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RACCONTO

Adamo Bencivenga
LA SPOSA
DEL PESCATORE
Sono qui, su questa
scogliera con il vento che mi morde, e spaia i miei
capelli e fa vela alla mia gonna...

Sono qui, su questa
scogliera con il vento che mi morde, e spaia i miei
capelli e fa vela alla mia gonna. Sento brividi d’attesa
e fremiti di seno con il mare che ruggisce e mi chiama e
mi pretende, perché ogni onda che si frange porta via la
mia speranza, un pezzo dell’attesa e tutti questi
giorni, che non vedo il tuo volto, che non sento la tua
voce, le tue dita che si bagnano nel mio lago
dell’amore.
Perché tu conosci il mare, mio uomo e
pescatore, e sai dove inabissare, le carezze come spume,
tra le curve che ti dono, che colano a sorsi,
raggomitolate nei recessi, in questa darsena rimasta,
per giorni ad aspettare, nelle sere ad ascoltare, il
suono dell’attesa che cala sopra il molo, il tonfo della
nebbia sopra al mio davanzale. Sono giorni che t’aspetto
e guardo l’orizzonte, ma la tua barca è sparita,
inghiottita da quest’acqua, questo torbido presagio che
ti chiama ogni volta, come una sirena in mezzo al mare,
una ninfa che t’accoglie, e bionda ti rapisce più di
quanto io riesca a fare.
Ogni mattina mi
ridesto, prima che il sole accenda il cielo, mi alzo e
poi mi trucco e ti chiedo di non tardare, perché tu
conosci il mare e sai che la rotta giusta, è quella del
mio nettare che disseta più del sale. Sistemo la nostra
casa e preparo il pane caldo, e poi chiamo Dio e guardo
l’orizzonte. Gli parlo di te, gli chiedo di proteggerti,
di guidare la tua barca tra le mie tempeste, gli parlo
di me, delle mie fragili difese, di proteggermi da me
stessa e dalle mie intenzioni.
Ma il vento porta
via ogni mia preghiera, e Dio tace e non mi parla, e il
mare non risponde, ed io qui che mi sento inutile,
piccola per questo mare, così immenso che disperde ogni
mia parola, ogni brivido della mia pelle, bianca e
profumata, che brama le tue carezze su questa seta
trasparente.
Oh mio pescatore, mio uomo, mio
marito, dai ti prego torna, il mio seno è impaziente,
dei tuoi respiri caldi che mi rendono più viva, ed
invece sono un’ombra che si aggira in questa casa, e la
solitudine è un coltello che affonda e fa più male. Ti
giuro mio amore, ogni giorno guardo il mare, sperando di
vedere la tua vela all’orizzonte, ma vedo solo acqua,
vedo solo onde, che si rincorrono all’infinito e scavano
il mio vuoto.
E dentro di me, il terrore cresce.
E se il mare ti prendesse? E se la sua furia che
maledico ti trascinasse via? E se invece fossi io a
perdermi nell’abisso? In quello sguardo che ogni giorno
incontro e mi sorride, e accende la mia pelle che
credevo spenta. “Questo è per te.” Mi ha detto una
mattina, porgendomi un fiore, rosso come la passione,
nero come il peccato. Oh sì l’ho preso ed ho tremato, ma
non volevo, te lo giuro. A casa ho pregato, ho chiesto a
Dio di salvarmi, di scacciare quel brivido che correva
sul mio seno. Ma Dio non parla e tu sei lontano, e la
solitudine sta spezzando l’ultimo riparo, quando la
notte, nel silenzio, stringo quella rosa e la mia bocca
si avvicina al pensiero di quel bacio.
È una
catena, amore mio, una catena che mi trascina, e non so
se voglio, se ho la forza di spezzarla. È troppo forte
per le mie forze, troppo dolce per il mio ventre, che
s’apre alle sue promesse anche se so che sono vane. Tu
sei il mio uomo, quella vela all’orizzonte, il mio
nettare che cola e si fa denso nell’attesa. Corri amore
corri, non perdere altro tempo, perché un solo istante è
più lungo di un domani, oh mio pescatore, mio amante,
mio marito, ti penso sai là fuori a pescare, a tirare le
tue reti cariche di pesce. Ma lui… oddio lui è qui ora,
il suo sguardo è più caldo, è un diavolo tentatore, ma
io ti giuro che resisto, mi dico che il mare non potrà
trattenerti ancora, ma lui si avvicina ed ora è a un
solo passo, e sa che la mia pelle ha bisogno di carezze,
e sa che una donna non può restare a lungo sola, e il
mio cuore ormai è stanco, sfinito d’aspettare, di
credere che a momenti tu possa ritornare.
Tesoro pesca e tira le tue reti e con il vento calmo
ringrazia questo mare, perché anch’io lo ringrazio, come
questo fiore rosso che ora punge tra le gambe, e mi
ricorda che in amore non c’è rosa senza spina e mi dice
che sono viva anche se sto sanguinando. Perché lui come
te conosce il mare e sa come navigare, orientarsi con la
luna e a volte con il vento, perché stanotte tira forte
e gonfia la mia vela, e gonfia le mie labbra d’odori ed
altre spezie.
Perché lui conosce il mare e
conosce le sue stelle e punta la sua prua per risalire
la corrente, e punta il suo ardore d’esplorare lidi ed
anse, dove l’amore fa le pieghe, di pelle che si schiude
e le riempie di parole che s’accalcano compresse e
danzano stipate nell’imbocco che gorgoglia, come sciami
e come barche in coda al mio approdo, ed ora
inarrestabile cavalca la mia onda, sprofonda negli
abissi e risale la corrente, perché io ora sono
l’ormeggio, il porto che l’accoglie e divento la sua
vela che amoreggia e lo rivuole.
Oh mio
pescatore, come dopo la tempesta, respiro quest’alba
sola nel mio letto, mi dico e mi prometto che non ci
saranno altre volte, perché se tornerai non saprai mai
di lui, di questa storia mai nata nel mio cuore, ma che
la terra fertile l’ha fatta germogliare. Ma se non
tornerai e il mare ti reclama, non so se avrò la forza
di ribellarmi a questa brama. Dimmi che troverai la
rotta giusta, prima che lui affoghi, di nuovo nel mio
mare, e la mia pelle si perda ancora, dove m’è dolce
naufragare.
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Questo racconto
è opera di pura fantasia. Nomi, personaggi e
luoghi sono frutto dell’immaginazione
dell’autore e non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari e
persone è del tutto casuale. IMMAGINE GENERATA DA
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