Sarà che stasera ti sembri una
truffa, un imbroglio voluto in tanti anni che aspetti, il giorno
più bello che non è quello di sposa, ma solo lo sfogo di saperti
più viva e per questo sei lì, dentro uno specchio, per questo
poi sfumi l’ombretto a farfalla e rimarchi i contorni delle
labbra che a breve, accenneranno un sorriso che appaia più vero,
per un’aria più ingenua che non scolpisca sul viso, l’inganno
voluto, la trappola e l’esca, di fronte a chi guarda e non pensa
davvero, che il piacere che senti è solo vendetta.
Respiri l’odore e ti pare
menzogna, di questo profumo fruttato che lascia, lo strascico
finto di chissà quale preda, invece di quella che da sempre
conosce. Per questo ti dici che ancora non basta e dentro uno
specchio allunghi lo spacco, accorci la gonna e mostri le gambe,
per essere tana, trappola e cappio, e dargli un assaggio di
quello che ha perso illudendolo fino a vederlo convinto, che
basterebbe un invito per cominciare di nuovo, uno schiocco di
dita, un ghigno sornione, un sospiro più caldo e sentirti già
pronta, alla faccia degli anni e di cosa è successo.
T’immagini bella in un ristorante
all’aperto, magari lo stesso tra le siepi d’alloro, mentre lasci
che il vento ti scopra quel tanto e lui che ti fissa e non sta
nella pelle, e si sente in diritto senza chiedere scusa, di
colmare lo spacco, il decolté del tuo seno, le labbra che ad
arte si schiudono appena, per creare l’inganno e farlo pensare,
che il vuoto che vede ha la misura degli anni e nessuno nel
tempo ha riempito per bene. Ma poi ci ritorni e carichi ancora,
ti spalmi la faccia di rosso e di viola, perché nei colori ci
veda il vissuto, nel nero il peccato, nel bianco la resa, nel
lilla la grazia, nel rosso quel fuoco, di uomini a ressa che
sono passati, per albe e tramonti, per letti e divani, per
un’ora o una notte che sono rimasti.
Alle volte ti chiedi cosa ci sia
di diverso, da quando qui in casa giravi in ciabatte, e lui sul
divano a sbadigliare di noia, di sere infinite e di telecomandi,
finché un sonno profondo lo coglieva distante, senza il dovere
di venirti vicino, e sapere che in fondo sarebbe bastata, una
carezza gentile, un domandarti che cosa, un sospiro di voce
magari per caso, uno starnuto improvviso per qualche energia,
per squarciare quel vuoto di muto silenzio, per spezzare quel
filo di distacco e freddezza.
Erano passati soltanto due anni,
da quelle promesse giurate e convinte, che mai e poi mai vi
sareste lasciati, e mai e poi mai sarebbe tornato, una sera
qualunque a dirti “dai basta”, passando la notte a cercare un
motivo, una ragione qualunque che non fosse in voi stessi, fino
a quando inattesa al chiarore dell’alba, è apparsa un’ombra
timida e opaca che nel giro di un niente è diventata più netta,
comprese via via le sue partite da tennis, i compleanni di amici
quando rientrava più tardi e poi di colpo improvviso il lavoro a
Milano, che lo portava per giorni a dormire in albergo, che non
era un albergo e non era Milano, ma era una casa a pochi minuti
distante e poi mano mano in un gioco di specchi, s’è fatto reale
un terzo piano di Roma, una terrazza di fiori per cenare
d’estate, una casa arredata che lo aspettava da mesi. Nel gioco
di specchi l’ombra ha preso una forma in una foto sgualcita
nella tasca interna, appena vent’anni, una faccia da bimba, gli
zigomi alti e gli occhi di mare, e poi scendendo una pancia più
grossa, con il nome deciso e la culla già pronta.
Sono stati mesi d’inferno nel
cuore, d’anima smunta che trasudava di rabbia, d’essere stata
imbrogliata per niente, di quello che gli altri chiamavano
amore, ma che in verità mai avevi sentito, mai il tepore di un
nido di casa, la voglia e la gioia di vivergli accanto. Agli
inizi comunque è stata dura davvero, sprangavi la porta dopo il
lavoro la sera, perché neanche un’amica t’avrebbe ridato, la
fiducia negli altri, il buon umore di sempre, perché neanche un
amico t’avrebbe convinta, che uomini e uomini non fossero
uguali.
Sarà che d’allora sono passati
degli anni, finché una sera uno squillo diverso, un “ciao come
stai” smielato e tremante, non c’erano tracce di sensi di colpa,
ma solo la pena di essere solo, ma solo il timore di sentire
l’effetto e la curiosità di sapere cosa ti fosse successo.
Chissà perché l’hai lasciato parlare, chissà perché hai lasciato
il sugo bruciare, invece di sbattergli il telefono in faccia,
perché dentro te era intatta la rabbia, lo scorrer degli anni
senza nessuna vendetta. Cercava una donna e aveva pensato a sua
moglie, per trascorrere un’ora di parole e che altro, dentro
quella casa ormai troppo grande, perché sua figlia e la madre se
ne erano andate, lasciandogli il tempo di ripensare a se stesso.
Non gli hai chiesto il motivo, non ce n’era ragione, ma dentro
di te lievitava il piacere, di sentire che in fondo cercava un
aiuto, da quella che un giorno aveva umiliato, alla sola che ora
aveva pensato, in un mondo stipato di donne più belle.
Sarà che ora sei lì, dentro lo
specchio e in un gioco perverso non stai nella pelle, tra poco
lui suona ed tu infili le scarpe, quelle alte riposte ad
aspettare la sorte, che senza volerlo t’ha dato una mano, anche
se la tua amica ci ha pensato un momento e tua madre t’ha detto
che non dovevi accettare. Fai due passi e ti fermi, per
guardarti di fianco, poi ti volti e raddrizzi la riga alla
calza, tanto lo sai dove andrà a parare, per questo cammini, per
questo ti vedi, in quel ristorante a mandargli segnali, per
vederlo curioso che tenta e che cerca, di portare il discorso
dove non ci sono i ricordi, su un terreno neutrale dove gioca
alla pari, fuori dal tempo per non sentirsi in difetto.
Sarà che stasera ti senti una
truffa, un imbroglio voluto in tanti anni che aspetti, lui non
sa e non deve sapere, quanto dentro covi il disprezzo, quanto il
tuo sangue è gonfio di rabbia. Sorriderai leggera come se foste
amanti, svenevole donna che aspetta impaziente, un invito
stasera, un suono di chiavi, mentre la macchina è già nel
parcheggio. Senti un tesoro appiccicato alla bocca, d’un’ottima
cena in un ristorante di lusso, mentre ora ti bacia e ti dice di
andare, mentre la mano frenetica sale e tocca e ripensa che ci
avrebbe giurato, convinto e sicuro che lo stessi aspettando, che
nessun uomo al mondo potrebbe eguagliarlo, vista la seta in
trasparenza che offri.
Ma certo che sali, non aspettavi
che questo, per renderti conto dove ha passato questi anni, il
letto, il comò, l’armadio di Ikea, la terrazza di fiori dove ti
serve da bere e finto ti dice che ha commesso uno sbaglio, se
tornasse indietro non avrebbe alcun dubbio, di quello che vuole,
di quello che cerca. Baratterebbe sua figlia se solo potesse,
venderebbe sua moglie ad uno zingaro nano, oddio che piacere
vederlo in ginocchio, vederlo ansimare per la sua ex moglie,
sentirlo che geme per un paio di gambe. Tu le accavalli e fai in
modo che l’orlo, lentamente risalga e sorpassi il confine, di
quel paradiso a portata di mano, poi le schiudi d’incanto e
rimani sospesa, perché lui sia certo che il nero che vede, non è
fatto di stoffa e non ci sono merletti, ma è un’autostrada del
sole, una tangenziale di notte, perché quello che conta è
vederlo volare, con il pedale schiacciato, veloce alla meta e
vederlo eccitato ad un passo dal sogno, quel sogno che crede già
dentro il suo letto.
Ti prende e ti alza e ti sospinge
nel buio, la sua mano ti cinge e stretta ti tiene, si spalancano
porte e si schiudono anni, il tuo fiato s’ingrossa e ti senti
leggera, come una piuma sballottata dal soffio, che fa cerchi
nell’aria danzando nel vuoto, lo stesso che senti dentro il tuo
cuore. Sarà questo il momento che aspettavi da anni? Sarà questo
il bisogno che ti sazia quell’astio?
Lui non sta nella pelle vorrebbe
il tuo seno, la bocca che s’apre, la lingua che esce. Ecco
questo è il punto dove devi mollarlo! Ecco questa è l’essenza
tra piacere e vendetta. Lui continua imperterrito senza il
minimo dubbio, ti preme e ti spinge, ti dice che t’ama. Eh sì
che t’ama e scende la lampo. Eh sì che ti chiama e ti tira i
capelli. Il tuo nome è lo stesso, ma il sapore è diverso, sa di
donna incontrata per caso stanotte, sa di strada e d’avanzi, di
tariffa a buon prezzo. Lo vedi, lo senti da come ti chiama, da
come ti tocca e come mette le labbra, perché sanno di maschio
che rabbonisce le voglie, d’amante e padrone al quale tutto è
dovuto, compresi quegli anni che hai vissuto da sola… Vorrebbe,
non osa domandarti per quanti, è valsa la pena di tirare a
mattina, e quanti di loro hanno varcato la soglia, senza
attendere giorni in sala d’aspetto, senza attendere attimi come
ora succede, quando un letto disfatto vi accoglie e lo invita, a
rompere gli argini col suo mare in tempesta.
Sarà questo il limite, il
precipizio del vuoto, oltre il quale c’è il punto dove non
torna, dove ora s’aggrappa e trova il tuo seno, la fonte, la
forza per nutrirsi di voglia. Come un bimbo affamato ad occhi
chiusi lo succhia, lo preme e s’ingozza di latte materno, e come
un adulto sa dove toccare, catturare la preda o lasciarla in
attesa. La sua mano che sale, il tuo vestito che scende. Tra
meno di un niente sarà alba soltanto, che è pallida, stinta e
non vale un tramonto, tra meno di un niente un fragore ed un
tuono, un’esplosione di rabbia con tutta te stessa. Questo è il
momento e tu devi reagire, questo il confine tra piacere e
vendetta. Lui suda e ti preme sulla spalliera del letto, la sua
mano che cerca e s’insinua esperta in un varco sterrato dove non
trova un intoppo, neanche un intralcio a forma di stoffa. Ora è
lì e manca un niente davvero, una folla di dita scava e fa
breccia e tu senti che un attimo sarebbe già troppo, ecco ora è
il momento appena sull’orlo………. E allora sì che ti alzi da quel
letto di spine, e allora sì che lo lasci nudo proteso, incredulo
per come tu possa aver finto, incredulo per quanto male abbia
fatto, e tu abbia consumato nei dettagli il gusto, e chiede e
domanda la ragione del tutto...
Sarà che ogni sera ti succede lo
stesso, squilla il telefono e di colpo ti svegli, sicuramente è
tua madre come tutte le sere, vuole sapere come è andato il tuo
giorno, proprio nel mentre dove cacci un urlo, dove stavi per
dirgli quanta è la rabbia, per dimostrargli la collera, l’odio
che senti, compresso in un attimo, un gesto, uno sputo, per poi
abbandonarti al gusto che provi, in un gioco di specchi ti vedi
più viva, liberata di tutto di pesi e zavorre, come lui che per
anni è stato un imbroglio, e per una notte soltanto tu sei stata
una truffa.