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INTERVISTA IMPOSSIBILE
 
 

Eleonora d’Aquitania
Storia di una Regina
Regina consorte di Francia e d'Inghilterra fu una delle donne più ricche e potenti dell'Europa durante il Basso medioevo.
Mecenate di importanti letterati nella sua fastosa corte aquitana guidò gli
eserciti più volte nella sua vita e fu una leader della Seconda crociata

 



 
  (Bordeaux, 1122 – Fontevrault, 1º aprile 1204)


 
E’ buio pesto e l’uomo puzzolente davanti a me, con la torcia e un mazzo di chiavi tra le mani, guida i miei passi. Di tanto in tanto si volta e scruta il mio viso e il mio seno, spinto verso l’alto dal corsetto stretto in vita, bramandolo con un ghigno sdentato, ma io sostengo con durezza il suo sguardo famelico e i suoi occhi scintillanti di desiderio: non deve vedere una donna comune da molto tempo, e forse da più tempo ancora non ne possiede una. Senza tradire il mio nervosismo, mi passo la mano sulla tasca e tocco il rigonfiamento della pergamena col sigillo di Enrico II per tranquillizzarmi. Il mio lasciapassare firmato dal re in persona mi rende intoccabile e lui lo sa bene: per questo gliel’ho sventolato davanti al naso appena entrata nell’atrio angusto delle prigioni.

Ottenere questo documento è stata dura, e le prove di coraggio che ho superato sono state di gran lunga peggiori di questo affamato lacero che sto seguendo: il Plantageneto è più irruento di un toro e più determinato di un leone quando vede in una donna una preda che può soddisfarlo, e non so come ho fatto ad uscirne illesa e senza perdere il mio onore. Quando il re ha apposto le sue iniziali sulla ceralacca, si è lasciato sfuggire un sospiro, forse di disapprovazione, forse di impazienza, forse di sospetto: ma io non sono venuta qui per far fuggire la sua bellissima moglie dalla prigionìa, sono qui solo per intervistarla.

Lo stretto cunicolo che seguo con crescente tensione porta alla cella di Eleonora d’Aquitania, e fatico a credere che una donna colta e raffinata come lei possa essere stata segregata in un luogo così orrendo: come le devono essere nemiche queste mura, lei, abituata ai canti dei poeti e alla dolce lingua provenzale che accarezza le orecchie.
Con un grugnito, la guardia si ferma e senza appoggiare la torcia mi indica una donna seduta in un angolo, illuminata da un lieve raggio di sole che timidamente si fa strada nella cella e dalla fioca luce di tante candele, poste su una piccola mensola proprio di fronte a lei. Io annuisco senza riuscire a togliere gli occhi di dosso alla regina e lascio che la guardia apra la cella, per poi entrare e sentire i cardini e la serratura chiudersi alle mie spalle. Osservo la donna in religioso silenzio: in lei si vedono ancora e nonostante tutto la bellezza e l’esuberanza della giovinezza, la ribellione nei capelli fulvi e l’entusiasmo negli occhi brillanti, solcati ora da una lacrima. Alza il viso e mi guarda, allietandomi con un sorriso stanco, e senza una parola mi fa cenno di sedermi. Prendo un piccolo sgabello e mi metto davanti a lei: da questa posizione quasi accucciata mi sembra di guardare Eleonora seduta su un trono. Quel trono che le è stato tolto da colui che l’amava, Enrico II.

“Così dunque, sei qui perché sei avida di conoscere la mia storia.”

Annuisco e tento di trovare dentro di me le parole giuste per iniziare la nostra conversazione che, credo, sarà lunga e pregna di notizie, alcune belle, altre molto dolorose.

Speravo di incontrarVi in un luogo più consono alla Vostra graziosa persona, mia Regina...
“Lo speravo anche io, ma vedi, questo è il prezzo che devo pagare per essere me stessa. Comunque non ti preoccupare, mio marito mi ha fatto sapere che d’ora in poi la mia dimora cambierà: sarò una regina prigioniera errante, condannata ad essere rinchiusa nei numerosi castelli del re, uno dopo l’altro. Romantico, non trovi?”

Lo trovo assai crudele. Come può uno spirito libero come il Vostro essere imprigionato tra quattro mura? “Non credere che rinuncerò così facilmente a questo spirito. Se Enrico II manterrà la parola data, e mi rinchiuderà in qualche oscuro castello, troverò il modo di liberarmi!”

Fuggendo? Rischiando la vita, l’onore, tutto?
“No, rimanendo e facendo il mio dovere, come ho sempre fatto fin’ora: scoprire e proteggere talenti, coltivare le arti, la musica, il canto. E magari chissà... innamorarmi di nuovo...”

Innamorarsi... di un poeta?
“Se ti riferisci a qualcuno in particolare, il mio Bernard de Ventadour... sappi che non ho nessuna vergogna per quello che ho fatto. E’ un sentimento, un’emozione che non ho mai provato, che non appartiene al mio animo. Vergognarmi di provare passione furente? Vergognarmi di lasciarmi trascinare da essa? Vergognarmi di tradire un marito che non sa nemmeno soddisfarmi? No, mi spiace. Ma nessuno mi ha mai fermato davanti a una passione.”

Nemmeno la fede, o la Chiesa?
“Fede? Chiesa? Tutte questioni politiche, e lasciatelo dire da una come me, che di politica se ne intende e l’ha imparata entrando nelle sale degli uomini, ascoltandoli con attenzione, imparando da loro le armi, le parole, le astuzie. Non mi sono seduta fuori del Consiglio ad aspettare, non è nella mia indole.”

Quindi, anche il matrimonio è una questione puramente politica?
“Mia cara, il matrimonio è la questione politica per eccellenza. Guarda me, ad esempio: mio nonno Guglielmo morì, dicono, in pellegrinaggio. Io non ci credo, ho sempre anzi pensato che fosse stata una congiura ad eliminarlo: si era attirato le antipatie di molti, era potente e aveva persino avuto l’ardire di donare un terreno a un gruppo di monaci per renderli indipendenti dalla Chiesa: Cluny la luminosa e la rivoluzionaria è nata grazie a lui. Mi sono tenuta i miei sospetti e i miei pensieri chiusi in fondo al cuore e sono andata avanti, diventando l’erede del più grande e meraviglioso possedimento esistente nella Francia e nel mondo: l’Aquitania. Col mio ruolo di mecenate ho reso la mia corte ricca e splendente di arti e cultura, con le mie abilità politiche ho reso il mio paese ancora più solido. Credi davvero che re Luigi VII mi chiese in sposa perchè ero giovane e bella?”

Voi siete non più giovane, ma ancora bella. Potrei pensarlo...
“Sciocca, se lo fai. Tanto più che a letto non mi guardava nemmeno. Scompariva. Sulle prime pensavo avesse un’amante, e io, furente di rabbia, per ripicca iniziai a invitare nel mio letto cavalieri, poeti, dame di compagnia. Poi una sera decisi di seguirlo per scoprire chi era la sgualdrina che preferiva a questo corpo caldo. Una Chiesa! Una statua! Lo vidi raccogliersi in preghiera davanti alla Vergine Maria, e rimasi lì a fissarlo tutta notte, mentre con una frusta si flagellava le carni. Espiava il desiderio che provava per me, pensai: era l’unica ipotesi che poteva in qualche modo consolarmi. Non so nemmeno come abbia fatto a giacere con me, a darmi delle figlie...”

Infatti il vostro matrimonio fu sciolto. Come avete vissuto quei momenti?
“Potrei dirti che furono una liberazione. Mi sentivo soffocare, mi sentivo morta dentro, e anche se tentavo di rendere la corte più vivace, mi mancavano il sole e la luce della mia Aquitania e le persone che mi circondavano non mi aiutavano a risollevarmi l’animo. Ero arrivata a odiare tutto e tutti. E quei maledetti dei consiglieri di mio marito, che erano più forti di me, delle mie doti seduttive, delle mie capacità di convincimento! Nessuno è più forte di una donna in questo, solo io non riuscivo a portare Luigi dalla mia, era frustrante!”

Vi riferite all’abate Suger?
“Il solo sentire pronunciare quel nome mi irrita! Quando chiesi a Luigi di continuare ad amministrare l’Aquitania come avevo sempre fatto prima di sposarlo, Suger si mise in mezzo. E quando cercavo di dire la mia durante i consigli a porte chiuse, mi zittiva, dicendo che la politica non è affare da donne. Dio solo sa quanto lo odiavo e quanto avrei voluto stritolare il suo collo tra le mie mani!”

Sono parole molto forti, Eleonora. Per una devota lo sono...
“Devota. E perché devota? Solo perché ho partecipato a una stupidissima, inutile crociata a Gerusalemme? L’unica nota positiva di quel viaggio fu rivedere Raimondo di Tolosa. Fu come ritornare ragazzina, prendere una boccata d’aria. Non mi guardare così, so che cosa vuoi chiedermi: sì, ho avuto una relazione con lui da giovane, ed è stato bello rivederlo per ricordare i tempi andati. Divertente. Bernardo di Chiaravalle aveva mandato in Terrasanta Luigi per fare guerra, e tutto quello che ottenne fu un fallimento totale: al ritorno ci fermammo addirittura a Roma per chiedere l’annullamento del matrimonio al Papa. Bernardo, un altro uomo odioso!”

Perché lo definite in questo modo?
“Mi odiava, e io sono solita rispondere con lo stesso sentimento. Io ero e sono ancora tutto quello che lui rimproverava a una donna: colta, sapiente, intelligente, attiva, passionale. Ah sì, lui voleva la donna vergine, casta e pura, devota a Dio e al marito, e soprattutto muta e accondiscendente. Una nullità. Lui, e il suo culto di Maria! Lui, e il suo ordine templare! Ci siamo scontrati spesso, mai volentieri. Non vedeva di buon occhio il mio passare il tempo coi poeti, ma è grazie a me se la figura femminile si è leggermente rivalutata nell’epica e nei canti. La donna da amare, da proteggere, da adulare, da adorare... è anche grazie a me se la poesia s’è innovata. E preghiere e poesia non vanno d’accordo.”

Siete caduta dalla padella alla brace, lasciando Luigi e sposando Enrico II. Che cosa mi dite del vostro rapporto con l’uomo che vi ha rinchiusa qui?
“Oh, se sapessi... quanto l’ho desiderato e quanto lui mi ha desiderata, agli inizi. Un toro, una bestia fiera, focosa, non mi lasciava un attimo di respiro e il letto era il luogo ideale per le nostre battaglie amorose. Riuscii a dimenticare il vuoto e il freddo che avevo sentito accanto a Luigi. Finalmente dalla nostra passione nacquero due figli, entrambi maschi: e pensare che il re di Francia dava la colpa a me perché gli ho dato solo femmine, quello stupido. Riccardo è il mio pupillo, ha un cuore di leone e ha preso molto da suo padre. Ora non so dove sia mentre io sono qui a languire in cella, non ho modo di chiedergli aiuto per quello che sta succedendo. Spero tornerà ad aiutare sua madre...”

Eleonora si concede una pausa e io non riesco a fare a meno di contemplare il suo bel volto segnato dagli anni, ma ancora bellissimo e fiero.

“Vedi... ben presto mi accorsi che Enrico era un ingordo. Voleva tutte le donne, e fino a quando si trattava di ingravidarle per far valere i suoi diritti di re o per spegnere i suoi desideri improvvisi, andava tutto bene: in fondo faceva parte del gioco, e lo capivo. Ma quando...”

Quando...?
“Quando compresi che aveva un’amante, scoppiai in grida e pianti disperati. Era un affronto, capisci? Quando scoprii che le aveva fatto costruire persino una villa a labirinto in cui solo lui riusciva ad orientarsi, per tenerla al sicuro, persi la testa!”

Chi era lei?
“Si chiamava Rosamund. Rosamund Clifford...”

Perché usate il passato?
“Perché l’ho uccisa. Con queste stesse mani, che si sono sporcate del suo sangue. Nel suo stesso letto, imbrattato di rosso. Dopo aver distrutto vasi e mobili ed essermi procurata lividi e graffi sulle braccia e sul viso. Cercai la via in quel labirinto di stanze che Enrico aveva fatto costruire per proteggerla da me, dalla mia gelosia, dalla mia furia. Io gli ho dimostrato che non c’è nulla che possa proteggere lui e le sue cose da me. Sobillai i suoi figli contro di lui, li indussi alla ribellione e al tradimento. Istigai gli antichi alleati per rivoltare le armi contro il loro re. Ora capisci perchè languo in questa cella, lontano dal suono delle arpe e delle voci dei miei amati poeti?”

Eleonora abbassa lo sguardo, come presa da un’improvvisa stanchezza. Capisco che è giunto il momento di lasciarla riposare, ma prima le rivolgo un’ultima domanda.

Chi è quindi Eleonora d’Aquitania? Nessuno può saperlo meglio di Voi...
“Tu credi? Un filosofo in tempi antichi diceva che conoscere se stessi è la cosa più difficile da sapere. Non credi anche tu che abbia ragione? Per definire me stessa, forse dovresti aiutarmi tu. O forse dovresti chiederlo al mio primo amore, o al mio primo marito, o ai miei poeti, o al mio adorato Enrico, che qui mi tiene rinchiusa. Ma credo che sarà la Storia dopo di me a creare un’immagine consona alla mia persona. In fondo è la Storia che, come l’acqua, modella a suo piacimento i fatti e le persone, no?”

La guardo e sorrido. Dentro di me vorrei dirle che un giorno rivedrà la luce del sole e riassaporerà quello che ora le sembra di aver perduto. Vorrei dirle che avrà una vita lunga, straordinariamente lunga per una donna del XII secolo. Vorrei rimanere con lei un altro po’, per attingere qualcosa di quell’ardore e di quel temperamento più unici che rari, che la rendono donna emancipata per l’epoca in cui vive. Ma poi mi alzo, e mi congedo con un inchino, richiamo la guardia che mi riaccompagna fuori dalle prigioni e rivedo la luce della sera che giunge. E tornando a casa, dal mio viso scende una lacrima sincera.




Eliselle
 















 





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L'INTERVISTA E' A CURA DI ELISELLE
FONTI:

FOTO GOOGLE IMAGE








 
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