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INTERVISTA IMPOSSIBILE
 
 

Bocca di Rosa
Le rose profumano per mestiere
Stavolta ho proprio puntato in alto, mi sembra incredibile passeggiare per questi vicoli “carichi di sale e gonfi di odori” di una Genova antica alla ricerca di una donna bionda di origini istriane chiamata Bocca di Rosa
 

 


 
Su queste stradine sconnesse ho un’andatura da ubriaco. Stringo nella mano sudata un foglietto di carta stropicciato dove ho scritto l’indirizzo, ogni tanto lo guardo, ma qui non ci sono numeri civici, nemmeno un indizio per convincermi che questa sia la strada.
Ho paura che mi salti l’intervista, il mio direttore questa volta non mi perdonerebbe, tento di chiamarlo ma ha il cellulare staccato, chissà in quale posto pieno di sole si sta godendo questa domenica autunnale.
Tutt’intorno c’è un odore di muffa, di umidità, qui i raggi del sole non arrivano, il buon Dio sarà impegnato a scaldare gente d’altri paraggi. Non mi sorprenderei se ad un tratto comparisse in fondo alla strada il vecchio professore che dilapida mezza pensione per sentirsi dire micio bello e bamboccione insieme ai quattro pensionati che mezzo avvelenati stramaledicono le donne, il tempo ed il governo.
Le facce che incontro non sono rassicuranti, oramai sono certo che svoltato l’angolo mi troverò davanti quello strano tipo che ha venduto per tremila lire sua madre ad un nano.

Chiedo in giro, mi guardano, sorridono, senza però darmi alcuna indicazione, finché una bimba che canta strofe irripetibili mi prende per mano e m’accompagna. Facciamo pochi metri, poi m’invita a salire in un antro buio, ho un attimo di incertezza, ma poi la frenesia dell’intervista decide per me. Finalmente eccola Bocca di Rosa! Per la contentezza l’abbraccio, lei ricambia gentile, i suoi capelli biondi hanno un odore di grano, i suoi occhi grandi, il sapore di foglia. Mi fa sedere su un divano semplice ed onesto, la casa è piccola, ma ben curata. Vuole a tutti i costi che prenda qualcosa.

Dalla cucina mi dice:
“Scommetto, che lei è qui per farmi delle domande su cosa veramente è successo a Sant’Ilario?”
Senza aspettare risposta prosegue: “E' passata una quarantina di anni, è possibile che ci sia ancora qualcuno interessato a questa storia?”
Torna in salotto con due calici pieni di frutta.
La luce che filtra dalla finestra la contorna di un alone magnetico, ogni tanto squilla il telefono e lei garbatamente risponde prendendo appuntamenti.
Si siede.

“Mi scusi, ma nella mia professione non c’è un attimo di respiro.”
“Quindi alla fine è diventato un mestiere?”
“Beh sì, in effetti non si vive di sola passione. Quelli erano altri tempi. Ero giovane con il sano gusto di divertirmi.”

“Tirandosi addosso l’ira funesta delle cagnette a cui aveva sottratto l’osso.....”
“Ripeto io lo vedevo come un gioco, ero giovane e mi piaceva attirare l’attenzione, magari sconvolgendo un intero paese fino a scatenare allegria e divertimento, ma anche invidie e gelosie. Le giuro che non ci vedevo nulla di male, e di sicuro, quando mi capitava l’occasione non andavo certo a chiedere il certificato di matrimonio.”
Ride. Ha delle labbra sensualissime d’un rosso acceso. Mai soprannome poteva essere più appropriato.

“Non le pesavano i giudizi delle comari?”
“Assolutamente no, mi sentivo diversa e soprattutto non legata a certi schemi. Insomma per me quello strascico di pettegolezzi era un vanto.”

“Chi era la vecchia mai stata moglie e senza mai figli?”
“La classica zitella che avendo raggiunto la pace dei sensi s’appella a falsi moralismi e crede di dare buoni consigli quando s’accorge che non può più dare cattivo esempio.”

“C’è stato un comizio in piazza per l’occasione?”
“Sì, anche se mi sono guardata bene dal parteciparvi. Decisero di andare dal commissario accusandomi di prostituzione, ma poverine avevano le armi spuntate in quanto tutto il paese sapeva che non ricevendo denaro in cambio l’accusa decadeva all’istante. Altro che consorzio alimentare! Direi piuttosto un’opera di beneficenza.

“Ed i carabinieri cosa le dissero?”
“Ancora mi viene da ridere se ripenso a quei buffissimi pennacchi. Sono uomini anche loro per cui non fecero altro che accompagnarmi malvolentieri alla stazione!”

“Sorpresa dell’accoglienza alla stazione?”
“Beh sì, non mi sarei mai aspettata di vedere in prima fila il sagrestano ed il commissario che quasi quasi piangevano. Questa è stata la riprova che avevo portato amore a Sant’Ilario senza alcun interesse in cambio. Semplice e pura beneficienza!”

“Dispiaciuta di essere dovuta partire da Sant’Ilario?”
“Ma sa, in quel momento mi premeva soltanto d’aver lasciato un pezzettino di me in ognuno di quei cuori, insomma un buon ricordo! Per il resto non credo che ci sia tanta differenza, ogni paese vale l’altro.”

“Infatti…”
“Oramai ero diventata famosa, alla stazione successiva ad accogliermi c’era addirittura il parroco e sicuramente ad attendermi più gente di quanta ne partisse.”
Apre in libro e mi fa vedere dei petali secchi di rosa.
“Vede, conservo ancora i fiori che mi hanno lanciato per l’occasione.”

“E la processione, c’è stata veramente?”
“Certo, mi hanno invitata come rappresentante dell’amore, se poi sia sacro o profano mi sembra davvero un dettaglio.”

“Le dispiace essere ancora famosa?”
“No, anzi, devo dire che tutta questa pubblicità mi ha aiutata quando ho deciso di fare il mestiere. Sente…?”
Il telefono continua a squillare ininterrottamente.
L’intervista si è conclusa, la vedo che ha fretta, con fare discreto cerca di salutarmi. Fuori c’è gente che aspetta di entrare.

“Posso farle un’ultima domanda?
Mentre apre la porta sorride e mi brucia la domanda.
“Per caso vuole sapere da cosa trae origine il mio soprannome?”
Mi sento spiazzato completamente.
“Dicono che la mia bocca ricorda una rosa, che le mie labbra somigliano a petali grassi e carnosi.”
Si ferma un attimo a pensare
“E poi le rose profumano per mestiere…”
 




INTERVISTA A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FONTI:

FOTO GOOGLE IMAGE








 
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