Adamo che cos’è il Cantico dei Cantici?
E’
un testo contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana attribuito
al re Salomone, celebre per la sua saggezza, per i suoi canti e
anche per i suoi amori.
Quando fu composto?
Ovviamente non c’è una data certa ma sicuramente non
prima del IV secolo a.C. ed è uno degli ultimi testi accolti nel
canone della Bibbia, addirittura un secolo dopo la nascita di
Cristo. È composto da 8 capitoli contenenti poemi d'amore in
forma di dialogo tra un uomo (Salomone) e una donna (Sulammita)
entrambi i nomi fanno riferimento alla parola ebraica Shalom,
che significa pace, perché è nell’amore (anche carnale) che si
può trovare pace
Chi l’ha scritto?
Se
ne attribuisce la paternità all'antico re di Israele Salomone.
La tradizione ebraica vuole sia stato scritto con la costruzione
del Tempio di Gerusalemme. In realtà si ritiene sia opera di uno
scrittore anonimo del IV secolo a.C. il quale avrebbe assemblato
in un unico testo diversi poemi antecedenti originari dell'area
mesopotamica.
Perché è famoso?
Perché è uno dei testi più lirici e inusuali delle Sacre
scritture. Racconta in versi l'amore tra due innamorati, con
tenerezza, ma anche con un ardire di toni ricco di sfumature
sensuali e immagini erotiche le quali secondo l’autore hanno
origine divina. Ma in realtà siamo nel pieno della poesia
d’amore, in cui lui e lei si celebrano reciprocamente. Siamo in
pieno, crudo realismo dei gesti d’amore: l’amplesso erotico è
reale, senza reticenze.
In effetti ci vedo poco
di divino….
Beh la pensi come Voltaire il quale
chiamò il Cantico "canzone degna d'un corpo di guardia dei
granatieri"! Ma non possiamo sottovalutare altri giudizi tipo
quello di Santa Teresa che trovò in esso l'occasione delle più
eccelse elevazioni mistiche!
A giudicare da certi
passi sembra un testo erotico…
Vero! Leggi questi
versi ad esempio: «Petali di loto le labbra del mio amato
/colano mirra. Il suo inguine è avorio / tempestato di zaffiri.
/ Favi colanti le tue labbra mia sposa / miele e latte sotto la
tua lingua / come incenso del Libano / l’aroma del tuo grembo /
giardino chiuso fonte sigillata. / Entri il mio amato nel suo
giardino / succhi il suo frutto prodigioso. / Nel mio giardino
entravo / mia sorella mia sposa / e la mirra e ogni essenza
rapivo / e succhiavo il miele dal favo».
Secondo la tradizione rabbinica, alcuni brani del Cantico
venivano cantati nelle taverne.
Esatto! Il brano più
cantato era questo: «Il mio amato infila la mano nel mio
grembo/ le mie viscere fremono per lui. / Per aprirgli mi alzo
/le mie mani colano mirra /dalle dita la mirra fluisce / sul
chiavistello che impugno».
La Chiesa come
si pone davanti a questi versi?
L’interpretazione
cristiana per secoli e secoli vi lesse la figura dell’amore di
Cristo per la chiesa e nella liturgia classica veniva recitato e
tramandato come un mantra.
In sostanza di cosa
tratta?
Il Cantico è il racconto di una vera storia
d'amore, o reale o immaginata, che esalta le virtù dell'amore
tra marito e moglie. Il poema presenta il matrimonio come
disegno di Dio. Un uomo ed una donna son fatti per vivere
insieme nel contesto del matrimonio, amandosi spiritualmente,
emotivamente e fisicamente.
Sotto questo punto di
vista mi sembra un’esortazione direi moderna ad un buon rapporto
di coppia…
In effetti il libro combatte due estremi:
il rifiuto di ogni piacere e la ricerca continua e spasmodica
del piacere stesso. Il matrimonio descritto dal Cantico dei
Cantici è un modello di cura, impegno e gioia.
Come inizia?
La canzone inizia prima del matrimonio,
descrivendo come la sposa attenda il suo amato, bramando il
momento della condivisione con lui. Ma l’attesa è lunga allora
lei Shulamite lo cerca con l'aiuto delle guardie della città.
Trovandolo rinnova la sua promessa. Durante la prima notte di
nozze il re esalta la bellezza di Shulamite, combattendo contro
l'insicurezza della sua amata sul proprio aspetto fisico. Sempre
attraverso la metafora la moglie invita lo sposo a prendere
tutto ciò che lei ha da offrire. Fanno l'amore e Dio benedice la
loro unione.
Poi?
Come in ogni coppia
il marito e la moglie attraversano un periodo difficile.
Shulamite rifiuta il marito, che se ne va. Piena di rimpianti,
lo cerca per tutta la città; ma questa volta le guardie invece
di aiutarla la picchiano. Infine la coppia si riunisce e si
riconcilia. Quando la canzone finisce marito e moglie son sicuri
dell'amore reciproco, cantano la natura eterna del vero amore, e
desiderano la presenza reciproca costante.
Quindi la distinzione tra amor sacro e amor profano è superata
alla grande?
Direi di sì, anzi faremmo un torno al
cantico a cercare di distinguere i due aspetti. In realtà
l’amore profano è per se stesso sacro. Ci sono le immagini
profane come i vezzi di perle, i pendenti d’oro, il cocchio del
faraone, le stanze del re ed in perfetta simbiosi i richiami al
divino nel cui centro vi è l’amplesso d’amore. Come vedi sarebbe
davvero blasfema la distinzione tra sacro e profano.
Quindi un inno al vero amore…
Direi proprio
di sì! Il rapporto sessuale non è mai lasciato fine a se stesso
in quanto lascerebbe i protagonisti più soli di prima, perché
ciascuno aderirebbe al proprio godimento esclusivo trascurando
l’altra/o. Qui invece l’amore è inteso come il godimento
dell’altro, che si esprime nella dedizione e quindi rende il
rapporto più soddisfacente, anzi Divino.

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Testo
CANTICO DEI CANTICI - 1
Cantico dei Cantici, di Salomone.
Mi baci con i baci della
sua bocca!
Sì, migliore del vino è il tuo amore.
Inebrianti sono i tuoi profumi per la fragranza,
aroma che si
spande è il tuo nome:
per questo le ragazze di te si
innamorano.
Trascinami con te, corriamo!
M’introduca il re
nelle sue stanze:
gioiremo e ci rallegreremo di te,
ricorderemo il tuo amore più del vino.
A ragione di te ci si
innamora!
Bruna sono ma bella,
o figlie di Gerusalemme,
come le tende di Kedar,
come le cortine di Salomone.
Non
state a guardare se sono bruna,
perché il sole mi ha
abbronzato.
I figli di mia madre si sono sdegnati con me:
mi hanno messo a guardia delle vigne;
la mia vigna, la mia,
non l’ho custodita.
Dimmi, o amore dell’anima mia,
dove
vai a pascolare le greggi,
dove le fai riposare al meriggio,
perché io non debba vagare
dietro le greggi dei tuoi
compagni?
Se non lo sai tu, bellissima tra le donne,
segui
le orme del gregge
e pascola le tue caprette
presso gli
accampamenti dei pastori.
Alla puledra del cocchio del
faraone
io ti assomiglio, amica mia.
Belle sono le tue
guance fra gli orecchini,
il tuo collo tra i fili di perle.
Faremo per te orecchini d’oro,
con grani d’argento.
Mentre
il re è sul suo divano,
il mio nardo effonde il suo profumo.
L’amato mio è per me un sacchetto di mirra,
passa la notte
tra i miei seni.
L’amato mio è per me un grappolo di cipro
nelle vigne di Engàddi.
Quanto sei bella, amata mia, quanto
sei bella!
Gli occhi tuoi sono colombe.
Come sei bello,
amato mio, quanto grazioso!
Erba verde è il nostro letto,
di cedro sono le travi della nostra casa,
di cipresso il
nostro soffitto.
CANTICO DEI CANTICI - 2
Io sono un narciso della pianura di Saron,
un
giglio delle valli.
Come un giglio fra i rovi,
così
l’amica mia tra le ragazze.
Come un melo tra gli alberi del
bosco,
così l’amato mio tra i giovani.
Alla sua ombra
desiderata mi siedo,
è dolce il suo frutto al mio palato.
Mi ha introdotto nella cella del vino
e il suo vessillo su di
me è amore.
Sostenetemi con focacce d’uva passa,
rinfrancatemi con mele,
perché io sono malata d’amore.
La
sua sinistra è sotto il mio capo
e la sua destra mi
abbraccia.
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
per le
gazzelle o per le cerve dei campi:
non destate, non scuotete
dal sonno l’amore,
finché non lo desideri.
Una voce!
L’amato mio!
Eccolo, viene
saltando per i monti,
balzando per le colline.
L’amato mio somiglia a una gazzella
o ad un cerbiatto.
Eccolo, egli sta
dietro il nostro muro;
guarda dalla finestra,
spia dalle inferriate.
Ora l’amato
mio prende a dirmi:
«Àlzati, amica mia,
mia bella, e
vieni, presto!
Perché, ecco, l’inverno è passato,
è
cessata la pioggia, se n’è andata;
i fiori sono apparsi nei
campi,
il tempo del canto è tornato
e la voce della
tortora ancora si fa sentire
nella nostra campagna.
Il
fico sta maturando i primi frutti
e le viti in fiore spandono
profumo.
Àlzati, amica mia,
mia bella, e vieni, presto!
O mia colomba,
che stai nelle fenditure della roccia,
nei
nascondigli dei dirupi,
mostrami il tuo viso,
fammi
sentire la tua voce,
perché la tua voce è soave,
il tuo
viso è incantevole».
Prendeteci le volpi,
le volpi
piccoline
che devastano le vigne:
le nostre vigne sono in
fiore.
Il mio amato è mio e io sono sua;
egli pascola fra
i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno
e si
allunghino le ombre,
ritorna, amato mio,
simile a gazzella
o a cerbiatto,
sopra i monti degli aromi.
CANTICO DEI CANTICI - 3
Sul mio letto, lungo la
notte, ho cercato
l’amore dell’anima mia;
l’ho cercato, ma
non l’ho trovato.
Mi alzerò e farò il giro della città
per
le strade e per le piazze;
voglio cercare l’amore dell’anima
mia.
L’ho cercato, ma non l’ho trovato.
Mi hanno
incontrata le guardie che fanno la ronda in città:
“Avete
visto l’amore dell’anima mia?».
Da poco le avevo
oltrepassate,
quando trovai l’amore dell’anima mia.
Lo
strinsi forte e non lo lascerò,
finché non l’abbia condotto
nella casa di mia madre,
nella stanza di colei che mi ha
concepito.
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
per le
gazzelle o per le cerve dei campi:
non destate, non scuotete
dal sonno l’amore,
finché non lo desideri.
Chi sta salendo
dal deserto
come una colonna di fumo,
esalando profumo di
mirra e d’incenso
e d’ogni polvere di mercanti?
Ecco, la
lettiga di Salomone:
sessanta uomini prodi le stanno intorno,
tra i più valorosi d’Israele.
Tutti sanno maneggiare la
spada,
esperti nella guerra;
ognuno porta la spada al
fianco
contro il terrore della notte.
Un baldacchino si è
fatto il re Salomone
con legno del Libano.
Le sue colonne
le ha fatte d’argento,
d’oro la sua spalliera;
il suo
seggio è di porpora,
il suo interno è un ricamo d’amore
delle figlie di Gerusalemme.
Uscite, figlie di Sion,
guardate il re Salomone
con la corona di cui lo cinse sua
madre
nel giorno delle sue nozze,
giorno di letizia del
suo cuore.
CANTICO DEI CANTICI - 4
Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella!
Gli occhi
tuoi sono colombe,
dietro il tuo velo.
Le tue chiome sono
come un gregge di capre,
che scendono dal monte Gàlaad.
I
tuoi denti come un gregge di pecore tosate,
che risalgono dal
bagno;
tutte hanno gemelli,
nessuna di loro è senza figli.
Come nastro di porpora le tue labbra,
la tua bocca è piena di
fascino;
come spicchio di melagrana è la tua tempia
dietro
il tuo velo.
Il tuo collo è come la torre di Davide,
costruita a strati.
Mille scudi vi sono appesi,
tutte
armature di eroi.
I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella,
che pascolano tra i gigli.
Prima
che spiri la brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
me ne andrò sul monte della mirra
e sul colle dell’incenso.
Tutta bella sei tu, amata mia,
e in te non vi è difetto.
Vieni dal Libano, o sposa,
vieni dal Libano, vieni!
Scendi
dalla vetta dell’Amana,
dalla cima del Senir e dell’Ermon,
dalle spelonche dei leoni,
dai monti dei leopardi.
Tu mi
hai rapito il cuore,
sorella mia, mia sposa,
tu mi hai
rapito il cuore
con un solo tuo sguardo,
con una perla
sola della tua collana!
Quanto è soave il tuo amore,
sorella mia, mia sposa,
quanto più inebriante del vino è il
tuo amore,
e il profumo dei tuoi unguenti, più di ogni
balsamo.
Le tue labbra stillano nettare, o sposa,
c’è
miele e latte sotto la tua lingua
e il profumo delle tue
vesti è come quello del Libano.
Giardino chiuso tu sei,
sorella mia, mia sposa,
sorgente chiusa, fontana sigillata.
I tuoi germogli sono un paradiso di melagrane,
con i frutti
più squisiti,
alberi di cipro e nardo,
nardo e zafferano,
cannella e cinnamòmo,
con ogni specie di alberi d’incenso,
mirra e àloe,
con tutti gli aromi migliori.
Fontana che
irrora i giardini,
pozzo d’acque vive
che sgorgano dal
Libano.
Àlzati, vento del settentrione, vieni,
vieni vento
del meridione,
soffia nel mio giardino,
si effondano i
suoi aromi.
Venga l’amato mio nel suo giardino
e ne mangi
i frutti squisiti.
CANTICO DEI CANTICI - 5
Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia
sposa,
e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo;
mangio il
mio favo e il mio miele,
bevo il mio vino e il mio latte.
Mangiate, amici, bevete;
inebriatevi d’amore.
Mi sono
addormentata, ma veglia il mio cuore.
Un rumore! La voce del
mio amato che bussa:
“Aprimi, sorella mia,
mia amica, mia
colomba, mio tutto;
perché il mio capo è madido di rugiada,
i miei riccioli di gocce notturne».
«Mi sono tolta la veste;
come indossarla di nuovo?
Mi sono lavata i piedi;
come
sporcarli di nuovo?».
L’amato mio ha introdotto la mano nella
fessura
e le mie viscere fremettero per lui.
Mi sono
alzata per aprire al mio amato
e le mie mani stillavano
mirra;
fluiva mirra dalle mie dita
sulla maniglia del
chiavistello.
Ho aperto allora all’amato mio,
ma l’amato
mio se n’era andato, era scomparso.
Io venni meno, per la sua
scomparsa;
l’ho cercato, ma non l’ho trovato,
l’ho
chiamato, ma non mi ha risposto.
Mi hanno incontrata le
guardie che fanno la ronda in città;
mi hanno percossa, mi
hanno ferita,
mi hanno tolto il mantello
le guardie delle
mura.
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
se trovate
l’amato mio
che cosa gli racconterete?
Che sono malata
d’amore!
Che cosa ha il tuo amato più di ogni altro,
tu
che sei bellissima tra le donne?
Che cosa ha il tuo amato più
di ogni altro,
perché così ci scongiuri?
L’amato mio è
bianco e vermiglio,
riconoscibile fra una miriade.
Il suo
capo è oro, oro puro,
i suoi riccioli sono grappoli di palma,
neri come il corvo.
I suoi occhi sono come colombe
su
ruscelli d’acqua;
i suoi denti si bagnano nel latte,
si
posano sui bordi.
Le sue guance sono come aiuole di balsamo
dove crescono piante aromatiche,
le sue labbra sono gigli
che stillano fluida mirra.
Le sue mani sono anelli d’oro,
incastonati di gemme di Tarsis.
Il suo ventre è tutto
d’avorio,
tempestato di zaffiri.
Le sue gambe, colonne di
alabastro,
posate su basi d’oro puro.
Il suo aspetto è
quello del Libano,
magnifico come i cedri.
Dolcezza è il
suo palato;
egli è tutto delizie!
Questo è l’amato mio,
questo l’amico mio,
o figlie di Gerusalemme.
CANTICO DEI CANTICI - 6
Dov’è andato il tuo
amato,
tu che sei bellissima tra le donne?
Dove ha diretto
i suoi passi il tuo amato,
perché lo cerchiamo con te?
L’amato mio è sceso nel suo giardino
fra le aiuole di
balsamo,
a pascolare nei giardini
e a cogliere gigli.
Io sono del mio amato
e il mio amato è mio;
egli pascola
tra i gigli.
Tu sei bella, amica mia, come la città di Tirsa,
incantevole come Gerusalemme,
terribile come un vessillo di
guerra.
Distogli da me i tuoi occhi,
perché mi
sconvolgono.
Le tue chiome sono come un gregge di capre
che scendono dal Gàlaad.
I tuoi denti come un gregge di
pecore
che risalgono dal bagno;
tutte hanno gemelli,
nessuna di loro è senza figli.
Come spicchio di melagrana è
la tua tempia,
dietro il tuo velo.
Siano pure sessanta le
mogli del re,
ottanta le concubine,
innumerevoli le
ragazze!
Ma unica è la mia colomba, il mio tutto,
unica
per sua madre,
la preferita di colei che l’ha generata.
La
vedono le giovani e la dicono beata.
Le regine e le concubine
la coprono di lodi:
«Chi è costei che sorge come l’aurora,
bella come la luna, fulgida come il sole,
terribile come un
vessillo di guerra?».
Nel giardino dei noci io sono sceso,
per vedere i germogli della valle
e osservare se la vite
metteva gemme
e i melograni erano in fiore.
Senza che me
ne accorgessi, il desiderio mi ha posto
sul cocchio del
principe del mio popolo.
CANTICO DEI CANTICI - 7
Vòltati, vòltati, Sulammita,
vòltati, vòltati:
vogliamo ammirarti.
Che cosa volete ammirare nella Sulammita
durante la danza a due cori?
Come sono belli i tuoi piedi
nei sandali, figlia di principe!
Le curve dei tuoi fianchi
sono come monili,
opera di mani d’artista.
Il tuo ombelico
è una coppa rotonda
che non manca mai di vino aromatico.
Il tuo ventre è un covone di grano,
circondato da gigli.
I
tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella.
Il tuo collo come una torre d’avorio,
i tuoi occhi come le
piscine di Chesbon
presso la porta di Bat-Rabbìm,
il tuo
naso come la torre del Libano
che guarda verso Damasco.
Il
tuo capo si erge su di te come il Carmelo
e la chioma del tuo
capo è come porpora;
un re è tutto preso dalle tue trecce.
Quanto sei bella e quanto sei graziosa,
o amore, piena di
delizie!
La tua statura è slanciata come una palma
e i
tuoi seni sembrano grappoli.
Ho detto: «Salirò sulla palma,
coglierò i grappoli di datteri».
Siano per me i tuoi seni
come grappoli d’uva
e il tuo respiro come profumo di mele.
Il tuo palato è come vino squisito,
che scorre morbidamente
verso di me
e fluisce sulle labbra e sui denti!
Io sono
del mio amato
e il suo desiderio è verso di me.
Vieni,
amato mio, andiamo nei campi,
passiamo la notte nei villaggi.
Di buon mattino andremo nelle vigne;
vedremo se germoglia la
vite,
se le gemme si schiudono,
se fioriscono i melograni:
là ti darò il mio amore!
Le mandragore mandano profumo;
alle nostre porte c’è ogni specie di frutti squisiti,
freschi
e secchi:
amato mio, li ho conservati per te.
CANTICO DEI CANTICI - 8
Come vorrei che
tu fossi mio fratello,
allattato al seno di mia madre!
Incontrandoti per strada ti potrei baciare
senza che altri mi
disprezzi.
Ti condurrei, ti introdurrei nella casa di mia
madre;
tu mi inizieresti all’arte dell’amore.
Ti farei
bere vino aromatico
e succo del mio melograno.
La sua
sinistra è sotto il mio capo
e la sua destra mi abbraccia.
lo vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
non destate, non
scuotete dal sonno l’amore,
finché non lo desideri.
Chi
sta salendo dal deserto,
appoggiata al suo amato?
Sotto il
melo ti ho svegliato;
là dove ti concepì tua madre,
là
dove ti concepì colei che ti ha partorito.
Mettimi come
sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l’amore,
tenace come il regno
dei morti è la passione:
le sue vampe sono vampe di fuoco,
una fiamma divina!
Le grandi acque non possono spegnere
l’amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le
ricchezze della sua casa
in cambio dell’amore, non ne avrebbe
che disprezzo.
Una sorella piccola abbiamo,
e ancora non
ha seni.
Che faremo per la nostra sorella
nel giorno in
cui si parlerà di lei?
Se fosse un muro,
le costruiremmo
sopra una merlatura d’argento;
se fosse una porta,
la
rafforzeremmo con tavole di cedro.
Io sono un muro
e i
miei seni sono come torri!
Così io sono ai suoi occhi
come
colei che procura pace!
Salomone aveva una vigna a Baal-Amon;
egli affidò la vigna ai custodi.
Ciascuno gli doveva portare
come suo frutto
mille pezzi d’argento.
La mia vigna,
proprio la mia, mi sta davanti:
tieni pure, Salomone, i mille
pezzi d’argento
e duecento per i custodi dei suoi frutti!
Tu che abiti nei giardini,
i compagni ascoltano la tua voce:
fammela sentire.
Fuggi, amato mio,
simile a gazzella
o
a cerbiatto
sopra i monti dei balsami!