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								RACCONTI     
                            
			Adamo Bencivenga 
			
                            ASPETTANDO I PAGLIACCI 
			
			  
			 
 
  
			
				
					
      				    
      				  
                            
                            
						Eccomi qua, eccomi a 
						voi, con il bastone e il cappello, le scarpe e 
						l’ombrello, se per caso poi piove, se per caso fa 
						freddo, su questo palco sbilenco che se mi muovo 
						traballa, su travi e palanche impolverate di cipria, 
						dentro questo tendone bucato su in alto, per gli 
						acrobati nani con i birilli e gli anelli, per la donna 
						cannone grassa di cuore, sparata nel cielo con le piume 
						di struzzo, tra le lune e le stelle senza mai più 
						tornare.
  Eccomi qua, eccomi sempre, con la 
						tristezza che lievita nei vicoli stretti, come i fumi di 
						sera, d’umido umore, e cammino fischiando e mi fermo 
						annusando, magro di giorno e gonfio di notte, di birra e 
						puttane che scorrono a fiumi, come piscio fumante che a 
						rivoli scola, per le strade del centro, per i bordelli 
						segreti, che solo gli artisti conoscono e sanno o 
						fiutano certi passando per caso.
  Eccomi qua, 
						eccomi dove, un portone, una scritta, una foto a colori, 
						ed una signora in penombra che m’invita ed ammicca, 
						scoprendosi in parte la sua quinta abbondante, tutto 
						compreso, tutto a buon prezzo, sporche lenzuola che 
						sanno di sesso, una stanza col bagno fuori in balcone, 
						mezza pensione con la cena alle sette, ed una donna che 
						aspetta fuori la porta, morbida culla come un nido 
						d’uccelli, da covarci le uova, da passarci la notte. 
						 Eccomi qua, eccomi dove, la vedo è un po’ andata, ma 
						sa di pulito, per quello che pago, per quello che costa, 
						e lei non demorde e prenota la stanza, sussurrando che 
						dentro trovo quello che cerco, un circo a colori, una 
						fiera ambulante, una culla capiente per scaldarmi la 
						notte, un pagliaccio che ride, un marito distratto, un 
						buco abbellito da sete e da trucchi, che ostenta e 
						m’invita accavallando le gambe.
  Eccomi qua, 
						eccomi a voi, con una giacca un po’ lisa sgualcita dal 
						viaggio, senza un soldo stasera per sbarcare il lunario, 
						una donna qualunque per farla morire, ogni sera sul 
						palco, ogni notte nel letto, per sentirmi più mago, per 
						sentirmi più maschio, con la valigia per terra vicino al 
						bancone, con la gabbia e gli uccelli morti di sonno, e 
						un biglietto in tasca per il prossimo ingaggio, per un 
						teatro od un circo, per una pensione da poco, per una 
						donna che accetta in cambio un sorriso, per un oste che 
						mette in conto ogni sera, una cena di niente, un vino da 
						poco, un posto in disparte e una tovaglia di carta. 
						 Eccomi qua, eccomi dove, c’è un velo che scende come 
						nebbia al tramonto, c’è un ricordo che sale che triste 
						fa male, perché ho lasciato una donna in qualche parte 
						del mondo, che coltiva patate e basilico fresco, ogni 
						tanto mi chiama, quasi sempre m’aspetta, tenendomi in 
						caldo la mia parte del letto, ogni sera da sempre con un 
						uomo diverso.
  Eccomi qua, eccomi dove, ho 
						lasciato mio figlio ad una vicina di casa, mia figlia 
						alle prese con l’ennesimo aborto, lei fa la cassiera in 
						un supermercato di notte ed ognuno che incontra è un 
						paradiso terrestre, che sia poliziotto o un soldato in 
						pensione, che sia un camionista d’auto in panne, 
						l’importante non scappi prima dell’alba ed il sogno 
						continui fino al sole più alto.
  Eccomi qua, 
						eccomi dove, davanti allo specchio vestito da scena, un 
						papillon a pois e cipria sul viso, a mente ripasso le 
						quattro battute, con il cappello in mano e la gabbia di 
						fianco, la gardenia all’occhiello, la padrona nel letto, 
						di questa pensione senza altri clienti, impaziente mi 
						invita aprendo le cosce, semmai non sia tardi, semmai 
						non fossi già sazio, per una nuova puntata, per un altro 
						giro di giostra.
  Eccomi qua, eccomi a voi, con 
						una tromba stonata, una grancassa bucata, gli 
						orchestrali distratti dai culi burrosi, di ballerine 
						insaccate in calze di rete, che accettano invito per 
						arrotondare la paga, che accompagnano il numero, sempre 
						lo stesso, della donna segata, e quella legata, da 
						catene e lucchetti, da corde e manette, mentre gli 
						acrobati hanno preso già posto, e cerchi e palline e 
						torce infocate, e clave e coltelli e funamboli nani. 
						 Eccomi qua, eccomi a voi, con la faccia truccata ed 
						un sorriso stampato, da mago e buffone, ciarlatano e 
						imbroglione, con due tortore morte di fame e di sonno, 
						ed un mazzo di carte dove mancano gli assi, dentro il 
						mio cilindro dove nessuno più sogna, neanche i bambini, 
						neanche le madri, che timide applaudono aspettando i 
						pagliacci.
 
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						Il racconto è frutto di 
		fantasia.  Ogni riferimento a persone e fatti  realmente accaduti 
			è puramente casuale.
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