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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
EVA INNAMORATA DELL'AMORE
Delitto d'onore
«Le rose che de' suoi baci hanno odore. Non mi bastano più: lui solo io voglio.»





 


 Allora cominciamo. Immagina una donna d’animo sensibile, si chiama Eva, ma questo non ha nessuna importanza, nessun riferimento. Eva da adolescente è una ragazza ingenua come il pane caldo appena sfornato, bella, bella come il grano a giugno o le viole a marzo, fate voi. I suoi capelli sono biondi, una cascata soffice di primavera oltre le spalle, i suoi seni mele verdi colte appena acerbe.
Da grande invece immaginala signora che ha raccolto i suoi capelli, il colore è sempre di grano, ma maturo per la falce, non credo sia mai uscita di giorno senza cappello. Guardala è solenne quando cammina, austera quando ti guarda e non dice e non capisce, e le si forma una ruga che la tradisce, solcando appena la sua fronte ed arrivando fino al cuore. I suoi occhi sono profondi, spirituali come l’incenso, chiari come l’alba quando s’alza un po’ di vento, ma sono assenti, racchiusi nel suo mondo, perché lei scrive racconti, ha scritto poesie, e gelosa le raccoglie come i suoi capelli nella crocchia.

Ha passato la sua infanzia a Cannes, ma è italiana vera, padre di Firenze e la nonna di Ancona. Lui è un console in carriera e gira spesso il mondo, la madre invece è greca, tuttora una pianista, famosa in tutta Europa, con le fughe d’Albinoni e le sonate di Corelli a volte un po’ Scarlatti ma solo i virtuosismi.
Ecco, facciamo un passo indietro, immaginala bambina, circondata dall’affetto, benessere e premure, immaginala al piano o quando fluidamente parla, l'inglese, il francese, lo spagnolo, il greco e l'italiano. Ora ha sedici anni e si esibisce al pianoforte, davanti ad una platea numerosa ed entusiasta. Ora ha diciotto anni e pubblica una raccolta, di poesie che trasudano d’anima romantica. Ora ha ventidue anni e la troviamo a Firenze nei salotti più esclusivi, sempre al centro dell’attenzione, sempre bella come il sole.
Siamo negli anni cinquanta e le donne a quell’età non cercano lavoro, ma un marito che le sposi e le renda felicemente madri. E lei conosce un giovane con la divisa, diciamo un ufficiale, un carabiniere in carriera adatto al suo rango. Il suo nome è Saverio e lei se ne innamora, tanto che dopo qualche mese si promettono l’eterno, davanti ad un prete slavo, greco ed ortodosso, davanti ad una platea di sete e di cappelli, davanti ad una crema di notabili ed ufficiali.

I primi tempi sono meravigliosi, hanno tanti amici, viaggiano, si divertono e il talamo è bollente. Ecco ora immagina che per lavoro lui venga trasferito a Milano. Lei lo segue naturalmente, ma si sente sola. Passa giornate intere guardando dalla finestra, la sola cameriera le tiene compagnia. A volte esce, ma detesta quel cielo grigio e uggioso, così getta il suo cuore tra quei versi e quelle rime, tra i tasti malinconici del suo piano, finché tramite un conoscente, un amico del marito, conosce un gruppo di poeti, artisti bohémien, anticonformisti e scapigliati.
Eva è bella, di una grazia ammaliante, corteggiatissima per il suo aspetto, adulata per ciò che scrive, blandita perché dolce, perché unica e di classe. Il suo cuore inizia a battere, ma nessuno ha la chiave, per ora è confusa e scrive versi alla luna. Suo marito la sera esce, per giocare d'azzardo o incontrare altre, quelle che sanno di nettare d’albicocca, quelle che fumano sedute sui divani, quelle che segui in cima alle scale.

Eh già ci siamo, gli elementi ci sono tutti, il matrimonio inizia a scricchiolare, e in casa si respira, un’ineluttabile aria di tradimento. E l’ineluttabile arriva, certo che arriva, ma non è un artista e neanche uno scapigliato. Semplicemente è un amico del marito. Lui si chiama Giuseppe e lavora in banca. Conosce l’arte del corteggiamento e conosce anche le donne. Gli basta poco per capire e trovare quella chiave che lo porta direttamente dove lui vuole stare. C’è anche un bacio, anzi due. Succede un pomeriggio, seduti sul divano, al centro della sala, sotto le gocce di un lampadario antico. Giuseppe ha dei fogli in mano, sono cedole bancarie, ma sono solo scuse, e sta aspettando il ritorno di Saverio. E non si fa sfuggire l’occasione, ci pensa e ci ripensa prima del the e dopo un buon sigaro toscano, poi avvicina il viso e lei non si ritrae, poi avvicina la bocca e lei schiude le labbra. E’ un bacio sì, l’overture di una sinfonia, l’epilogo di una tragedia. Guarda quanta intensità, quanta passione tra quelle labbra rosso ciliegia di lei piene di arsura, da dissetare, da sgualcire, che desiderano soltanto l’umido dell’amore.

Ecco ora immagina che lui non si faccia più vedere, chissà forse per un disegno preciso, per un piano oppure perché non ha scuse, non ha altre cedole da far firmare, ma ogni giorno le faccia recapitare, splendidi mazzi di rose rosse, fasci di cuore e sensi forti che lei puntualmente annusa, e si sazia e si riempie, e i suoi seni si inturgidiscono, e il piacere come un miracolo copioso diluisce.

«Le rose che de' suoi baci hanno odore. Non mi bastano più: lui solo io voglio.»

Questo lei scrive, sospira e pensa, quando è sola o quando mente, dicendo al marito che quelle rose belle, le compra ogni mattina la cameriera al mercato. Ecco la prima bugia, ne seguiranno altre, tante, troppe.
Una donna innamorata mente, sfacciatamente mente, e se scoperta, ha mille motivi per giustificarsi, con se stessa, lo specchio e gli altri. E ci crede, e ne è convinta. Perché ha un solo scopo, che crede ideale, il toccasana d’ogni suo male, il balsamo d’ogni tristezza, e per nulla al mondo ci rinuncerebbe, anche mettendo in gioco i propri occhi, il ruolo di moglie e quello futuro di madre, per non parlare della dignità che baratterebbe al tavolo del gioco dell’amore.

Ecco ora immagina che siano passati giorni, ma non pensare che siano banali giorni, perché lei è un tumulto di cuore e sesso, una bufera di vento e neve nell’inverno russo. Aspetta ogni giorno quelle rose, le desidera e le pretende, le aspetta come un telegramma, un destino atteso, il crollo di un campanile dopo un terremoto. Manca poco, vero, manca niente. Finché arriva quel benedetto invito. E’ un foglietto scarno, la data, l’ora e un indirizzo, dell’alcova desiderata a due passi da casa sua.
Il bel Giuseppe si è dato da fare, non ha perso tempo, ed ha trovato l’alcova promessa. Lei non ha alcun ripensamento, è presa da quella voluttà, lo scrive nelle sue poesie, sceglie le parole adatte, che trasudano d’immoralità e d’indecenza, e compone versi di perdizione e vizio come fosse già successo. E succede certo che succede, quel primo giorno e tanti altri.

Ecco, immaginala quando si prepara per uscire, immagina le sue calze di seta nera, i suoi corpetti rosa, i fiocchetti da donare a chi le presta tanta attenzione. Immagina quei capelli, quanta cura che ci mette, quel rossetto rosso fuoco, quelle unghie laccate rosse, quelle giacchine corte alla vita, le forme tonde dei suoi fianchi. Ecco immagina la sarta paziente, che la sta a sentire, immagina il parrucchiere, la cameriera solerte e complice, il suo cane in disparte che ha notato il cambiamento. Tutti hanno capito, tutti attori di un tradimento! Immagina lei allo specchio prima di uscire, immagina come si guarda e come si cura, ogni giorno alle tre del pomeriggio, oggi santo giorno come il sole che si alza, come una messa comandata, mentre suo marito si riposa sulla poltrona a fiori e inevitabilmente si addormenta.

Ecco questo è il segnale. La vedi? Prende la borsa e il soprabito. Un’altra occhiata per assicurarsi che lui dorma. Ora chiude la porta, leggermente senza far rumore, ora sta scendendo le scale, ora è in strada. Esattamente lei, la vedi? La donna con il cappello e gli occhiali scuri. Sembra uscita da una copertina di Vogue. Quasi sempre vestita di nero, come un’amante, come un delitto. Senti i suoi passi? Il rumore dei tacchi? Come un Bolero che suggestivamente sale, sempre più convinta che quella sia la strada. Si sta recando in una camera a dir poco squallida, sicuramente non adatta alla sua bellezza, alla sua eleganza, alla sua classe. I muri dell’androne trasudano di muffa, e d’odori d’unto e di sporcizia, le pareti sono scrostate, la balaustra in ferro arrugginita, qualche graffito osceno sulle pareti… Ecco, i due amanti si incontrano proprio lì, ogni giorno alle tre con la compiacenza della cameriera, che ha il compito di avvertire la signora, nell’eventualità che il marito si svegli, prima del solito, prima che finisca l’amore.

Immagina lei quando entra nella camera, immagina il giovane amante già sul letto ad aspettarla. Hanno poco tempo, il tempo di un pisolino di un marito su una poltrona a fiori. Troppo poco per l’ardore di lui, per l’astinenza istintiva di lei. A volte non la spoglia, alza quella gonna stretta mentre le bacia il collo e veemente le strizza il seno. La mano ora è tra le gambe, le scosta le mutandine. Immagina quelle cosce accoglienti, immagina quei fiocchetti, la grazia e la devozione, immagina l’abbandono, quando reclina il viso e dona il suo presente, ovunque lui voglia stare, ovunque ora quel corpo maschio, affonda e si ritrae, nel circolo vizioso che l’amore possa fare. E lui le dice parole sconce che sanno di bordello, e lui le dice altro, tipo gatta in calore, e lei è un’artista e sa distinguere e capire, e sa vedere in quelle frasi l’anima di parole, la passione irruente, il gioco della trasgressione, e lo lascia fare, lo lascia dire, finché da lontano avverte quel fragore, che a breve esplode straripando sul piacere, inondando le sue gambe, slip e poesie.

Ecco non più di un attimo, la stessa durata di un sogno. Ora lei è pronta, lo bacia, lo ama come una donna persa, gli dice grazie, ma lui non capisce, e si rimette il cappello, un tocco di rossetto, ricompone il suo chignon biondo. Per ultimo rimette in ordine le calze e gli slip di seta e merletto. La vedi? Sta coprendo la sua indecenza, come un assassino che lava le tracce, come un cane che copre i bisogni. Fugge a casa. L’andatura è diversa. Non è poi così difficile distinguere una donna che sta andando dall’amante da quella che appagata torna a casa.
Eccola sulle scale, ripensa all’incontro, ne vorrebbe di più, sempre di più. Forse i due non si sono nemmeno parlati, ma forse è meglio così, la differenza culturale è troppa e in fin dei conti si incontrano esclusivamente per altro. Certo, certo a domanda precisa lei giurerebbe di essere innamorata. L’uomo invece è un po’ più complesso, prevede una risposta più articolata, ma forse è solo più furbo. Guardalo appagato che saltella per la strada, fischia soddisfatto pensando alla sua preda. Ok certo, forse prova affetto, o forse solo pena, di una moglie che in preghiera, s’accontenta di mezz’ora.

Ecco ora torniamo al marito, sospetta qualcosa, le bugie di lei sono troppo evidenti, non vorrebbe intervenire, vorrebbe lasciar correre, ma c’è un cognome da rispettare. Da buon investigatore non domanda, osserva in silenzio, anzi sa che la persona più facile è l’anello più debole della catena, e con la promessa di triplicarle lo stipendio costringe la cameriera a parlare. E in un pomeriggio come tanti, lui fa finta di dormire. Vede Eva truccarsi in penombra, la vede indossare le calze, sempre più velate, la cucitura, il reggicalze, e le scarpe con il tacco, il rossetto ecc. ma rimane immobile, non la ferma. E’ un carabiniere ricordi? Una donna sa negare, mentire all’evidenza, per questo vuole agire e coglierla in flagrante!

Quindi il buon Saverio la segue, a poca distanza fa gli stessi suoi passi, la vede che sale quelle scale. Chissà se il cuore batte con la stessa cadenza, ha il fiato grosso certo e i pensieri torbidi come la sporcizia di quel posto. Non gli pare vero, sta vedendo la sua donna, abbellita come una di quelle, che lui ben conosce e se ne sazia ogni notte. La vede portare a domicilio la sua parte migliore, già calda e disponibile, già persa per quell’uomo. E la gelosia non si ferma davanti a scrupoli di coscienza, la gelosia segue un percorso proprio ed il percorso ora sono quelle scale. Cosa non si farebbe per la gelosia? Cosa potrei fare io? Cosa potresti fare tu, mio caro lettore?
Ok torniamo a lui che la sta seguendo per le scale, sente il rumore di quei tacchi, la scia di profumo finché sente la porta chiudersi. Slam!!! Dal rumore violento capisce già tutto, la fretta, l’ardore… Quello slam sa di tradimento, sa di corna, di onta e di vendetta! E da buon carabiniere aspetta, aspetta il tempo necessario, dopo il quale lei non può più avere scusa, decenza e dignità. Aspetta lì fuori, in silenzio come un ladro, quatto come un gatto che aspetta il suo turno, muto come un silenzio prima del fragore. Ecco, ora immaginalo lì, sente i primi rumori dell’amore, della passione. Sente gli stessi rumori dietro le altre porte di quell’infimo luogo, quasi si confondono. E’ una casa per amanti, una fabbrica di corna a pochi passi da casa sua. Si domanda come possa sua moglie conoscere quel posto, come una persona eterea ridursi in quella fogna.

Ecco immaginalo ora che stringe con la mano destra un paletto, un piccolo asse di ferro in dotazione ai carabinieri. Guarda la mano, trema ed è arrossata! Questa non è un’operazione di polizia, una classica irruzione dentro un appartamento. Dentro quella casa non ci sono trafficanti di droga, non c’è una banda di portoghesi a spartirsi il malloppo dopo aver svaligiato una banca, dietro quella porta c’è lui, la sua vita, la sua Eva, c’è il confine che separerà l’oggi al domani, una rete da pesca che divide due mari, uno squarcio permanente su un vestito di seta.

Comunque procede, ormai ha deciso, e per lui è un gioco da ragazzi far saltare quello scatto, e in un attimo apre quella porta. La scena che ha davanti è romantica e penosa, comunque li vede, i due amanti sono lì, distesi su quel letto di lenzuola ingiallite e consumate da quell’amore impuro. Lui è di spalle, nudo su di lei, lei nuda sotto di lui. E’ bella, anche in quella situazione è bella. Si ok è a gambe aperte, sta accogliendo lui, il suo piacere, la sua liberazione. Ma è bella. Suo marito per un attimo incrocia il suo sguardo, ma non gli vengono parole, né cagna e né puttana, solo un denso sguardo di disprezzo.
L’amante invece quasi non se ne accorge, o comunque non ha la prontezza di fuggire, rimane lì dentro di lei, nelle cosce di una moglie non sua, tra quella seta infiocchettata, tra quel velluto di pelle color pesca. Eh già, rimane immobile, come un bersaglio fisso al poligono di tiro. La donna caccia un urlo, è terrorizzata, ma esce ben poca cosa, l’urlo rimane strozzato in gola, come il piacere rappreso nel suo sesso. Sono attimi come lame di un coltello, gelidi come una canna di pistola prima dello sparo, ghiacciati come il cuore dopo un tradimento. Sono attimi lunghi e corti, pieni e vuoti, ma il carabiniere sa quello che deve fare e lo fa, come un dovere, una fede, come fosse in servizio… professionalmente… obbedisce ad un ordine. Uno sparo e via senza pensarci troppo. Uno sparo secco, netto, preciso, uno sparo di morte e di vita. La sua.


*****


EPILOGO DELLA PRIMA PARTE


Ci fu un processo, ma durò complessivamente tre udienze, ci fu una condanna, ma la somma degli anni a carico risultò, guarda caso, pari agli anni dell’attenuante per delitto d’onore. Eva per il dolore si tagliò i capelli e andò a depositarli con delle ghirlande di fiori sulla tomba dell'amato dove, per diversi giorni, si recò a pregare.
Naturalmente il marito la cacciò di casa e ottenne la separazione in un mese. Lei andò via da Milano e si rifugiò a Firenze, ma suo padre non la volle accogliere in casa e lei visse poveramente in una camera ammobiliata. Continuò a scrivere. Ossessionata scrisse e riscrisse la sua storia d’amore. Ogni giorno, la stessa. Si mantenne pubblicando saltuariamente piccoli racconti. Eh già le rimaneva solo la poesia…







SECONDA PARTE


Ok, abbiamo lasciato Eva in quella mansarda fredda e umida a scrivere racconti e a piangere il suo amante. Non sappiamo quanto pentita o meno, sicuramente con un senso di vuoto dentro. Ha perso tutto, affetto, marito, padre, amante, cameriera e tutti i benefici del suo rango. Ma soprattutto ha perso l’amore quel grande amore che non aveva trovato nel suo ex marito. Eva scrive, scrive la sua tragedia intima e per fare questo ha bisogno di esperienze d’anima. Non riesce a scindere la sua vita spirituale dal sesso, in lei sono fusi, solo nell’abbandono i suoi sensi riescono a percepire quelle profondità che traspaiono chiaramente dai suoi racconti.

Ecco immaginala a collezionare flirt, più o meno stabili, sempre alla ricerca della felicità e del vero amore, ma questa volta non incontra la crema della società, nelle sue giornate non ci sono ufficiali in carriera o giovani artisti scapigliati appartenenti alla società bene.
I suoi contesti sono strade sporche senza fogne, tuguri intrisi di olezzi millenari, i suoi orizzonti soli e lune color melma. Molti uomini che incontra sono avanzi della comunità, ma gente furba che intuisce l’origine benestante della donna. Gente che, facendo leva sulla sua ingenuità e generosità, cerca, con l’inganno d’amore, di arrivare alla sua dote.

Ecco lei è a Firenze, la sua città, ma anche il suo rifugio dopo la tragedia, dopo che è stata rinnegata dal marito e dal padre. Ma Firenze è troppo stretta per lei. Si sa che la voce corre, tutti sanno ciò che è successo, e l’infedeltà di una donna passa velocemente di bocca in bocca. Ha difficoltà di inserimento e allora decide di cambiare aria.
A Roma trova calma, ma soprattutto tanta solitudine. Nelle sue lunghe giornate si impegna, passa lune piene e notti intere a scrivere. La scrittura per ora è la sua unica e sola consolazione. Le virgole e i punti le danno carica, le pause l’ispirazione e la giusta enfasi al suo male di vivere. Il dolore del resto rende l’anima più fonda e più sensibile. I suoi racconti sono nenie e filastrocche che escono da quelle pieghe fibrose e trasudano stille di sentimenti veri, gocce di sangue e tradimenti e da lì nascono storie passionali e nel contempo piene di dolcezza. E quando l’anima è coinvolta, l’impegno e la costanza producono sempre le gemme più belle di marzo e i frutti migliori al raccolto. I suoi personaggi prendono forma, i suoi romanzi, seppur influenzati dalle sue vicende personali, iniziano ad avere un discreto successo. Lentamente esce di casa, lentamente si apre agli altri, Roma è una città aperta e l’accoglie senza pregiudizi.

Ecco, immaginala bella, nei salotti bene di questa città immortale, immagina di nuovo il suo sguardo, pieno di luce, immaginala affascinante, incantevole nei modi e nei vestiti, nella scelta dei tessuti e dei cappelli. Ecco immaginala di nuovo sicura che cammina tra le carrozze di Via del Corso, o quando si intrattiene amorevolmente a conversare di poesia e bellezza, e a disquisire tra le varie correnti di lettere e d’arte.
E come sempre accade in questo tipo di frequentazioni incontra un giovale letterato di nome Giovanni Alfredo. I due si piacciono e trovano modo di approfondire la loro conoscenza. Ora la troviamo nella sua piccola casa del rione Monti, eccola le vedi? E’ alla finestra intenta a sublimare ed a saziarsi del panorama all’imbrunire, osservando il tramonto rossastro di Roma. Quel tramonto colora la sua anima d’infinite sfumature. Quelle chiome di pini storti in trasparenza la rendono fragile e in balia dei sensi.

Eccola, la vedi? Ora è tra le braccia di Giovanni, fanno l’amore sì, ma lui è gentile, rispettoso e delicato, i suoi baci un refolo leggero di ponentino. Il suo animo è nobile, l’amore unico e sereno. Adora Eva quasi come una sorella o madre o sposa.
Ma, c’è sempre un “ma” nella vita di Eva, è un “ma” carico, pieno di sensazioni che lei non riesce a trovare in un normale rapporto. E’ un “ma” che sa di stazione, di treni a vapore che partono e arrivano. Eccola la vedi? Con la gonna stretta, il cappello, l’ombrello, la valigia sempre pronta per altre stazioni. Ed infatti non si sente appagata da quel tipo d’amore, lei ha bisogno di altro, di emozioni e stupori, per questo è alla finestra, per questo pensa, pensa, sente dentro una forza ribollire, un qualcosa che la trascina in altri lidi, inspiegabili e misteriosi, appunto quella forza oscura che il giovane per sua indole e natura, mai potrà addomesticare.

E il tormento dell’anima è sempre alle porte, lei non lo cerca ma si fa cercare, ed ecco Pietro, pittore di modesto talento, ma artista dalle pennellate forti, dai chiaroscuri netti. Lo conosce per caso, anzi per lavoro. Lui deve illustrare la copertina del suo nuovo romanzo. E quel romanzo è una sorta di autobiografia con cupe riflessioni sui suoi affetti, vista attraverso la vita di una bambola, pensante e senziente, una bambola che per tratti e carattere somiglia molto a lei.

Ecco immagina costui, praticamente un povero diavolo, venticinque anni senza arte e né parte, una vita povera di denaro, ma ricca di stenti. Ha studiato all'Istituto di Belle Arti, ma riesce solo ad imbrattare tele o dipingere muri per sbarcare il lunario. Non ha né casa né studio e si atteggia a bohèmien più per necessità che per scelta. Di origini napoletane mangia quando può e ciò non avviene quotidianamente. Conserva i mozziconi delle sigarette, le sue tasche sono gonfie di pane raffermo, la sua barba è incolta, sporca, e la sera molto tardi va a dormire da sua sorella.

Durante le sue lunghe ed inconcludenti giornate per Toledo incontra Eva di passaggio per Napoli. Il primo approccio è banale, lui le chiede il permesso di farle un ritratto. Non chiede un prezzo ma si affida al buon cuore di lei. Eva è perplessa, ride e sta al gioco. Il ritratto è bellissimo, i suoi occhi dipinti sono profondi come due anime incavate, scintillanti come due calici di cristallo. Lei si appassiona a lui e alla sua vita. Si chiede come sia possibile che un artista così pieno di talento abbia quell’aspetto e quella condizione. Allora comincia ad aiutarlo, gli propone di dipingere la copertina del suo nuovo libro e lo raccomanda ai suoi amici. Lui si trasferisce a Roma, ma è timido e lei lo incoraggia. Pietro non raccoglie e una sera Eva decide si essere più diretta proponendogli di cenare a casa sua anziché saltare i pasti. Naturalmente ci sono anche i “dopo-cena” ossia l’inizio della loro storia.

Poi si sa le cose come vanno, i due decidono di convivere. Le loro notti sono notti di fuoco, di strizzate d’anima e sesso, di paradiso terreno, di gambe capienti come culle e maschi tesi. Tutto sembra non avere fine, ma ben presto tornano le nuvole, e tornano i treni e le stazioni, la donna con la valigia, e l’anima di Eva di nuovo ribolle e l’atmosfera diventa cupa, per via delle continue assenze di lei.
Ecco immagina lui disteso nel letto, in canottiera che fuma e guarda il soffitto, è notte, è sempre più notte, le ore si allungano ed è sempre più attesa. Dicevo, immagina lei che torna, bella sensuale e femmina sazia, il trucco dimesso, i capelli sciolti che sanno di perdizione e sesso appena consumato. Ecco, immagina lui, l’aspetta e la guarda, le scenate di gelosia sono sempre più violente, lui non capisce cosa significhi anima libera, anima d’artista, lui pensa solo alle sue corna, beh sì queste sono tante e la sua bassa cultura non riesce a sopportare.

Ecco immagina questo per tanti giorni e tante notti e immagina pure una volta, una di quelle banali, una delle tante. Il giovane pittore finalmente ha la prova provata, è in allarme e la cerca ovunque, finché intercetta una lettera indirizzata a lei, è una lettera d’amore, le parole galleggiano come una foglia sull’acqua, come ninfee quando sbocciano il primo fiore, delicatezza e passione, bramosia e sesso. Ci sono dei riferimenti chiari sulla natura delle assenze di Eva e questo basta a Pietro per scatenare notti e giorni di gelosia, scenate violente con tanto di percosse. Eva è sconvolta per questa reazione, non capisce, ma poi trova la chiave giusta dicendo e mentendo che è solo un’appendice di un vecchio rapporto, e quella storia da tempo è morta e sepolta. Lui insiste e a questa pressione lei risponde di essere confusa, che ha bisogno di tempo…

Ma si sa come vanno le cose, da quel momento il tenebroso pittore diventa violento, manesco e possessivo, ogni pretesto è buono perché l’ira prenda il sopravvento. La tratta da donna di strada, ha perso la fiducia e non crede più ad una sua parola.
Eva ha paura, ma non riesce ad allontanarsi da lui. Comunque qualche tentativo lo fa, una volta tenta di chiuderlo fuori di casa. Ecco immagina lui barcollante che bussa alla porta, è ubriaco, puzza di gelosia affogata in un vino da poco e in donne di malaffare, immagina lei in casa, ha paura, sa che anche stasera ci saranno percosse. Lei spranga la porta, ma lui forza una finestra ed entra in casa. Puoi immaginare cosa possa succedere, ma Eva non si convince, non fugge, accetta quelle percosse, alcuni amici le consigliano di denunciarlo alla Questura, ma lei non si fida, ha paura e teme che lui possa vendicarsi.

Uno di questi amici, seriamente preoccupato, intuito il pericolo, per ogni evenienza le regala una pistola da tenere nella borsa. Ecco immagina lei, ora è di nuovo a casa, immagina lui, sono a cena, lui per un pretesto alza la voce, poi le si avvicina minaccioso. Lei istintivamente prende la pistola e gli intima di andarsene e lasciarla in pace! Lei grida, lui grida, volano parole di bettola, la situazione si fa pesante, la vista della pistola, invece di calmare gli animi, li rende incandescenti. Il giovane pittore in preda all’ira strappa dalle mani di Eva il revolver e spara, spara, spara tre colpi. Non sappiamo quanta intenzionalità ci sia in quelle pallottole, sappiamo solo che i primi due non vanno a segno, ma il terzo centra e trapassa l’addome della povera Eva.

Non muore immediatamente, viene operata d’urgenza e durante la lunga agonia ha modo di dire a chiare lettere alla Polizia che il gesto dell’uomo è stato dettato solo ed esclusivamente da interesse economico e non da motivi passionali, in modo che la giuria, visto le leggi di allora, non sia costretta ad applicare alcuna attenuante alla condanna.



*****


EPILOGO


La storia di Eva innamorata dell’amore finisce qui, una vita movimentata con un epilogo degno della letteratura del tempo… Soprattutto un’agghiacciante coincidenza tra letteratura e vita, lei muore proprio della stessa morte violenta che tante volte aveva descritto nelle sue opere conferendo alla sua biografia e alla sua memoria un alone di tragica e ineluttabile fatalità.
Con immenso trasporto e pena ci pare di sentirla ancora mentre sussurra i suoi versi e tra le righe legge: “Noi amanti, noi donne infedeli, noi donne che abbiamo interrotto un grande amore, siamo destinate a vivere la nostra unica vita qui, su questa terra, perché per noi non ci sarà mai il Paradiso!”
 

   






 









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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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Photo  Maja Topcagic


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