HOME   CERCA NEL SITO   CONTATTI   COOKIE POLICY
 
 1
RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
LA TRUFFA




 


 
 


Sarà che stasera ti sembri una truffa, un imbroglio voluto in tanti anni che aspetti, il giorno più bello che non è quello di sposa, ma solo lo sfogo di saperti più viva e per questo sei lì, dentro uno specchio, per questo poi sfumi l’ombretto a farfalla e rimarchi i contorni delle labbra che a breve, accenneranno un sorriso che appaia più vero, per un’aria più ingenua che non scolpisca sul viso, l’inganno voluto, la trappola e l’esca, di fronte a chi guarda e non pensa davvero, che il piacere che senti è solo vendetta.

Respiri l’odore e ti pare menzogna, di questo profumo fruttato che lascia, lo strascico finto di chissà quale preda, invece di quella che da sempre conosce. Per questo ti dici che ancora non basta e dentro uno specchio allunghi lo spacco, accorci la gonna e mostri le gambe, per essere tana, trappola e cappio, e dargli un assaggio di quello che ha perso illudendolo fino a vederlo convinto, che basterebbe un invito per cominciare di nuovo, uno schiocco di dita, un ghigno sornione, un sospiro più caldo e sentirti già pronta, alla faccia degli anni e di cosa è successo.

T’immagini bella in un ristorante all’aperto, magari lo stesso tra le siepi d’alloro, mentre lasci che il vento ti scopra quel tanto e lui che ti fissa e non sta nella pelle, e si sente in diritto senza chiedere scusa, di colmare lo spacco, il decolté del tuo seno, le labbra che ad arte si schiudono appena, per creare l’inganno e farlo pensare, che il vuoto che vede ha la misura degli anni e nessuno nel tempo ha riempito per bene. Ma poi ci ritorni e carichi ancora, ti spalmi la faccia di rosso e di viola, perché nei colori ci veda il vissuto, nel nero il peccato, nel bianco la resa, nel lilla la grazia, nel rosso quel fuoco, di uomini a ressa che sono passati, per albe e tramonti, per letti e divani, per un’ora o una notte che sono rimasti.

Alle volte ti chiedi cosa ci sia di diverso, da quando qui in casa giravi in ciabatte, e lui sul divano a sbadigliare di noia, di sere infinite e di telecomandi, finché un sonno profondo lo coglieva distante, senza il dovere di venirti vicino, e sapere che in fondo sarebbe bastata, una carezza gentile, un domandarti che cosa, un sospiro di voce magari per caso, uno starnuto improvviso per qualche energia, per squarciare quel vuoto di muto silenzio, per spezzare quel filo di distacco e freddezza.

Erano passati soltanto due anni, da quelle promesse giurate e convinte, che mai e poi mai vi sareste lasciati, e mai e poi mai sarebbe tornato, una sera qualunque a dirti “dai basta”, passando la notte a cercare un motivo, una ragione qualunque che non fosse in voi stessi, fino a quando inattesa al chiarore dell’alba, è apparsa un’ombra timida e opaca che nel giro di un niente è diventata più netta, comprese via via le sue partite da tennis, i compleanni di amici quando rientrava più tardi e poi di colpo improvviso il lavoro a Milano, che lo portava per giorni a dormire in albergo, che non era un albergo e non era Milano, ma era una casa a pochi minuti distante e poi mano mano in un gioco di specchi, s’è fatto reale un terzo piano di Roma, una terrazza di fiori per cenare d’estate, una casa arredata che lo aspettava da mesi. Nel gioco di specchi l’ombra ha preso una forma in una foto sgualcita nella tasca interna, appena vent’anni, una faccia da bimba, gli zigomi alti e gli occhi di mare, e poi scendendo una pancia più grossa, con il nome deciso e la culla già pronta.

Sono stati mesi d’inferno nel cuore, d’anima smunta che trasudava di rabbia, d’essere stata imbrogliata per niente, di quello che gli altri chiamavano amore, ma che in verità mai avevi sentito, mai il tepore di un nido di casa, la voglia e la gioia di vivergli accanto. Agli inizi comunque è stata dura davvero, sprangavi la porta dopo il lavoro la sera, perché neanche un’amica t’avrebbe ridato, la fiducia negli altri, il buon umore di sempre, perché neanche un amico t’avrebbe convinta, che uomini e uomini non fossero uguali.

Sarà che d’allora sono passati degli anni, finché una sera uno squillo diverso, un “ciao come stai” smielato e tremante, non c’erano tracce di sensi di colpa, ma solo la pena di essere solo, ma solo il timore di sentire l’effetto e la curiosità di sapere cosa ti fosse successo. Chissà perché l’hai lasciato parlare, chissà perché hai lasciato il sugo bruciare, invece di sbattergli il telefono in faccia, perché dentro te era intatta la rabbia, lo scorrer degli anni senza nessuna vendetta. Cercava una donna e aveva pensato a sua moglie, per trascorrere un’ora di parole e che altro, dentro quella casa ormai troppo grande, perché sua figlia e la madre se ne erano andate, lasciandogli il tempo di ripensare a se stesso. Non gli hai chiesto il motivo, non ce n’era ragione, ma dentro di te lievitava il piacere, di sentire che in fondo cercava un aiuto, da quella che un giorno aveva umiliato, alla sola che ora aveva pensato, in un mondo stipato di donne più belle.

Sarà che ora sei lì, dentro lo specchio e in un gioco perverso non stai nella pelle, tra poco lui suona ed tu infili le scarpe, quelle alte riposte ad aspettare la sorte, che senza volerlo t’ha dato una mano, anche se la tua amica ci ha pensato un momento e tua madre t’ha detto che non dovevi accettare. Fai due passi e ti fermi, per guardarti di fianco, poi ti volti e raddrizzi la riga alla calza, tanto lo sai dove andrà a parare, per questo cammini, per questo ti vedi, in quel ristorante a mandargli segnali, per vederlo curioso che tenta e che cerca, di portare il discorso dove non ci sono i ricordi, su un terreno neutrale dove gioca alla pari, fuori dal tempo per non sentirsi in difetto.

Sarà che stasera ti senti una truffa, un imbroglio voluto in tanti anni che aspetti, lui non sa e non deve sapere, quanto dentro covi il disprezzo, quanto il tuo sangue è gonfio di rabbia. Sorriderai leggera come se foste amanti, svenevole donna che aspetta impaziente, un invito stasera, un suono di chiavi, mentre la macchina è già nel parcheggio. Senti un tesoro appiccicato alla bocca, d’un’ottima cena in un ristorante di lusso, mentre ora ti bacia e ti dice di andare, mentre la mano frenetica sale e tocca e ripensa che ci avrebbe giurato, convinto e sicuro che lo stessi aspettando, che nessun uomo al mondo potrebbe eguagliarlo, vista la seta in trasparenza che offri.

Ma certo che sali, non aspettavi che questo, per renderti conto dove ha passato questi anni, il letto, il comò, l’armadio di Ikea, la terrazza di fiori dove ti serve da bere e finto ti dice che ha commesso uno sbaglio, se tornasse indietro non avrebbe alcun dubbio, di quello che vuole, di quello che cerca. Baratterebbe sua figlia se solo potesse, venderebbe sua moglie ad uno zingaro nano, oddio che piacere vederlo in ginocchio, vederlo ansimare per la sua ex moglie, sentirlo che geme per un paio di gambe. Tu le accavalli e fai in modo che l’orlo, lentamente risalga e sorpassi il confine, di quel paradiso a portata di mano, poi le schiudi d’incanto e rimani sospesa, perché lui sia certo che il nero che vede, non è fatto di stoffa e non ci sono merletti, ma è un’autostrada del sole, una tangenziale di notte, perché quello che conta è vederlo volare, con il pedale schiacciato, veloce alla meta e vederlo eccitato ad un passo dal sogno, quel sogno che crede già dentro il suo letto.

Ti prende e ti alza e ti sospinge nel buio, la sua mano ti cinge e stretta ti tiene, si spalancano porte e si schiudono anni, il tuo fiato s’ingrossa e ti senti leggera, come una piuma sballottata dal soffio, che fa cerchi nell’aria danzando nel vuoto, lo stesso che senti dentro il tuo cuore. Sarà questo il momento che aspettavi da anni? Sarà questo il bisogno che ti sazia quell’astio?

Lui non sta nella pelle vorrebbe il tuo seno, la bocca che s’apre, la lingua che esce. Ecco questo è il punto dove devi mollarlo! Ecco questa è l’essenza tra piacere e vendetta. Lui continua imperterrito senza il minimo dubbio, ti preme e ti spinge, ti dice che t’ama. Eh sì che t’ama e scende la lampo. Eh sì che ti chiama e ti tira i capelli. Il tuo nome è lo stesso, ma il sapore è diverso, sa di donna incontrata per caso stanotte, sa di strada e d’avanzi, di tariffa a buon prezzo. Lo vedi, lo senti da come ti chiama, da come ti tocca e come mette le labbra, perché sanno di maschio che rabbonisce le voglie, d’amante e padrone al quale tutto è dovuto, compresi quegli anni che hai vissuto da sola… Vorrebbe, non osa domandarti per quanti, è valsa la pena di tirare a mattina, e quanti di loro hanno varcato la soglia, senza attendere giorni in sala d’aspetto, senza attendere attimi come ora succede, quando un letto disfatto vi accoglie e lo invita, a rompere gli argini col suo mare in tempesta.

Sarà questo il limite, il precipizio del vuoto, oltre il quale c’è il punto dove non torna, dove ora s’aggrappa e trova il tuo seno, la fonte, la forza per nutrirsi di voglia. Come un bimbo affamato ad occhi chiusi lo succhia, lo preme e s’ingozza di latte materno, e come un adulto sa dove toccare, catturare la preda o lasciarla in attesa. La sua mano che sale, il tuo vestito che scende. Tra meno di un niente sarà alba soltanto, che è pallida, stinta e non vale un tramonto, tra meno di un niente un fragore ed un tuono, un’esplosione di rabbia con tutta te stessa. Questo è il momento e tu devi reagire, questo il confine tra piacere e vendetta. Lui suda e ti preme sulla spalliera del letto, la sua mano che cerca e s’insinua esperta in un varco sterrato dove non trova un intoppo, neanche un intralcio a forma di stoffa. Ora è lì e manca un niente davvero, una folla di dita scava e fa breccia e tu senti che un attimo sarebbe già troppo, ecco ora è il momento appena sull’orlo………. E allora sì che ti alzi da quel letto di spine, e allora sì che lo lasci nudo proteso, incredulo per come tu possa aver finto, incredulo per quanto male abbia fatto, e tu abbia consumato nei dettagli il gusto, e chiede e domanda la ragione del tutto...

Sarà che ogni sera ti succede lo stesso, squilla il telefono e di colpo ti svegli, sicuramente è tua madre come tutte le sere, vuole sapere come è andato il tuo giorno, proprio nel mentre dove cacci un urlo, dove stavi per dirgli quanta è la rabbia, per dimostrargli la collera, l’odio che senti, compresso in un attimo, un gesto, uno sputo, per poi abbandonarti al gusto che provi, in un gioco di specchi ti vedi più viva, liberata di tutto di pesi e zavorre, come lui che per anni è stato un imbroglio, e per una notte soltanto tu sei stata una truffa.

.

..
 





Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


© All rights reserved
TUTTI I RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
Photo  LupeJelena

© Adamo Bencivenga - Tutti i diritti riservati
Il presente racconto è tutelato dai diritti d'autore.
L'utilizzo è limitato ad un ambito esclusivamente personale.
Ne è vietata la riproduzione, in qualsiasi forma,
senza il consenso dell'autore




 


 





 
Tutte le immagini pubblicate sono di proprietà dei rispettivi autori. Qualora l'autore ritenesse improprio l'uso, lo comunichi e l'immagine in questione verrà ritirata immediatamente. (All images and materials are copyright protected  and are the property of their respective authors.and are the property of their respective authors. If the author deems improper use, they will be deleted from our site upon notification.) Scrivi a liberaeva@libero.it

 COOKIE POLICY



TORNA SU (TOP)


LiberaEva Magazine Tutti i diritti Riservati
  Contatti