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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
LA PADRONA DI CASA




 


 
 


Io soldato le dissi che avevo paura, mentre l’Europa era sconvolta dal fumo, di macerie e di treni, di campi e camini, in terra tedesca, in terra italiana. Ma la padrona di casa era molto sicura, quando bussai tre volte alla porta e le dissi tremante che ero inseguito, da identiche divise del mio stesso colore.

Tutt’intorno la guerra, lampi e bagliori, tutt’intorno montagne e valli e sorgenti, posti distanti, tra l’Umbria e le Marche, posti più impervi per me cittadino. Lei sorrise serena e mi fece cenno d’entrare, ci sedemmo in cucina sulle sedie di paglia, e mi offrì un caffè caldo, nero di cicoria, e non mi chiese null’altro soltanto il mio nome. Era vestita di bianco di stoffa leggera, ma portava uno scialle lilla di lana che strinse vezzoso quando cadde il mio sguardo, sulla camicia scollata, su quel seno importante.

Dalla finestra vedemmo calare il tramonto, e non era sicuro uscire a quell’ora. "La montagna è amica per chi la conosce." Mi disse apprensiva con una ruga sul mento e intanto si alzò e rovistò in un cassetto, porgendomi un cambio
della stessa mia misura, e un pezzo di sapone e un canovaccio di lino. La ringraziai per tre volte ma non c’era bisogno, mi disse ogni volta sul corridoio, la seguii in bagno assap
orando la sorte, lei riempì la vasca e poi chiuse la porta.

Io soldato le dissi che avevo paura quando la sera preparò una minestra, calda fumante di carote e cipolle, e il vapore denso mi entrò nei polmoni, sapeva di casa, di famiglia e di buono, sapeva di rifugio, di seno materno,
di tetto e riparo da bombe lontane, di tedeschi e italiani in fondo alla valle.

"Su queste montagne il cibo non manca." Disse versando sui piatti due mestoli pieni. Poi tagliò il pane e un po’ di formaggio, e mise sul tavolo una caraffa di olio. Bevemmo un Verdicchio di quelle parti, lei solo un dito ed io mezzo bicchiere. "Il vino mi dà alla testa." Mi disse. "Il vino fa femmine tutte le donne." Sussurrai, chiedendomi dopo se avesse capito.

Di sera mi raccontò al lume di candela, quanto tempo era stata a dormire tutta sola, sopra quel monte dove si scorgeva il mare, dentro quella casa dove si udiva la guerra, lontana mi disse, vicina tradussi. Aveva tanti anni e tanti più di me, ma la sua pelle era liscia color di pesca settembrina. Era un po’ rozza e un po’ contadina, con due seni enormi e molli e i fianchi troppo larghi. Sulla credenza soltanto due ricordi: una fede d’oro e una foto in bianco e nero, lei con il vestito bianco, lui con il vestito scuro.

Io soldato le dissi che avevo paura quando mi confessò che non aveva più fatto l’amore. "Anni." Disse gonfiandosi il petto. "Anni." Ripeté toccandosi i capelli. Suo marito era soldato, disertore poi seppi, suo marito era robusto, come me poi mi disse. Dopo cena rimanemmo a scaldarci in cucina, al fuoco della stufa con i cerchi di ghisa, sul fornello bolliva una pentola piena acqua, per la borsa calda che prese da un cassetto, per un po’ di malva cotta per via di un mal di denti.

Fuori cominciò a cadere giù la neve. "Non l’ho mai vista." dissi a bassa voce. Lei rise: "Se taci ascolti il suo silenzio." Sussurrò portandosi l’indice al naso. Si alzò e si accese una sigaretta sulla fiamma, io chiesi il permesso di fumare il mio trinciato.

Era un po’ rozza e un po’ contadina, ma con due seni enormi e molli da dormirci notti intere, da succhiare latte caldo, come mucche al tramonto, da dormirci come un bimbo, quando fuori c’è la neve.  Le chiesi quale sorte fosse riservata ad un disertore, lei guardò la foto ma poi non disse nulla, per un attimo infinito rimanemmo a guardarci, ad intrecciarci dita e fiati sul tavolo di legno.

La battaglia infuriava ed io avevo paura, i suoi capelli si sciolsero, da soli mi sembrò, ma ero distratto da lampi lontani. Temporale azzardai nonostante la neve, tedeschi lei mi disse aggrottando le sue ciglia. "Qui non si può stare." Disse sottovoce. La vidi in ansia non certo per la neve, la vidi preoccupata per me disertore.

Salimmo su in mansarda e preparò un letto caldo, tirò fuori dall’armadio le lenzuola con i fiori, sapevano di bucato e sapone di Marsiglia, sapevano di morbido dopo mesi di crine,
di letti e di fango, di terra e di topi. Lei andò in bagno ed io sotto le coperte, mi chiese d’aspettarla, mi chiese due minuti, ma mi addormentai e la percepii nel dormiveglia, sospirare rassegnata e spegnere la candela.

Di notte la sentii agitarsi dentro il letto, voltarsi e rivoltarsi ma era solo un sogno. Fuori nevicava e qualcuno bussò alla porta. Lei scattò in piedi e mi fece cenno di seguirla, aprì una porticina che portava sotto il tetto, mi disse a voce bassa di rimanere fermo e zitto, di non preoccuparmi perché sapeva cosa fare, ma dal buco della chiave la vidi agitata, scese a passi svelti allacciandosi la vestaglia.
Bussarono ancora, forte contro i vetri, bussarono ancora, calci contro i muri, erano due uomini che parlavano l’italiano, erano due fucili che cercavano un disertore.

Ma la padrona di casa era molto sicura, li fece entrare e gli offrì del buon vino, del pane tostato e miele in abbondanza. Fuori dalla finestra era quasi l'alba, poi sentii voci dure di ufficiali, roche come ruggine, fredde come acciaio, cercavano un soldato robusto e vigliacco, cercavano soltanto un misero disertore. Sulle scale passi duri, pesanti di scarponi, impaurito non respirai per decine di minuti, mi confusi lentamente come l'ombra fa col buio,
sentivo il mio sudore colare fino a piedi, benché io fossi nudo e facesse un freddo cane, benché sopra quel tetto cadesse ancora neve.  

"Non c’è nessuno!" La sentii convincente. "A parte me..." Disse sussurrando. "A parte me..." Ripensai alla scollatura. Sentii l’odore acre di sigari e poi risa, sentii parole intrise di voglie da bordello, e poi un invito dolce, caldo e femminile, e poi un silenzio di respiri ovattati, gemiti più fitti senza voci e né scarponi, grida poi stonate di uomini in divisa.

Rimasi immobile tutto il tempo, ma non sentii altro, e l’alba penetrò da dietro la persiana, poi un rumore di motore e di benzina, i due che salutavano per un prossimo incontro, e poi una camionetta che curvava dopo il ponte.

Tirai un sospiro grande e uscii da quel riparo, mi misi dentro il letto e feci finta di dormire,
non passò che un momento e la sentii in cucina, poi i suoi passi caldi che salivano le scale.  Mi sfiorò con un bacio, delicato sulla fronte, una tazza d'orzo e latte fumava sul vassoio. La neve cadeva fitta, non aveva mai smesso, i lampi più distanti, non sarebbero tornati! Si rimise dentro il letto e notai la scollatura, i suoi seni arrossati grandi come un rifugio. Si rimise dentro il letto accoccolandosi da bimba, accarezzandomi la faccia mi sorrise dolcemente.
 
Dormi poi mi disse, il pericolo è passato. Grazie io risposi e non ebbi più paura.

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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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Photo  Daniel Bidiuk

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