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  INTERVISTA 
			IMPOSSIBILE
 
  Lee Miller
 UN ANGELO FUORI
 "Sembravo un angelo fuori. Mi vedevano 
			così anche se dentro ero un demonio. Ho conosciuto tutto il dolore 
			del mondo fin da bambina. Perché ci sono vite che sono romanzi ed 
			anche la mia è stata un fradicio rompicapo, le cui tessere ubriache 
			non combaciano per forma ne' scopo."
 (Poughkeepsie, New York 1907 - Farley 
			Farm House 1977)
 
 
 
  
 
 
				
					| Sulle spiagge della Normandia più di 
						850.000 soldati alleati sbarcano sul continente, con 
						l'obiettivo di liberare l'Europa dall'occupazione 
						nazista.
 Tra gli inviati di guerra Elisabeth "Lee" 
						Miller affermata fotografa con alle spalle 
						collaborazioni col movimento surrealista.
 Nel corso 
						dei nove mesi successivi segue le armate americane e 
						prende parte ad alcuni dei più importanti momenti 
						dell'offensiva alleata sul continente: l'assedio di 
						Saint Malo; la liberazione di Parigi, l'ingresso in 
						Germania e le sanguinose battaglie sul territorio 
						tedesco; la presa di Monaco, dove ritrae la casa di 
						Hitler in stato di completo abbandono.
 
 Dal 
						passato surrealista, le sue fotografie ritraggono la 
						"gente comune" nel dolore della guerra: soldati, 
						infermiere, civili, vittime e feriti; le città dilaniate 
						dai bombardamenti, le scene di morte, in una continua 
						oscillazione tra immediatezza e distacco professionale 
						che rende il racconto di Lee Miller una testimonianza 
						unica sugli orrori del conflitto.
 
 Madame, 
						le sue origini?
 Nasco agli inizi del 
						Novecento, nel 1907 a Poughkeepsie, in una cittadina 
						vicino a New York sulle rive dell’Hudson.
 
 Chi era suo padre?
 Mio padre 
						Theodore era un proprietario terriero e un inventore di 
						origine tedesca. Fu lui ad inocularmi il gene dell’Arte.
 
 Era anche un discreto fotografo…
 Aveva un interesse particolare per la fotografia e mi 
						introdusse ai segreti della ripesa e del laboratorio. 
						Posai nuda per lui fin da bambina, ma anche da adulta.
 
 Perse sua madre molto presto, vero?
 Ero ancora una bambina, poco meno di 7 anni, e mio padre 
						mi mandò a vivere in casa di parenti. Qui iniziarono le 
						mie disavventure. Venni violentata da un ragazzo, amico 
						di famiglia. Fu un fatto devastante, andai da uno 
						psicologo che mi suggerì di separare sesso e amore, 
						avviando così di fatto la mia carriera da seduttrice.
 
 E… contrasse una brutta e noiosissima 
						malattia.
 Esatto, la gonorrea. Al tempo non 
						c'era la possibilità di curarla. Il medico di famiglia 
						mi prescrisse dei lavaggi interni molto dolorosi. Le mie 
						urla si sentivano per tutta la casa!
 
 Trascorsa l’adolescenza suo padre decise di farle 
						cambiare aria…
 Studiai teatro a Parigi ma 
						poi tornai a New York.
 
 A vent’anni è una 
						bellissima ragazza, ricercata come modella.
 Beh non ero bellissima, avevo un viso dai tratti 
						pronunciati, non aristocratici, diciamo “bostoniani”!
 
 Sì ok, ma Condé Nast, il fondatore di 
						“Vogue” e “Vanity Fair”, ne rimase affascinato!
 Fu un caso! Attraversavo una via di New York, quando lui 
						in persona mi notò e fece bloccare l’auto dal proprio 
						autista. Mi affidò ad Edward Steichen, il più noto 
						ritrattista del tempo e così divenni una modella di 
						Vogue ricercata dai più grandi fotografi del tempo.
 
 Per una foto di Steichen fu protagonista di 
						una scandalo commerciale, vero?
 Era un 
						ritratto a figura intera e fu utilizzato per una 
						pubblicità di assorbenti. Era la prima volta che 
						l'immagine di una donna veniva associata ad un prodotto 
						così intimo e le proteste dei moralisti non passarono 
						inosservate. All’inizio anch’io fui perplessa, ma oggi 
						sono fiera di aver contribuito ad abbattere un tabù tra 
						i più radicati nella società.
 
 A 22 anni 
						tornò in Europa…
 Studiai arte a Roma e 
						Firenze, poi Parigi dove lavoravo come modella per 
						«Vogue» Francia. Frequentavo il mondo della moda e degli 
						artisti, partecipavo a mostre e in una di quelle 
						occasioni incontrai Man Ray.
 
 Ci racconti 
						l’incontro…
 Man era già famoso come artista 
						del surrealismo. Diventai in pochi giorni allieva, 
						assistente, musa ed amante. Lui aveva diciassette anni 
						più di me. Tra noi nacque non solo una storia d'amore, 
						ma un appagante sodalizio artistico. Le nostre menti 
						insieme erano un vero e proprio laboratorio di 
						sperimentazione di estetica e d’arte a volte carica di 
						allusioni sessuali, come il “Nudo piegato in avanti”, 
						ove la schiena femminile assume contorni fallici.
 
 Con lui, in modo del tutto casuale, scopre 
						la solarizzazione…
 Stavamo lavorando in 
						camera oscura quando per una mia sbadataggine accesi la 
						luce. La scia luminosa colpì la foto immersa nella 
						vaschetta dei liquidi. D’incanto l’immagine acquistò un 
						contrasto molto intenso.
 
 Quindi apprese 
						le tecniche della fotografia?
 Dopo tre anni 
						con Man feci il grande salto da modella a fotografa. 
						Tornai a New York e iniziai a scattare le mie prime foto 
						di moda e ritratto. Misi su uno studio tutto mio. Su 
						Vogue iniziarono ad apparire le mie prime foto e, caso 
						raro se non unico, apparivo sia come modella che come 
						fotografa.
 
 Bella e famosa… aveva una coda 
						di artisti ai suoi piedi, ma poi sposò il direttore 
						generale del ministero delle Ferrovie, del Telegrafo e 
						dei Telefoni. Scelta bizzarra non trova?
 Ero 
						sempre alla ricerca di nuove avventure. Conobbi Aziz 
						Eloui Bey, un ricco egiziano, magnate delle ferrovie, 
						lui si innamorò perdutamente di me. Alla notizia della 
						mia nuova relazione Ray minacciò di suicidarsi, ma ad 
						uccidersi davvero fu invece la bella Nimet, la moglie di 
						Aziz, che Miller aveva fotografato prima che la mia 
						relazione iniziasse.
 
 Comunque sposò Aziz…
 Mi legai a lui nel ’34 e senza pensarci due volte chiusi 
						l’atelier, abbandonai ogni cosa e mi stabilii a Il 
						Cairo. Condussi una vita da perfetta signora borghese, 
						riscoprii la fotografia d’arte e reportage di viaggio 
						immortalando scenari suggestivi nel deserto e le rovine 
						dell’antico Egitto.
 
 Nel '37 la troviamo 
						di nuovo a Parigi…
 Ero in vacanza ed 
						incontrai il critico d’arte Roland Penrose, passammo 
						l'estate insieme. In quell’occasione Roland scattò la 
						famosa foto PIC NIC, immortalando oltre me, Picasso e 
						Dora Maar, Man Ray con la sua compagna. Noi donne a seno 
						nudo, sedute al tavolo, mentre gli uomini erano 
						completamente vestiti.
 
 Roland Penrose non 
						fu solo una estemporanea conoscenza…
 No, 
						diciamo un’amicizia intima. Iniziammo a lavorare insieme 
						in Grecia e Romania e piano piano quel sodalizio 
						artistico divenne anche una relazione d’amore.
 
 Dopo quella parentesi egiziana, ricominciò a 
						lavorare per Vogue…
 Nel 1939 lasciai 
						l'Egitto e mio marito e mi trasferii a Londra, ma stava 
						scoppiando la seconda guerra mondiale…
 
 Cosa fece?
 Malgrado gli inviti del governo 
						americano a rientrare in patria, chiesi di essere 
						mandata al fronte e diventai una fotografa di guerra 
						seguendo le truppe alleate. Finito il conflitto 
						fotografai l'orrore di Dachau e Buchenwald, entrai nelle 
						prigioni della gestapo immortalando i sopravvissuti.
 
 Fu la prima donna fotografa ad entrare a 
						Dachau, vero?
 C’è sempre una forte dose di 
						fortuna… ma fu una grandissima soddisfazione 
						professionale testimoniare sulle patinate e dorate 
						pagine della rivista immagini agghiaccianti d'inferno, 
						terrore e morte. Lavorai in team con David Scherman, 
						fotoreporter di “Life”. Lui mi fotografò a Monaco 
						davanti a pesanti scarponi di guerra mentre mi lavavo 
						nella vasca del bagno privato di Hitler. E poi 
						realizzammo reportage nella Londra post bombardamenti e 
						nella Parigi Liberata.
 
 Dopo il conflitto 
						cosa fece?
 Girai per l’Europa, vissi in 
						Austria, Ungheria e Renania… Giravo molto ma ero sola, 
						soffrivo d'insonnia e purtroppo caddi nell’alcol.
 
 Di nuovo… il ritratto
 Ero ben 
						inserita nell’ambiente e feci ritratti a Charlie 
						Chaplin, Magritte e Picasso, oltre che a Man Ray, e 
						moltissime altre icone della cultura, dell'arte e dello 
						spettacolo di quel periodo.
 
 La sua 
						fotografia risultava sempre raffinata ed eterea, ma 
						soprattutto originale…
 Catturavo la realtà 
						in modo del tutto personale cercando di mettere in 
						evidenza il lato più inatteso e destabilizzante.
 
 Decise di tornare da Penrose….
 In 
						nome della nostra meravigliosa storia d’amore lui mi 
						accolse con entusiasmo come ai vecchi tempi. Finalmente 
						divorziai da mio marito. Rimasi incinta, ma non ero più 
						giovanissima ed a quarant'anni, a quei tempi, la mia fu 
						una gravidanza a rischio. Ero impaurita, ma andò tutto 
						bene.
 
 Dopo la gravidanza anche il 
						matrimonio …
 Sì, sposai Roland e andammo a 
						vivere insieme nel Sussex. Condussi una vita ritirata 
						prendendomi cura di mio figlio Antony. Mi dedicavo 
						prevalentemente alla cucina, divenni bravissima a fare 
						dolci di ogni tipo. Inventavo ricette particolari, le 
						scrivevo per settimanali femminili e pensi che vinsi 
						addirittura un premio internazionale di cucina.
 
 Continuò a fotografare?
 Ricevevo 
						ospiti e li fotografavo nelle posizioni e atteggiamenti 
						più impensabili, ma una mattina svegliandomi mi accorsi 
						che il Surrealismo era finito.
 
 L’alcol 
						non l’abbandonò più, consolante e maligno l’accompagnò 
						durante tutta la sua depressione fino al 1977…… Lee, 
						spirito libero e anticonformista, traboccante di 
						talento, con una vita ricchissima di avvenimenti e di 
						incontri, ma profondamente e intensamente segnata e 
						sofferta, muore di cancro nel 1977 a Farley Farm House, 
						nella sua casa nel Sussex, comprata nel 1949 insieme a 
						Penrose.
 Diceva di se stessa: "Sembravo un angelo 
						fuori. Mi vedevano così. Ero un demonio, invece, dentro. 
						Ho conosciuto tutto il dolore del mondo fin da bambina." 
						Ed ancora: "Ci sono vite che sono romanzi, anche la mia 
						è stata “un fradicio rompicapo, le cui tessere ubriache 
						non combaciano per forma né scopo”.
 
 
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 IMMAGINE GENERATA DA IA
 INTERVISTA A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
 FONTI:
 http:/www.enciclopediadelledonne.it
 www.albumdiadele.it
 http://photofinish.blogosfere.it
 www.scuderiequirinale.it
 
 
  
 
 
  
 
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