Succede alle volte che una donna di sera cammini da sola e s’illuda
delle tante ragioni che va ancora cercando, che quello che sente è un
cuore che batte, di lei stasera che è uscita di casa, per sconfiggere il
male che a quest’ora la prende. Non vorrebbe più svegliarsi ed essere
certa, che non sono i suoi tacchi a fare rumore e stasera li ha messi
maledettamente più alti, per essere bella, ma bella davvero, per esser
regina, ma non tana d’insulti, di chiunque a caso ha scambiato l’amore,
con un paio di gambe, con un paio di tette purché siano grandi, perché
senza dubbio hanno sfamato nel tempo, bambini neonati e quelli cresciuti,
che ciucciavano latte grasso e materno.
E allora cammina, cammina
di notte, sui marciapiedi sconnessi tra le macchine in sosta e la spaventa
l’idea d’essere una di quelle, anche se è forte il bisogno d’essere altro,
una donna a quest’ora che scandisce i suoi passi, che incerti e precari
vanno più diritti, verso l’unico posto dove è lecito andare. Si ribella
pensando che se non fosse sposata, ma poi dove va, dove andrebbe stanotte,
se ora si sente un pesce fuor d’acqua e su quei tacchi sbanda e cammina,
come papera grassa che guarda vetrine.
Si nasconde e si copre, ma
poi a che serve? Se l’odore che lascia sa d’essenza fruttata, sa di
puttana al primo giorno per strada, per ogni passo che la gonna si spacca
e si scorge il ricamo della calza perfetta, per tutti coloro che a
quest’ora di sera, non hanno mai visto una donna negli occhi. Passano
macchine con dentro famiglie, chissà che diranno le madri alle figlie, che
ci fa una donna che lenta cammina, senza un uomo di fianco che le copra le
spalle e la faccia sembrare femmina onesta, moglie o sorella dall’aria per
bene.
Succede alle volte che fatti due passi, entra in un bar per
sentirsi regina e si ritrova incosciente su un divano amaranto, ed un
cameriere vestito in giacca e cravatta, le porta un liquore alla menta
dolciastro, perché non sa cosa bere per darsi un contegno, non sa cosa
fare per passare due ore e a suo marito ha detto, che faceva più tardi,
per un party all’aperto su una spiaggia di Ostia.
Succede che un uomo
si avvicina discreto ed in modo elegante le chieda un sorriso, lei lo
guarda, è anziano e un pochino si fida e lo fa accomodare per non essere
sola, per i tanti che entrano e la vorrebbero preda, volpe argentata
all‘apertura di caccia. Lui non chiede il motivo perché sia lì seduta, ma
le guarda le gambe fasciate di nero, le guarda quel seno recluso e ribelle
e forse lo pensa, sicuro ne è certo, che una donna a quest’ora, se non
aspetta un amante, aspetta un’offerta che chiama regalo.
Succede
eccome succede, che lui inizi a parlare di un figlio avvocato, di sua
moglie purtroppo venuta a mancare, di come per caso s’è ritrovato in quel
posto, della sua gatta siamese che ha partorito tre figli. Allora lei lo
ferma e si alza di scatto, perché di cagne bastarde ne ha già sentito
parlare, come di aranci che fanno i frutti d’estate in una distesa di
parco sul lago di Albano. Lo saluta cortese e va via di fretta, sicura che
sta notando le sue calze perfette, quella riga che chiunque stasera
avrebbe apprezzato, come il suo di dietro a forma d’anfora antica, che se
non può dar piacere, diventa un rimpianto e un incubo vero.
Fuori è
freddo e lei cammina, lui la insegue e la prega di starlo a sentire, si
scusa semmai fosse stato scortese, se per caso gli è uscita una parola di
troppo. Le dice che mai ha importunato di notte, una signora che chiede di
stare da sola e continua a scusarsi, ma non molla la preda, dicendo
convinto che è una donna diversa, l’incanto in persona, un sogno vivente,
una rosa che ammicca in un campo d’ortiche, un fascio di luna tra le
nuvole fitte. La donna ride, è troppo grande la balla per crederci in
pieno, ed accetta due passi e lui riprende colore, e le offre un passaggio
qualunque sia il posto, anche a Pavia se non fosse di Roma, anche ad Ostia
se adorasse il mare di notte.
Lei ride e fanno due passi, tra le
macchine in sosta e gente che sciama, per birra e per pizze, per musica
nuova. Lui è un architetto e costruisce palazzi, anzi quartieri con le
case e le chiese, e vive da solo in una villa sul mare, troppo grande di
notte per dormirci da solo, per questo stasera stava facendo due passi, ma
non è ancora convinto e cambia versione, le dice che in quel bar chiedeva
una strada, perché al centro si perde tra i vicoli stretti, ma poi una
donna l’ha rapito davvero, ci ha visto la grazia, l’eleganza ed il gusto,
tutta la femmina concentrata nel gesto, di accavallare le gambe dondolando
il suo tacco. Lui parla, parla, ma vorrebbe sapere, cosa lei ci facesse
seduta in quel posto, che per quanto sia un bar elegante, è sempre un
locale frequentato da gente, che di notte ci sguazza ed è in cerca di
altro, ed un caffè a quell’ora è sempre un pretesto.
Insiste e la
guarda per carpire che pensa, vuole esser sicuro di non far figuracce, ed
essere certo che la cifra che offre, lei la valuti solo se ne valga la
pena, senza darle quel senso di morale e d’offesa, che le farebbe in un
niente cambiare la strada. La donna cammina tra i platani secchi, ma non
risponde e rimane in attesa, perché a lui resti nella mente quel dubbio,
ed a lei la curiosità di sentire una cifra, quanto poi valga una donna di
notte, con la riga alla calza e il rossetto che ammicca. Lo vede che vuole
stabilire un contatto, perché le parole fanno un buco nell’acqua, se lei
continua a sfuggirgli e parlare di altro, di come le luci riflettono
gialle, sul muro, le case e il Tevere in piena, sul suo viso abbronzato
che poi non è male.
Ma lui insiste e ammette che per riempire una
notte, per riempire il suo letto con la vetrata sul mare, pagherebbe una
donna senza badare al prezzo. Lei lo guarda e pensa che è ancora troppo
presto per tornarsene a casa, e allora accetta anche se lui rimane
perplesso, perché da inesperta non l’ha lasciato parlare, proporre una
cifra, una qualunque, di quanto stasera può valere una bocca, o le gambe
che lui ora in auto sbircia.
Sono diretti ad Ostia così come ha detto,
ma lei in quell’auto non riesce a parlare, mentre i tronchi dei pini
scorrono storti, nel buio dell’auto coi sedili di pelle, che è grande ed è
bella ma lei non conosce, forse tedesca, ma poi poco poi conta, se le mani
di lui ora rimangono ferme e dubbiose si chiedono cosa ci sia sotto la
gonna, che intimo ha messo e se porta merletti, e quali altri malizie se
fa proprio il mestiere, come la calza sopra il ginocchio, che lascia
scoperte le parti migliori.
Forse davvero non serve parlare, ma
lasciare alla mano l’accordo e il consenso, che ora si stacca per incanto
dal cambio e s’infila possente nello spacco di stoffa, nella gonna che
s’apre alla carne più chiara, che sazia quell’uomo e l’orgoglio di donna.
L’uomo dice mille mentre la tocca, e poi lo ripete sussurrandolo appena,
come per dire che se fosse un’offesa, potrebbe in un attimo raddoppiare
l’offerta. Ma la donna è stupita a sentire la cifra, come se fossero i
soldi a farla più bella, come se fosse quel prezzo a gonfiarle le tette,
che ora lui le cerca, affonda e le tiene. E sono rami di pini che scorrono
a mazzi, e sono chilometri che corrono in fretta, sull’asfalto bagnato,
lungo i tronchi di prima, con una mano che guida e l’altra che tocca, e
poi un cancello, un giardino e due palme, una serranda che sale
nell’autorimessa, dentro un sogno arredato di classe e di gusto, con i
toni celesti e le pareti rotonde, e quelli più azzurri del divano e il
soffitto.
La vetrata è la stessa di come l’aveva descritta, uno
squarcio di mare che si perde nel buio, un fascio di luna che trema
sull’acqua e dà sensazioni che niente abbia fine, nemmeno un appiglio per
orientarsi stasera, nemmeno una barca per saper dove andare. Dai modi
galanti la mette a suo agio, affascinante e cortese le serve da bere,
mentre lei si chiede quale sia il confine, tra una moglie annoiata e una
puttana di classe, o entrambi i ruoli senza vederci il distacco, se quella
è l‘offerta e lei ha accettato, senza per nulla rifiutare sdegnata.
Si ripete che vuole essere solo se stessa, malata di cuore e inesperta
di sesso, almeno s’illude, almeno ci crede, quando lui le dice che è
giunto il momento, l’istante preciso per fargli vedere, se vale davvero
quei mille che conta e poi poggia discreto sopra la borsa. Lei ha un
sussulto, non sa cosa dire, se ci fosse uno specchio si vedrebbe per
strada, che scalda la merce per due fari abbaglianti, perché prima o poi
c’è sempre di notte, una voglia affamata, una bocca che succhia, un
architetto straricco che la invita ad Ostia, nella sua bella casa con la
vetrata sul mare e le facilita il compito perché non ha chiesto, se
davvero lo sia o lo è stata altre volte.
Chiude gli occhi ed
aspetta curiosa, una voce, una mano che le faccia capire, cosa fa di
diverso una donna raccolta, tra le macchine in sosta o in un locale di
notte, se si spoglia o aspetta o si lascia baciare, se il trucco a
quest’ora andrebbe rifatto, se la riga alla calza è ancora perfetta. Sa
soltanto che non è questione di voglia, che non può negarsi come moglie o
amante, perché ha venduto per due ore le tette, e la gonna, le scarpe, la
riga che corre, ad un uomo che ora la trascina ed è pazzo, di quell’aria
ambigua da signora di classe.
C’è sempre un momento dove finisce la
forma e le parole iniziano ad essere certe, crude e dirette ma non danno
fastidio, perché il gioco prevede sentirsele dire e ripeterle a stento
troncando le frasi, perché la malizia è un filo sottile, nel dire e non
dire ingenua e porca. Come ora che la prega di inginocchiarsi al cospetto,
del piacere evidente del maschio voglioso e le dice eccitato che ha una
bocca da sogno e le sorge il dubbio se lei faccia davvero il mestiere,
perché le puttane si vendono in parte e non ci mettono l’anima dentro la
bocca.
Lei s’impegna perché le piace essere brava, ed essere culla
senza tonsille, e guadagnarsi quel prezzo che sopra la borsa la fa sentire
regina e signora. L’uomo s’accorge che sta dando tutta se stessa, come se
avesse il cuore dentro la bocca, perché entrambi sanno quanto sia alto
quel prezzo e per quanto sia brava serve di meglio, una donna distesa che
raccolga l’istinto oppure in piedi come ora le chiede. Lei si alza ed è
davvero un delitto, non sentirsi il sapore del piacere che viene, ma
obbediente si volta guardando di fuori, il fascio di luna che intatto si
perde, dentro una notte, la prima davvero, che aspetta impaziente di
finire alla grande.
Vogliosa gli grida di fare più in fretta,
perché è pronta, disposta e capiente, e qualsiasi parte va bene lo stesso,
e qualsiasi pezzo è compreso nel prezzo. Ma lui attende e rimane a due
passi, le dice sicuro che sin dal primo momento, ha intuito che è una
moglie e una madre alla sua prima volta, quando l’ha vista in quel bar da
sola, che ammiccava le labbra ed accavallava le gambe.
Lei lo
chiama, lo reclama e in attesa lo invita, ma lui rimane in disparte
convinto che il piacere non è altro che quello, sentirsi orgoglioso di
pagare una donna, sentirla traballare su una proposta indecente, come del
resto è successo e come ora su quei tacchi, la vede in piedi che fremente
lo aspetta, senza più regola che le dia un contegno, per onorare quel
patto e il suo disegno stasera che l’ha portata in una casa con la vetrata
sul mare.
Lui ora in piedi si procura da solo il piacere e lei
curiosa lo guarda convinta che a breve darà tutta se stessa, facendo
l’amore, allargando le gambe, senza sapere che non è quella la meta, che
il piacere di lui non prevede dell’altro, ma solo il desiderio scomposto
di macchiare una moglie, un segno indelebile che rimane per sempre, perché
il piacere non è farci l’amore, perché il gusto non è sentirla gridare,
sentirla ansimare mentre allarga le gambe, perché quello che conta è
pensarla signora, seduta in un taxi che torna verso casa, e vede la
macchia sulla calza di seta, e ripensa alla sera e perché l’abbia poi
fatto, e sceglie la scusa più credibile e vera, e se questa sera non sarà
stata la sola, e se il marito già dorme o sveglio l’aspetta, se stasera le
chiede di fare l’amore, se il figlio più piccolo ha ancora la febbre e
quello più grande ha ripassato latino, mentre in giro per Roma c’è
un’altra mignotta.
FINE