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INTERVISTA
IMPOSSIBILE
Sylvia Plath
Questa è la stanza in
cui non sono mai entrata
Poetessa e scrittrice statunitense
Boston, 27 ottobre 1932 - Londra, 11
febbraio 1963
Madame la sua vita è riassunta molto
efficacemente nel suo romanzo più famoso: The Bell Jar
(La campana di vetro)… Beh quel libro non rispecchia
esattamente la mia vita, è un romanzo
semi-autobiografico scritto tra l’altro sotto lo
pseudonimo di Victoria Lucas.
Ci racconti della
protagonista Esthere… Esther Greenwood, è una
brillante studentessa dello Smith College, che inizia a
soffrire di psicosi durante un tirocinio presso un
giornale di moda newyorkese...
Proprio in questo
passaggio molti hanno visto un parallelo con la sua
vita... Trascorsi anch'io un periodo presso la
rivista femminile Mademoiselle e successivamente al
quale, in preda a un forte stato di depressione, tentai
il suicidio.
Lei sue origini Madame? Sono nata
in un distretto di Boston da genitori immigrati: mia
madre, Aurelia Schober, apparteneva ad una famiglia
austriaca e durante la sua esistenza si rifiutò sempre
di parlare inglese continuando a parlare il tedesco. Mio
padre, Otto Emil Plath, professore di college, figlio di
genitori tedeschi, si trasferì in America a sedici anni
per diventare in seguito uno stimato entomologo, in
particolare in materia di api.
Dicono che sin da
piccola dimostrò un talento precoce… Pubblicai la mia
prima poesia all'età di otto anni. Fu una gioia immensa,
da quel giorno non smisi più, continuando a pubblicare
poesie e racconti su varie riviste americane.
Purtroppo la perdita di suo padre le lasciò strascichi
molto seri… Morì di embolia in seguito ad
un'operazione chirurgica. Avevo solo otto anni ed al
momento non mi resi conto del grande vuoto che aveva
lasciato.
Soffrì per una grave forma di
depressione… Alternavo momenti di intensa vitalità a
forti crisi depressive. Pensi ero entrata nello Smith
College con una borsa di studio nel 1950, ma nel
penultimo anno tentai il mio primo suicidio… Mi nascosi
nello scantinato di casa ed ingerii un intero flacone di
sonniferi. Fui trovata in fin di vita da mio fratello.
Siamo all’incirca nel 1953, fu costretta ad
abbandonare gli studi? Beh, immediatamente, fui
ricoverata in un istituto psichiatrico, il McLean
Hospital. Subii una serie di elettroshock… fu
un'esperienza terribile ed atroce. Appena uscii
dall'ospedale ripresi a studiare. Preparai la tesi su
Dostoewskij e mi laureai con lode ottenendo una borsa di
studio e la possibilità di continuare gli studi
nell’università di Cambridge. Era il 1955.
Mi
scusi la brutalità ma cosa porta una donna giovane e
bella, intelligente e sensibile a desiderare la morte?
Non lo so, sentivo solo una grande pena e un grande
vuoto dentro. E mi rendevo conto a volte quanto fossero
inutili le mie parole e le mie poesie non riuscivano a
colmare quel dolore… E la conoscenza del dolore spesso è
un fardello troppo pesante da portare da sole.
A
Cambridge incontrò l’amore… Già, conobbi il poeta
inglese Ted Hughes. Fu un colpo di fulmine. Il suo
fascino mi travolse. Ci sposammo il 16 giugno 1956 e
decidemmo di trasferirci negli Stati Uniti. Io trovai
lavoro a Boston insegnando presso lo Smith College.
Poi tornaste in Inghilterra… Abitammo per un
breve periodo a Londra ed in seguito ci stabilimmo a
North Tawton, in una piccola città commerciale nel
Devon.
E le sue poesie? Pubblicai la mia prima
raccolta The Colossus nel 1960. Nel febbraio 1961
purtroppo persi il mio primo figlio. Fu per me un evento
drammatico che mi segnò notevolmente.
E suo
marito non l’aiutò? Il matrimonio si incrinò e
decidemmo di separarci. Ma questo avvenne poco dopo la
nascita del nostro secondo figlio.
Per
incompatibilità… No, semplicemente una banale
questione di tradimento. Ted frequentava corrisposto
Assia Wevill Gutman una donna molto affascinante e
moglie di un nostro amico poeta e vicino di casa.
Leggo che la separazione fu traumatica… Affrontai
Ted ma lui negò ogni cosa. Mi resi conto che quando dai
a qualcuno tutto il tuo cuore e lui non lo vuole, non
puoi riprenderlo indietro. Se ne è andato per sempre...
Comunque me ne andai immediatamente di casa e ritornai a
Londra, naturalmente con i miei due figli, Frieda e
Nicholas.
Quanto delusa? Ero solo una donna
che aveva tentato di seppellire l’ansia di libertà e la
vocazione di scrittrice in un matrimonio apparentemente
felice. Non rifiutai mai il mio ruolo, tentai fino alla
fine di conciliarlo con le mie aspirazioni, di giorno
facevo la madre e la moglie, accudendo i miei figli, la
notte rubavo qualche ora per scrivere, cercando di
soffocare il mio istinto ribelle che riversavo solo
nelle poesie. In mezzo a queste difficoltà la scoperta
del tradimento fu davvero troppo.
Nelle sue opere
i personaggi femminili vivono situazioni difficili,
disperate… Secondo me li caratterizza una sorta di
ribellione interiore e un’insaziabile sete d’amore
difficile da colmare. Nella mia poesia ho sempre cercato
di esorcizzare il mio disagio persistente e le mie
esperienze personali attraverso un’identità scissa che
mi proiettava in un mondo tutto mio.
Cosa fece a
Londra? Affittai un appartamento in centro. Fui
invasa da una immensa gioia quando seppi che in quella
casa vi aveva abitato W.B. Yeats. Sentivo dentro
un’energia non indifferente e iniziai a scrivere…
Quell’anno l’inverno fu molo duro, non uscivo mai di
casa. Ma alla fine venne fuori un capolavoro… The Bell
Jar
L'11 febbraio 1963 era passato solo
un mese dalla pubblicazione del romanzo quando Sylvia si
tolse la vita. Poco prima dell'alba, dopo aver scacciato
più volte la tentazione, preparò la colazione, depose
pane, latte e burro sui comodini accanto ai letti dei
suoi figli, aprì le imposte della loro stanza, poi
sigillò porte, finestre ed ogni fessura con nastro
isolante e asciugamani arrotolati. Scese in cucina, si
chiuse dentro. Aprì lo sportello del forno e dopo aver
aperto la manopola del gas, si inginocchiò, infilò la
testa nel forno e si lasciò morire. Sei giorni prima
aveva scritto l’ultima poesia, “Limite”, spedita il
giorno stesso all’“Observer”, poi pubblicata postuma.
È seppellita nel cimitero di Heptonstall, nel West
Yorkshire. Ted Hughes, dal quale non divorziò mai,
nonostante le pratiche di separazione, si occupò dei
beni letterari di Sylvia. Distrusse l'ultimo volume del
diario di Sylvia, che descriveva il periodo che avevano
trascorso insieme. Nel 1982, Sylvia Plath divenne la
prima poetessa che vinse il Premio Pulitzer dopo la
propria morte (per The Collected Poems).
“Di
là vedo il velato barbaglio marino delle tue estasi,
le tue visioni nel cristallo. Di qua la lampada
irreparabilmente infranta nella mia cripta di sogno,
tenebra totale sotto la pietra della tua tomba.”
Esisterà qualche altra strada oltre a quella della
mente? Non sono un'ombra, anche se un'ombra si
diparte da me. Sono una moglie. Morire / È un'arte,
come qualsiasi altra cosa. / Ci riesco particolarmente
bene.
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INTERVISTA A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FONTI:
http://www.sylviaplath.altervista.org/
http://syvvi.wordpress.com/info/in-italiano/
FOTO GOOGLE IMAGE
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