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INTERVISTA IMPOSSIBILE
 

Zelda Sayre Fitzgerald
Lasciami l'ultimo valzer
Scrittrice statunitense, musa dell’Età del jazz, fu la moglie dello scrittore Francis Scott Fitzgerald. Autrice nel 1932 del romanzo autobiografico Save Me the Waltz
  
 


 
Zelda il nome di un fumetto…
Esatto e sono contentissima!!!
Il designer giapponese Shigeru Miyamoto si è ispirato al mio nome per il personaggio della Principessa Zelda nella serie di videogiochi Nintendo: The Legend of Zelda.

Chi era da adolescente Zelda?
Ero la minore di sei figli. Nipote di un senatore e di un governatore Mio padre era Anthony Dickinson Sayre, giudice presidente della Corte suprema dell'Alabama.

Mi scusi se insisto sul nome, ma come fu scelto?
I miei genitori lo scelsero dopo aver letto due racconti letterari. Il primo, Zelda: A Tale of the Massachusetts Colony di Jane Howard, il secondo, Zelda's Fortune, in cui la protagonista era una zingara, di Robert Edward Francillon

Infanzia particolare?
Assolutamente no, avevo alle spalle una solida famiglia del profondo Sud degli Stati Uniti anche se, per dirla tutta, fin da giovane, fui al centro dei pettegolezzi degli abitanti di Montgomery per i miei atteggiamenti anticonformisti

Si sentiva padrona del mondo…
Mi sentivo l’incarnazione di tutto ciò che era moderno e nuovo, il prototipo che ogni ragazza spregiudicata degli anni venti doveva seguire. Non avevo pensieri che per me stessa. Non provavo un briciolo di sentimento d’inferiorità, impaccio o dubbio, e non avevo il benché minimo principio morale.

Come dire… una ragazza sicuramente anticonformista…
Non lo so se fossi o meno originale o come mi hanno giudicato successivamente femminista ante litteram, so soltanto che rifiutavo il classico ruolo di donna, moglie, madre che vive all’ombra di un marito uomo padrone.

Passiamo a Fitzgerald?
Conobbi Scott, il bel tenentino un po’ imbranato, ma dagli occhi incantevoli, poco dopo aver completato la High School. Ad un ballo cui partecipavano gli ufficiali di stanza alla guarnigione di Montgomery in partenza per il fronte europeo.

Da quanto dicono la sua gonna svolazzante colpì Fitzgerald…
Eh già era abbastanza corta… lui si dichiarò subito facendomi una corte sfrenata, ma io continuai ad interessarmi ad altri ragazzi.

E lui insistette…
Tornò dal fronte ed iniziammo a frequentarci. Ci fu un periodo altalenante. Sinceramente non ero del tutto convinta, poi accettai di fidanzarmi con lui.

Aveva l’aria troppo da perbenino vero?
Veramente al tempo dicevo che aveva il viso da idiota e beneducato. Troppo al confronto con il mio tutto smorfie, ombretto e matita carica sotto gli occhi. Passavamo le serate facendo un’insulsa passeggiatina attorno l’isolato di casa mia, ma tra me e me pensavo: “Perché ora non mi porta in auto? Cosa corre nelle sue vene, sangue di rapa?”

Però lei non ruppe il fidanzamento…
Aspettavo tempi migliori, tenga conto che la prima versione del suo primo romanzo aveva ottenuto una stroncatura senza precedenti e al momento non avevo nessuna intenzione di vivere con un uomo squattrinato.

Ma alla fine di marzo del 1920 la svolta…
Il romanzo, rivisto e corretto, vide finalmente la luce, Fitzgerald divenne uno scrittore di successo. Tornò trionfante a Montgomery ed io cedetti.

Quando vi spostaste!
Il 3 aprile 1920 con una fastosa cerimonia nella Cattedrale di San Patrizio, a New York City. Dopo due anni nacque nostra figlia Scottie.

Un unione di due figli del sud…
Direi di due famiglie cattoliche ultra conservatrici, ma più propriamente due figli di padri anziani, di vecchi, ed i figli di vecchi spesso sono tarati. O quantomeno ribelli.

La vostra quotidianità finiva spesso sui rotocalchi dell’epoca
Dopo la pubblicazione di “Di qua dal Paradiso” Scott era già famoso. Venivamo spesso presi ad esempio come modello della nuova Età del jazz: eravamo giovani, belli e pieni di energia. Era una continua sfida contro il perbenismo del tempo, una vita oltre le righe, fuori dal consueto. Già in luna di miele venimmo cacciati dall’albergo per ubriachezza.

Ma il rapporto con lo scrittore non fu facile vero?
Purtroppo il nostro matrimonio non ebbe mai un percorso in discesa. Andavamo dal lusso sfrenano a tracolli finanziari. Tra noi c’erano gelosie, ripicche e risentimenti. Scott usava le nostre vicissitudini coniugali come materia per i suoi romanzi.

E lei?
Al tempo scrivevo articoli e novelle per alcuni periodici, niente di che, anche se il mio sogno era scrivere un romanzo.

Quindi non fu un bel periodo quello…
Consapevoli che dovevamo dare una svolta al nostro rapporto andammo via da New York e ci ritirammo nella città nativa di Scott nel Minnesota.

Perché poi l’Europa.
La missione era sta compiuta. Lui aveva partorito e pubblicato Il grande Gatsby ed era all'apice del successo. Decidemmo di sfamarci di cultura e partimmo per l’Europa. Lì frequentammo salotti letterari molto esclusivi. In uno di questi conobbi Ernest Hemingway.

Quella fu solo una parentesi, però…
Il nostro rapporto per vivere aveva bisogno di continue tensioni e già nel 1924 a Parigi ci riprese il male di vivere. Una sera cedetti alle lusinghe di Edward Jozan, un aviatore francese, Scott naturalmente prese molto male la cosa. Decidemmo di fare un lungo viaggio insieme per l’Europa: Genova, Nizza, Antibes, nuovamente Parigi.

Un tentativo disperato di rimettere insieme i cocci, vero?
Mi lasciavo conquistare e dominare da un marito geloso, nevrotico. Era perennemente sbronzo, pisciava nel lavabo. A volte fuori. La mattina sul pavimento vedevo delle goccioline secche di urina. Mi chiedevo continuamente se lo scopo della gloria fosse vivere in un porcile? Eppure il nostro patto era sempre stato permettersi tutto nella massima pulizia.

Tornaste negli Stati Uniti…
Fu il periodo dell’ossessione per la danza e ne rimasi vittima. Volevo a tutti i costi, alla veneranda età di ventisette anni, volteggiare leggera e incontaminata, insomma fare la ballerina!

Naturalmente l’impresa fallì, immagino…
Purtroppo, perche la cosa mi causò un forte esaurimento nervoso.

Fu ricoverata vero?
Con mio marito persistevano forti dissidi e contrasti e lui era sempre più dipendente dall'alcool. La perdita di mio padre fece il resto.

I riflettori dei ruggenti anni venti che vi avevano incoronato come la coppia più scintillante di ogni serata newyorkese erano solo un bel ricordo…
Cercai di buttarmi a capofitto nella mia solitudine tentando invano di mettere a tacere le mie ansie attraverso la scrittura, la danza e la pittura.

Fu comunque per lei un periodo di forte fermento creativo.
Nonostante la diagnosi fosse schizofrenia, la degenza in clinica non mi impedì di completare il mio primo e unico romanzo Save Me the Waltz (Lasciami l'ultimo valzer).

Di cosa parla?
La vicenda è ambientato tra l’Alabama, New York, la Francia e l’Italia. E’ la storia di Alabama Beggs, bella e anticonvenzionale fanciulla del Sud che sposa un artista, viaggia con lui in Europa e conduce una vita relativamente infelice, cercando di mettere alla prova i suoi tormentati talenti artistici.

Direi romanzo autobiografico con forti riferimenti alla vostra vita di coppia…
La pubblicazione fece andare su tutte le furie Scott che mi accusò di avere reso noto in tal modo le nostre vicende matrimoniali. Peraltro, lui fece la stessa cosa inserendo episodi della nostra vita coniugale in Tenera è la notte, pubblicato nel 1934.

Lasciami l’ultimo valzer è anche un’invocazione disperata…
E’ anche la considerazione mai avuta da Scott, tanto da far dire al marito della protagonista: «Non ho mai conosciuto una donna che si esprimesse con tanta grazia e originalità».

Posso dire che i due romanzi furono lo specchio fedele del vostro fallimento di coppia?
Dispiace sentirselo dire ma fu proprio così. Nel 1936 entrai di nuovo in un ospedale psichiatrico. Scott intraprese una relazione sentimentale con la cronista Sheilah Graham per poi morire qualche anno dopo. Pensi che l’ultima mia visita risaliva ad un anno e mezzo prima.


Zelda Sayre trascorse i restanti anni nell'ospedale psichiatrico dove si dedicò alla stesura di un secondo romanzo, peraltro mai completato. Morì nel 1948 assieme a diversi altri degenti in un incendio che devastò il luogo in cui era ricoverata.
Con la sua morte, la popolarità dei coniugi Fitzgerald ebbe nuovo risalto divenendo argomento di libri, film e persino studi di carattere sociologico in virtù - o a causa - di ciò che erano stati e del modello di vita che avevano rappresentato soprattutto negli anni dell'Età del jazz.
È sepolta assieme al marito al St. Mary's Catholic Cemetery di Rockville, Maryland. Sulla loro lapide è incisa la frase finale del romanzo Il grande Gatsby.


 









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INTERVISTA A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FONTI:
http://arzaniclaudio.splinder.com
FOTO GOOGLE IMAGE








 
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