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RACCONTO

Adamo Bencivenga
LA DONNA
DELLE DUE CASE
Vivo in una villa
immersa nel verde, ho 49 anni, sposata e madre di 3
figli. Tra i viali alberati e le stradine silenziose
del mio paese, sembro la donna perfetta: moglie,
madre e padrona di casa. Ma quello che appare non è
tutta la verità…

Vivo in una villa in affitto
alla periferia di Roma, un angolo di pace immerso nel
verde di Grottaferrata, dove il profumo dei pini si
mescola a quello delle mie rose, che curo nel mio
giardino con devozione quasi ossessiva. Mi chiamo
Eleonora, ho 49 anni, e la mia vita è diventata un
vortice di segreti, amori, rose e compromessi. La casa è
ampia, con grandi vetrate che lasciano entrare la luce
del mattino, un salone con divani di pelle chiara e un
camino che ci scalda d’inverno. È il nostro rifugio, mio
e di Andrea, mio marito, un commerciante dal sorriso
gentile e dal carattere pratico, e dei nostri tre figli:
Matteo, 19 anni, al primo anno di università; Giulia,
15, sempre incollata al telefono; e Luca, 12, il nostro
piccolo atleta che vive per il tennis. Qui, tra i viali
alberati e le stradine silenziose del mio paese, sembro
la donna perfetta: moglie, madre e padrona di casa. Ma
quello che appare non è tutta la verità…
Fino a
un anno fa, la mia vita era fatta di lavoro, viaggi e
riunioni. Ero una manager in un’azienda di tessuti di
lusso, trattavo con stilisti di Armani, Prada, Fendi. Il
mio ufficio a Roma, un open space moderno con vista sul
Tevere, era il mio regno. Volavo a Parigi per le fiere,
passeggiavo tra le boutique di Firenze, incontravo
clienti nei bar alla moda di Milano. Ero brava, lo
sapevo, e mi piaceva. Ma poi, la pandemia ha lasciato il
suo segno, le imprese si sono rivolte ai mercati
orientali più economici e la mia azienda ha iniziato a
tagliare il personale ed io di colpo mi sono ritrovata
tra i “superflui”. Licenziata! A 48 anni, con una casa
da portare avanti, tre figli e un tenore di vita che non
ammetteva passi falsi. “Proprio a me? “Proprio a me
doveva capitare?” Mi ripetevo mentre il mondo mi
crollava inesorabilmente addosso.
Mi sentivo
defraudata, scavata nell’intimo e la mia colpa più
grande è stata quella di non dire nulla a casa.
Vergogna, forse. O forse l’illusione che avrei trovato
subito un altro lavoro. Come se niente fosse cambiato
ogni mattina, indossavo i miei tailleur stretti grigio
perla, le mie calze velate e il mio tacco 12, prendevo
la borsa di pelle, il mio tablet e uscivo di casa alla
solita ora. Con la mia bella Mercedes nera accompagnavo
i miei figli più piccoli a scuola, ma poi invece di
andare in ufficio, vagavo per Roma. A volte finivo nei
centri commercial o nei caffè rumorosi del centro a
sorseggiare un cappuccino mentre sfogliavo annunci di
lavoro sul telefono. Altre volte, delusa e sfinita,
guidavo fino al mare di Ostia, parcheggiavo e fissavo
l’orizzonte, chiedendomi come fossi arrivata a quel
punto e se fossi il caso di confessare tutto a mio
marito. Ma non ci riuscivo, era più forte di me, mai e
poi mai avrei voluto deludere la mia famiglia. E quindi
la sera, tornavo a casa con un sorriso finto stampato in
viso e quando Andrea mi chiedeva come fosse andata la
mia giornata raccontavo di riunioni inesistenti,
videochat con New York e Londra e importati progetti con
qualche casa di moda internazionale.
Beh sì, la
mia infinita fantasia mi teneva ancora attaccata a quel
mondo e ogni giorno mi nutrivo di bugie, che io stessa
facevo fatica a riconoscere tali. E fu in quel periodo
di smarrimento che ricevetti un messaggio da Enzo
Pellisier. “Ele, ho saputo. Mi dispiace tanto. Possiamo
parlarne?” Enzo era il direttore, ora in pensione, di
una casa di moda romana, una vecchia conoscenza. Alto,
capelli brizzolati, occhi azzurri che sembravano
leggerti dentro, aveva sempre avuto un debole per me.
Negli anni, tra una fiera e un evento, mi aveva
corteggiata con eleganza: un invito a cena, un
complimento sussurrato, un mazzo di fiori recapitato in
ufficio e un piccolo regalo al mio compleanno. Più di
una volta mi aveva detto sincero: “Ele non ho mai fatto
il grande passo, ma se dovessi decidere di sposarmi
vorrei una donna esattamente come te.”
Io ci
avevo sempre scherzato sopra, e lusingata, ma fedele a
mio marito e alla mia famiglia coltivavo quell’amicizia
in gran segreto. Tra noi, nonostante il lavoro ci avesse
portati insieme in varie città d’Italia, non c’era mai
stato nulla, solo una profonda e tenera amicizia. Solo
una volta in un ascensore a vetri di Milano si era
avvicinato troppo e le nostre labbra si erano appena
sfiorate. Non dissi nulla anche perché quel
corteggiamento e quel gioco di ammirazione mi aveva
sempre fatto sentire viva ed io ricambiavo con una forte
simpatia nei suoi confronti. Ricordo quando in un
ristorante di Firenze, forse un po’ per il vino o forse
perché realmente lo credevo, gli avevo confidato che
Andrea aveva avuto la fortuna di conoscermi prima di lui
e che in un’altra vita, magari, le cose sarebbero potute
andare diversamente… Lui aveva sorriso dicendomi: “Ma
sai. anche in questa vita le cose potrebbero cambiare…”
Non si era mai arresto e, nonostante la mia fermezza,
coglieva ogni occasione per esprimermi la sua
adorazione.
Ecco, ora le cose erano
effettivamente cambiate e dopo qualche minuto risposi a
quell’invito accettando di incontrarlo, del resto, lui
avendo contatti e conoscenze, era la mia unica e ultima
speranza, una chance che non potevo non cogliere. Mi
propose per il giorno dopo un pranzo al ristorante “Il
Fungo”, vicino al laghetto dell’Eur.
******
Era una bella giornata di primavera, il sole
rifletteva sull’acqua, ed io per il mio indomito
orgoglio di non farmi vedere ferita e disperata avevo
indossato un vestito corto a fiori con un cappellino
bianco. Appena mi vide mi accolse con un sorriso caldo e
non si risparmiò in complimenti: “Ele ma sei bellissima…
come al solito!” Sorrisi ed entrammo nel locale. Da lì
si godeva una vista magnifica ed io mi persi ad ammirare
quello spettacolo di Roma che un tempo era stato il mio
regno assoluto. Il tavolo era apparecchiato con una
tovaglia bianca di fiandra, calici di cristallo, posate
d’argento e un bouquet di roselline e mimosa
profumatissima al centro. Lui da perfetto cavaliere
indossava un completo blu scuro, impeccabile come
sempre.
Appena seduti mi chiese: “Ele, come stai
davvero?” Beh sì ero imbarazzata ed abbassai lo sguardo,
giocherellando con la forchetta. Mi sentivo a disagio
pensando alla vecchia manager che trattava alla pari con
lui ed ora non volevo ammettere la verità, ma la sua
voce gentile, quasi paterna, mi fece cedere. Gli
raccontai tutto: la vergogna, le giornate a vagare e la
paura di deludere la mia famiglia. E poi, la verità più
cruda: “Con le sole entrate di Andrea, non ce la faccio!
L’affitto della villa, le rette della scuola privata, il
club di tennis, le vacanze a Cortina, il leasing della
macchina, le cene con gli amici. Insomma un tenore di
vita che non riesco più a tenere sotto controllo.”
Enzo ascoltò in silenzio, poi posò una mano sulla
mia. “Ele, non sei sola… Puoi contare su di me in ogni
momento…” Mi fissò con i suoi occhi apprensivi e
aggiunse: “Tu sai che non mi sono mai sposato. E sai
perché.” Il cuore mi batté forte. Lo sapevo, sì, e
sapevo anche dove sarebbe andata a finire quella
conversazione e in quel momento non avrei voluto dargli
l’ennesima delusione. Il mio viso cambiò espressione e
lui se ne accorse: “Eleonora ascoltami. Non cerco
un’avventura, sono troppo vecchio per questo. Non ti sto
chiedendo di amarmi, sarei un folle a pretenderlo, ma mi
accontenterei di averti vicina ed essere parte della tua
vita. Poi chissà magari col tempo frequentandoci potrai
anche cambiare idea e scoprire davvero l’uomo che
sono...” Confusa da quelle parole gli chiesi cosa
intendesse “per avermi vicina”. E mentre il
cameriere ci versava nei calici un buon Traminer
aromatico lui disse: “Sono benestante e non ho eredi
come sai. Il mio unico desiderio sei sempre stata tu.
Sei sempre stata il mio chiodo fisso…” Si bagnò appena
le labbra ed aggiunse: “Voglio una relazione stabile,
passare con te tutto il tempo che prima dedicavi al
lavoro. Come vedi non ti sto chiedendo nessuno sforzo
ulteriore o di sottrarre tempo alla tua famiglia… In
cambio farò in modo che tu non debba più preoccuparti di
nulla. Le tue spese, la tua famiglia, penserò io a tutto
e tu devi pensare solo ai tuoi figli.”
Le sue
parole mi colpirono come un pugno. Da una parte ero
indignata, ma dall’altra apprezzavo la sua sincerità.
“Enzo non è cambiato nulla nei miei sentimenti e non
lascerò mai Andrea. Come posso accettare la tua
proposta?” Risposi con la voce tremante. Lui annuì,
senza insistere. “Questa è la mia offerta, Ele. Passare
delle ore insieme a te ogni giorno sarebbe il mio sogno
e come sai non vendo fumo. È una vita che ti aspetto,
posso aspettare ancora. Non ti chiedo di scegliere ora.
Solo di pensarci…”
*******
Tornai a casa
confusa, con il cuore in tumulto. In auto mi chiesi più
volte come avrei potuto sdoppiarmi. Beh sì, lui ormai
era in pensione, aveva tempo per me ed io, le mie ore
lavorative le avrei passate con lui. Passai quella notte
insonne, sdraiata accanto ad Andrea, a fissare il
soffitto. Lui dormiva tranquillo, ignaro, con il suo
respiro regolare che mi faceva sentire ancora più sola.
Ogni tanto mi giravo a guardare le linee morbide delle
sue labbra che avevo amato per vent’anni. Era l’uomo che
avevo scelto, il padre dei miei figli, il mio porto
sicuro. Eppure, in quel momento, mi sembrava così
lontano, come se un muro invisibile si fosse alzato tra
noi. Non era colpa sua, ma della mia incapacità di
confessare, della vergogna che mi inchiodava al silenzio
e delle tare del mio carattere che mi avevano sempre
fatto apparire invincibile. “Come faccio a dirglielo?”
mi chiedevo. “Come posso guardarlo negli occhi e
ammettere che non sono più quella che crede?” La paura
di deluderlo, di vedere nei suoi occhi la delusione o,
peggio, la pietà, era insopportabile.
Enzo mi
aveva dato una prospettiva, certo, ma il pensiero di me
e di lui insieme mi tormentava, ovvio sì, pensai anche
al sesso, all’amore, alle sue mani su di me, ad un odore
e alla pelle diversa. Come avrei reagito? Lui era un
uomo anziano, ma ancora piacente, forse col tempo, mi
ripetevo, che non avrei avuto problemi ad abbandonarmi
tra le sue braccia. Ma Andrea? Nonostante le buone
intenzioni per salvare la mia famiglia lo avrei comunque
tradito! E poi quanto avrei potuto mantenere quel
segreto? Ero ad un bivio, confessare tutto o accettare
quella proposta. Decisi di non scegliere ed andare
avanti così, vagando di giorno per Roma e la sera
tornare fintamente stanca a casa, ma le bollette da
pagare, le rette per la scuola si accumulavano di giorno
in giorno.
Passò circa un mese e non cambiò
nulla, ogni mattina, mentre indossavo il mio tailleur e
uscivo di casa con la scusa di andare al lavoro, sentivo
il peso della menzogna premere sul petto. Per non dare
sospetti cambiavo ogni giorno posto e nei caffè
affollati di Trastevere o sulle panchine di Villa
Pamphili, mi sedevo con il telefono in mano, scorrendo
annunci di lavoro che non portavano a nulla. Disposta a
ricominciare da zero ne avevo sostenuti due in quel
mese, ma senza esito, e ogni volta mi dicevo: “Ele, in
fin dei conti stai già tradendo la tua famiglia! Cosa
aspetti?”
A casa le cose peggioravano di giorno
in giorno, mi sentivo nervosa e intrattabile, anche
l’amore con Andrea divenne un problema. Lui mi chiese
più volte il motivo ed io, dando a lui la colpa o
fingendo qualche malessere, cercavo di rimandare. Eh
già, ma cosa stavo aspettando? Il messaggio di Enzo con
quelle parole gentili continuava a ronzarmi nella testa.
“Non sei sola, Ele. Puoi contare su di me. Basta un tuo
sì e la tua vita si tingerà nuovamente di rosa…” Era una
tentazione, un’àncora di salvezza, ma anche una
trappola. Ogni volta che ripensavo alla sua proposta,
sentivo un misto di rabbia, disgusto verso me stessa e,
allo stesso tempo, una disperata curiosità. Enzo non era
un estraneo. Era un uomo che mi aveva sempre fatto
sentire desiderata, speciale, anche nei momenti in cui
mi sentivo solo un ingranaggio nella macchina della mia
vita perfetta. Ma accettare la sua offerta significava
attraversare un confine che non avevo mai nemmeno
considerato. Tradire Andrea, tradire me stessa, tradire
tutto ciò che avevo costruito. Eppure, ogni bolletta sul
tavolo della cucina, ogni richiesta di Giulia per un
nuovo paio di scarpe firmate, ogni rata del club di
tennis di Luca, mi ricordava che non avevo più scampo e
tempo di aspettare. La nostra vita, la villa, le mie
rose, le vacanze a Cortina, le cene con gli amici: tutto
era appeso a un filo, e quel filo ero io.
Una
sera, mentre annaffiavo le rose nel giardino, mi fermai
a guardarle. Erano bellissime, perfette, ma fragili. Un
po’ come me. Le curavo con dedizione, ma bastava un
temporale troppo forte per rovinarle. Mi sentii come
quelle rose: in bilico, pronta a cedere sotto il peso
della tempesta. Fu allora che capii che non potevo più
andare avanti così, fingendo di essere ancora la donna
che tutti credevano, ma anche se avessi confessato a mio
marito la reale situazione non sarebbe cambiato nulla.
Dovevo fare qualcosa, qualsiasi cosa, per non affondare.
Rientrai in casa e mi guardai allo specchio e amaramente
mi dissi: “Ele hai solo una via d’uscita!”
Con
le mani che tremavano, presi il telefono e composi il
numero di Enzo. La sua voce rispose al primo squillo,
calda come una culla, disponibile e rassicurante come
sempre. “Tesoro, che piacere sentirti.” Non so cosa mi
aspettassi, forse che mi facesse pressione, che
insistesse, ma il suo tono era solo maledettamente
gentile. “Ci ho pensato, Enzo.” Dissi lentamente come se
ogni parola fosse un passo verso un precipizio. “Non
sono ancora in grado di darti una risposta, ma… domani
vengo a Roma, vediamoci nel primo pomeriggio allo Chalet
di Villa Borghese.” Riattaccai senza aspettare la sua
risposta, il cuore che batteva all’impazzata, un misto
di sollievo e terrore. Avevo fatto il primo passo, ma
verso cosa?
******
La mattina seguente
sostenni l’ennesimo colloquio di lavoro in un’azienda di
Corso Francia, ma loro non cercavano una manager di
primo livello, ma una sarta modellista. Delusa uscii, ma
mi feci forza e mentre guidavo verso Villa Borghese, mi
sentivo come se stessi vivendo la vita di un’altra
persona. Avevo scelto un vestito azzurro chiaro, uno di
quelli che mi facevano sentire ancora bella, ancora
viva, ma sotto la superficie ero un fascio di nervi.
Ogni semaforo rosso era un’occasione per ripensarci, per
girare la macchina e tornare indietro, ma anche per
vedermi nello specchietto retrovisore, chiedermi se
fossi ancora una donna attraente e dirmi convinta “Sei
bella Eleonora, ma anche se non lo fossi a lui piaci ed
è questa la tua salvezza!”
Quando arrivai allo
Chalet, Enzo era già lì, seduto a un tavolo all’aperto,
con il lago che rispecchiava le ombre delle magnolie.
Indossava una camicia bianca con le maniche arrotolate,
i capelli brizzolati mossi dal vento leggero. Mi vide e
il suo viso si illuminò in un sorriso. “Ele… sei
magnifica.” Disse, alzandosi per accogliermi. Mi
abbracciò, e il suo profumo mi avvolse come un ricordo
di tempi più semplici. Le sue mani si posarono per un
istante sui miei fianchi, un gesto intimo e leggerissimo
come una piuma, e io mi sentii avvampare, combattuta tra
il desiderio di lasciarmi andare e la paura di ciò che
stavo per fare.
Ci sedemmo, e per un po’
parlammo di nulla: del tempo, del panorama, di quando
una volta avevamo passeggiato fino al Pincio. Ma sotto
ogni parola c’era una tensione, un’attesa. Io stringevo
il tovagliolo evitando il suo sguardo, mentre lui mi
osservava con quella calma che mi aveva sempre
spiazzata. “Eleonora… sei un sogno…” Disse alla fine,
rompendo il silenzio. Solo a quel punto lo guardai in
maniera diversa e d’istinto afferrai la sua mano e la
strinsi forte. Non so cosa mi spinse a farlo. Forse la
stanchezza, forse la paura, forse il bisogno di sentirmi
di nuovo la donna di un tempo. Lo tirai a me sporgendomi
verso di lui, e quando le sue labbra incontrarono le
mie, fu un bacio intenso, disperato e una serie di
emozioni che non riuscivo a districare. C’era il suo
ardore, la sua voglia di me che si percepiva in ogni
movimento, ma c’era anche la mia fragilità, la mia resa.
“Ti amo, Eleonora.” Mi disse sottovoce e io non risposi.
Non potevo. Ma in quel momento, qualcosa dentro di me si
spezzava e si ricomponeva allo stesso tempo. Era come
se, con quel bacio, avessi trovato una sorta di
liberazione, un modo per respirare di nuovo. Non era
amore, almeno non per lui, forse per me stessa, avendo
trovato una via d’uscita, un modo per tenere incollati
insieme i pezzi della mia vita.
Mentre
passeggiavamo sottobraccio lungo il viale delle magnolie
osservai il cielo tingersi di rosa, lo percepii come un
augurio e di colpo mi sentii diversa, non leggera, non
innamorata, ma sdoppiata con quell’altra parte di me che
stava camminando coscientemente su una linea pericolosa.
Sapevo che quel segreto che stavo iniziando a custodire
avrebbe potuto distruggermi, ma per la prima volta in
quei mesi, sentivo di avere una scelta, anche se era una
scelta che mi faceva paura. “Posso gestire questa
situazione…” Mi dissi. Ma la parte di me, quella che
ancora amava Andrea e la vita che avevamo costruito,
sussurrava: “A che prezzo, Eleonora? A che prezzo?”
Il prezzo era lì davanti a me, era Enzo, che mi
guardava con occhi pieni di adorazione, come se fossi
l’unica donna al mondo, una regina che aveva sempre
desiderato come moglie ed ora era capace di riscrivere
il suo universo. Appoggiato a un muretto mi sorrideva ed
io sapevo che ogni istante con lui sarebbe stato un
debito, un conto che prima o poi avrei dovuto saldare.
Mi guardava come se fossi un’opera d’arte, un sogno da
custodire, ma io mi sentivo come una ladra, una che
stava rubando momenti che non le appartenevano, tradendo
non solo Andrea, ma anche la versione di me stessa che
aveva sempre creduto nella fedeltà, nella coerenza, nei
valori che avevo sempre difeso.
Eppure, in quel
momento, sotto il cielo che si tingeva di tramonto
romano, avevo deciso di andare avanti sapendo che il
prezzo era alto, ma il bisogno di dare una svolta alla
mia vita era ancora più forte. Ogni parola di Enzo, ogni
sua rassicurazione, mi faceva sentire di nuovo
importante come se il mondo potesse ancora girare
intorno a me. Le nostre dita si intrecciarono e lui mi
baciò di nuovo. Sentii le sue mani calde attraverso la
stoffa del mio vestito e ogni tocco, ogni carezza era
una moneta che pagavo per sentirmi viva, ma che mi
allontanava da ciò che ero stata. E mentre il lago
rifletteva le ultime luci del tramonto, mi chiesi se
avrei avuto la forza di tornare indietro, o se, ormai,
ero già troppo lontana.
******
Una
settimana dopo, varcai la soglia del suo attico di Via
Cola di Rienzo. Era un appartamento luminoso, con
pavimenti di marmo chiaro venati di grigio e ampie
finestre che davano sui tetti di Prati. Quadri moderni
alle pareti, lampade a stelo liberty, un divano di
velluto grigio, un terrazzo con vasi di lavanda,
rosmarino e basilico. “Sarai la padrona di questa casa.”
Mi disse Enzo, porgendomi un mazzo di chiavi. Quel
giorno non mi chiese di fare l’amore e neanche nei
giorni seguenti. Mi conosceva e sapeva che per un po’
avrei fatto resistenza. Mi sentii sollevata, ma anche
intrappolata in un patto che non riuscivo a definire.
Passammo il primo giorno sul divano a parlare e
sfiorarci con le mani, impacciata e stretta nei miei
tailleur mi sentivo ancora solo un ospite, ma poi nei
giorni successivi le cose cambiarono e girando per le
stanze iniziai a sentirmi più libera ed a mio agio
finché divenni realmente la padrona di quella casa.
Enzo aveva mantenuto una piccola parte del suo
lavoro svolgendo consulenze che sbrigava di mattina ed
io lì sola davo consigli a Denise, la nostra donna di
servizio, su cosa preparare per pranzo, su come dare un
tocco femminile agli arredi o su cosa concentrarsi per
far risplendere quella casa. A poco a poco quella casa
divenne mia con Denise che mi chiamava “signora”, lei
sapeva, ma nel quartiere ero a tutti gli effetti la
moglie di Enzo. Alle volte uscivo andando al
supermercato o facendo delle spese per la casa, altre
spostavo quadri, libri e soprammobili, coltivavo rose in
quell’ampio terrazzo o giocavo con Milo, un labrador che
dopo pochi giorni aveva preso a seguirmi ovunque. Tutto
questo lo facevo durante le ore di lavoro e qualche
volta per due o tre giorni di seguito dicendo alla mia
famiglia che avevo un nuovo progetto importante, che mi
portava a Milano o Firenze.
Nei primi tempi mi
chiesi più volte chi fossi e cosa facessi lì. Non ero
un’amante, non ero una moglie o una convivente, al
limite solo una padrona di casa, la “signora Pellisier”,
che viveva due vite o forse una sola spezzata in due.
Alle sei del pomeriggio regolarmente tornavo nella mia
casa ed assumevo le sembianze dell’altra me stessa,
ossia la mamma che preparava la colazione o la merenda,
che accompagnava Luca agli allenamenti, che rideva con
Andrea davanti a una serie TV o che ascoltava
pazientemente le prime frenesie d’amore di Giulia.
La prima sera che rimasi a dormire da Enzo l’amore
venne spontaneo. Durante il giorno avevamo fatto
shopping in una boutique della zona e lui mi aveva
regalato un completino della Perla grigio e nero con una
splendida camicia da notte di seta. Indossai quella
leggerezza prima di coricarmi e quando Enzo venne a
letto ero già distesa sul nostro letto matrimoniale. Non
ci fu bisogno di parole o richieste pressanti, anzi fui
io a chiedergli quanto mi trovasse seducente e dopo un
bacio infinitamente lungo ci unimmo. In quel momento mi
sentii la sua donna, anche la sua donna... Con il
tempo iniziai ad apprezzarlo. Non era solo il suo
denaro, ma il suo modo di ascoltarmi, di ridere alle mie
battute, di portarmi a teatro o a cena in ristoranti con
vista sul Colosseo. Era un uomo che viveva per me, che
mi aveva fatto tornare la signora che ero sempre stata.
Lo ammetto, non è stato facile, all’inizio. Ogni
volta che varcavo la porta di casa mia, mi sentivo
un’imbrogliona, una disonesta seriale. Guardavo i miei
figli e mi chiedevo se un giorno mi avrebbero odiata o
capita. Ma poi vedevo i loro sorrisi quando tornavo con
regali – un nuovo paio di scarpe per Giulia, un orologio
per Matteo, un tablet per Andrea – e mi dicevo che stavo
facendo la cosa giusta. Enzo pagava ogni cosa:
l’affitto, le bollette, i regali per i miei figli ed
anche le vacanze. La nostra vita era tornata a
splendere, almeno in superficie.
******
Ora è passato del tempo da quando ho messo piede in
questa casa ed io continuo a vivere tra due case ed
avere due identità. A Grottaferrata, sono la mamma che
pota le rose e prepara la cena. A Via Cola di Rienzo,
sono la donna che beve tè sul terrazzo e si lascia
chiamare “signora Pellisier”. Eppure, ogni volta che
Enzo mi chiede se sono stanca di questa doppia vita e di
fare una scelta definitiva, io scuoto la testa. “Non
posso, Enzo. Non ancora.” Lui non insiste e nei suoi
occhi vedo una fiducia granitica come se fosse sicuro
che prima o poi sceglierò di essere solo la “signora
Pellisier”.
Nel frattempo per farmi stare
tranquilla e legarmi totalmente a lui mi ha intestato
metà della casa e mi fa viaggiare su una BMW bianca
serie 4 cabrio. Quando faccio il tragitto tra Roma e
Grottaferrata mi sento una donna arrivata, che in
qualche modo ha saputo trasformare un problema in una
opportunità riuscendo a rimanere a galla. Ripenso spesso
a quando combattuta dal dubbio non sapevo quale strada
intraprendere, chiedendomi come sarebbe stata la mia
vita se avessi raccontato del mio licenziamento a mio
marito! Ora sono orgogliosa della mia scelta e di
essere la donna di Enzo anche se lui ha solo la metà di
me. Mai avrei potuto pensare che il mio corpo avesse
potuto far felice due uomini, come le mie gambe e la mia
testa adattarsi a due piaceri e due case completamente
differenti. E mai avrei pensato di poter vivere due vite
e dividermi esattamente a metà come sto facendo. Sto
bene, ma a volte, di notte, quando mi sveglio, per un
istante mi chiedo chi sia l’uomo accanto a me, ma in
entrambi i casi, se sia Andrea o Enzo, mi domando chi
sia davvero io: la stessa donna che finge o due donne
con la stessa faccia?
|
Questo racconto
è opera di pura fantasia. Nomi, personaggi e
luoghi sono frutto dell’immaginazione
dell’autore e non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari e
persone è del tutto casuale. IMMAGINE GENERATA DA
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