paoli, il cantautore più
esistenzialista e “maledetto” degli anni Sessanta italiani. La
scrisse quando non era ancora iscritto alla SIAE, per questo nei
crediti delle varie versioni del disco figurano Mogol come
autore del testo e Toang compositore della musica. Solo
successivamente sarà depositata con la firma corretta del solo
Paoli. Il brano fu rifiutato da diversi interpreti come Jula de
Palma e Miranda Martino
Anche Mina era poco
convinta.
Esatto. Paoli era stato chiamato a Milano
dai fratelli Reverberi e su loro interessamento venne
scritturato dalla Ricordi assieme agli amici Luigi Tenco ed
Umberto Bindi. Le prime composizioni di Paoli non avevano
ottenuto alcun successo, ma avevano attirato comunque
l’attenzione di Mogol, che ne intuì lo straordinario talento.
Ok e Mina come salta fuori?
Mina era
riluttante verso l’autore, ma non conosceva assolutamente la
canzone. Infatti, decise di registrarla solo dopo averla sentita
eseguita al pianoforte dallo stesso Paoli e soprattutto a
seguito delle pressioni dei discografici e del paroliere Mogol.
Anche Mina era giovanissima…
Aveva
all’incirca venti anni, al tempo era considerata un’urlatrice
niente di più. Questo brano rappresentò una svolta nella sua
carriera, sia per l'intensità dell'interpretazione, sia per la
maturità e il coraggio dimostrato nel presentare un argomento
assolutamente non convenzionale all'epoca per una donna. Fino ad
allora Mina aveva scelto pezzi decisamente più leggeri e
commerciali.
E cosa cantavano le donne?
Mi viene da dire Papaveri e papere, comunque il tema
trattato è un atto d'amore tra un uomo e una donna, che si
consuma trasfigurando ambienti e cose. E’ la celebrazione
dell'intimità e della confidenza di un “amore mercenario”, che
viene richiamato dal soffitto viola tipico delle case chiuse.
Una canzone che va dritta al cuore come una stilettata. Un testo
poetico felicissimo, con una musica appropriata che sembra
iniziare con una strofa, una strofa che in realtà è un
ritornello, e te ne accorgi quando ormai sei nel mezzo.
La musica?
Accompagnata dall’orchestra di
Tony De Vita la voce di Mina è indimenticabile e insuperabile.
L’ouverture e l’inciso col crescendo di violini sono ancor oggi
davvero straordinari. Comunque l’incipit della canzone richiama
in maniera evidente quello del canto gregoriano “Te Deum”,
rispetto al quale differisce solamente per la mancanza di una
nota.
Parliamo del testo?
Il testo,
malgrado sia stato ispirato dall’incontro di Gino Paoli con una
prostituta all’interno di una casa chiusa di Genova, si presta
molto ai ricordi, alla nostalgia, al rimpianto, ma anche ad una
splendida dichiarazione d’amore. La raffinata melodia,
inizialmente lenta e confidenziale, conduce gradatamente verso
spazi infiniti e trasognati raggiungendo il massimo
dell'intensità musicale e poetica, per poi tornare nel finale
all'intimità iniziale.
Non riesco ad immaginare
come possa essere stato un testo di rottura…
A
differenza di altri testi del tempo qui si avverte senza ombra
di dubbio la carnalità, l’esperienza direi esplicitamente
sessuale, l’infinito di cui si parla non è altro che il rapporto
sessuale in atto fino al completo abbandono.
Sei
sicuro che c’è tutto questo?
Guarda che lo stesso
Paoli parlando del Cielo in una stanza disse: “Avevo la volontà
di descrivere l’orgasmo, quell’attimo dopo quando tu sei
proiettato nell’infinito, sei tutto e non sei niente. Quel
momento, puoi provarci cento volte, ma non riuscirai mai a
descriverlo. Però se tu descrivi come una spirale tutto quello
che c’è intorno, è come se ricostruissi il centro. Così presi a
girarci intorno, raccontando dei rumori della strada, le pareti,
i colori, la finestra, la musica da fuori, ed ho cercato di
ricostruire il momento nel trionfo del non detto.”
Sarà… ma come testo di una canzone è molto corto.
Sì in effetti, pur essendo una poesia bellissima, ha
pochi versi, un concentrato evocativo carico di passione ed è
sicuramente un’attestazione di affetto talmente grande che
abbatte ogni barriera ed ogni ostacolo (quando sei qui con
me questa stanza non ha più pareti ma alberi, alberi infiniti)
quasi a voler indicare che, se si ha accanto la persona amata,
anche le naturali difficoltà potrebbero facilmente essere
superate e il suono di un’armonica diventa il timbro di un
organo.
Per una canzone dell’epoca è strano che
non abbia un vero e proprio ritornello…
E’ un
esempio significativo e precoce delle novità apportate ai testi
dai cantautori genovesi: il brano si presenta completamente
destrutturato, con quattro strofe di lunghezza differente,
l’assenza appunto di un vero e proprio ritornello e come chiusa,
dopo un intermezzo strumentale, un congedo che riprende l’ultima
strofa. Una vera e propria rivoluzione per l’approccio molto
moderno al linguaggio parlato, privo della scontata rima baciata
che caratterizzava i testi di molte canzonette dell’epoca.
Chi era Gino Paoli?
Possiamo definirlo
il capostipite della scuola genovese, un gruppo di cantautori
esistenzialisti che si rifacevano alle correnti letterarie
francesi, filosofi, scrittori e chansonnier come Jean Paul
Sartre, Simone de Beauvoir, Albert Camus, Edith Piaf, Jacques
Prevert, Juliette Grecò, Charles Aznavour, Georges Brassens,
Jacques Brel.
Allora dovrò ascoltarla con più
attenzione.
Ecco, vai qui
https://www.youtube.com/watch?v=UArWVllS0Ro
https://www.youtube.com/watch?v=UArWVllS0Ro
Il cielo in una stanza è diventato un classico
della canzone italiana, e conta decine di versioni, tra cui
quattro dello stesso Paoli: una incisa per la Ricordi con un
piccolo gruppo, una seconda per la RCA con l'orchestra di Ennio
Morricone, una terza registrata per la Durium con
l'accompagnamento di un vero organo da chiesa nel 1971 (la
partitura per organo era di Giampiero Boneschi), una quarta,
arrangiata da Peppe Vessicchio con tastiere elettroniche e un
intrigante sax soprano, che è quella che Gino esegue ancor oggi
nei concerti dal vivo.
Mina intanto invia in giro per il
mondo le versioni in lingua inglese (The World We Love In, poi
ricantata anche da Connie Francis), spagnola (El cielo en casa),
tedesca (Wenn Du an Wunder glaubst), francese.
Diciassette
anni dopo Mina, Il cielo in una stanza torna in Hit Parade con
la cover neo-romantica di Franco Simone, e nel 1999 la versione
"soul" di Giorgia esce come colonna sonora di un "dimenticabile"
film dei Vanzina.

TESTO
Quando sei qui con me
questa stanza non
ha più pareti
ma alberi,
alberi infiniti.
Quando sei
qui vicino a me
questo soffitto viola
no, non esiste più.
Io vedo il cielo sopra noi
che restiamo qui
abbandonati
come se non ci fosse più
niente, più niente al mondo.
Suona un’armonica
mi sembra un organo
che vibra per te,
per me
su nell’immensità del ciel.


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