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RACCONTO
 
Adamo Bencivenga
LA DONNA DELLE DUE CASE
Vivo in una villa immersa nel verde, ho 49 anni, sposata e madre di 3 figli. Tra i viali alberati e le stradine silenziose del mio paese, sembro la donna perfetta: moglie, madre e padrona di casa. Ma quello che appare non è tutta la verità…
 


 

 
Vivo in una villa in affitto alla periferia di Roma, un angolo di pace immerso nel verde di Grottaferrata, dove il profumo dei pini si mescola a quello delle mie rose, che curo nel mio giardino con devozione quasi ossessiva. Mi chiamo Eleonora, ho 49 anni, e la mia vita è diventata un vortice di segreti, amori, rose e compromessi. La casa è ampia, con grandi vetrate che lasciano entrare la luce del mattino, un salone con divani di pelle chiara e un camino che ci scalda d’inverno. È il nostro rifugio, mio e di Andrea, mio marito, un commerciante dal sorriso gentile e dal carattere pratico, e dei nostri tre figli: Matteo, 19 anni, al primo anno di università; Giulia, 15, sempre incollata al telefono; e Luca, 12, il nostro piccolo atleta che vive per il tennis. Qui, tra i viali alberati e le stradine silenziose del mio paese, sembro la donna perfetta: moglie, madre e padrona di casa. Ma quello che appare non è tutta la verità…

Fino a un anno fa, la mia vita era fatta di lavoro, viaggi e riunioni. Ero una manager in un’azienda di tessuti di lusso, trattavo con stilisti di Armani, Prada, Fendi. Il mio ufficio a Roma, un open space moderno con vista sul Tevere, era il mio regno. Volavo a Parigi per le fiere, passeggiavo tra le boutique di Firenze, incontravo clienti nei bar alla moda di Milano. Ero brava, lo sapevo, e mi piaceva. Ma poi, la pandemia ha lasciato il suo segno, le imprese si sono rivolte ai mercati orientali più economici e la mia azienda ha iniziato a tagliare il personale ed io di colpo mi sono ritrovata tra i “superflui”. Licenziata! A 48 anni, con una casa da portare avanti, tre figli e un tenore di vita che non ammetteva passi falsi. “Proprio a me? “Proprio a me doveva capitare?” Mi ripetevo mentre il mondo mi crollava inesorabilmente addosso.

Mi sentivo defraudata, scavata nell’intimo e la mia colpa più grande è stata quella di non dire nulla a casa. Vergogna, forse. O forse l’illusione che avrei trovato subito un altro lavoro. Come se niente fosse cambiato ogni mattina, indossavo i miei tailleur stretti grigio perla, le mie calze velate e il mio tacco 12, prendevo la borsa di pelle, il mio tablet e uscivo di casa alla solita ora. Con la mia bella Mercedes nera accompagnavo i miei figli più piccoli a scuola, ma poi invece di andare in ufficio, vagavo per Roma. A volte finivo nei centri commercial o nei caffè rumorosi del centro a sorseggiare un cappuccino mentre sfogliavo annunci di lavoro sul telefono. Altre volte, delusa e sfinita, guidavo fino al mare di Ostia, parcheggiavo e fissavo l’orizzonte, chiedendomi come fossi arrivata a quel punto e se fossi il caso di confessare tutto a mio marito. Ma non ci riuscivo, era più forte di me, mai e poi mai avrei voluto deludere la mia famiglia. E quindi la sera, tornavo a casa con un sorriso finto stampato in viso e quando Andrea mi chiedeva come fosse andata la mia giornata raccontavo di riunioni inesistenti, videochat con New York e Londra e importati progetti con qualche casa di moda internazionale.

Beh sì, la mia infinita fantasia mi teneva ancora attaccata a quel mondo e ogni giorno mi nutrivo di bugie, che io stessa facevo fatica a riconoscere tali. E fu in quel periodo di smarrimento che ricevetti un messaggio da Enzo Pellisier. “Ele, ho saputo. Mi dispiace tanto. Possiamo parlarne?” Enzo era il direttore, ora in pensione, di una casa di moda romana, una vecchia conoscenza. Alto, capelli brizzolati, occhi azzurri che sembravano leggerti dentro, aveva sempre avuto un debole per me. Negli anni, tra una fiera e un evento, mi aveva corteggiata con eleganza: un invito a cena, un complimento sussurrato, un mazzo di fiori recapitato in ufficio e un piccolo regalo al mio compleanno. Più di una volta mi aveva detto sincero: “Ele non ho mai fatto il grande passo, ma se dovessi decidere di sposarmi vorrei una donna esattamente come te.”

Io ci avevo sempre scherzato sopra, e lusingata, ma fedele a mio marito e alla mia famiglia coltivavo quell’amicizia in gran segreto. Tra noi, nonostante il lavoro ci avesse portati insieme in varie città d’Italia, non c’era mai stato nulla, solo una profonda e tenera amicizia. Solo una volta in un ascensore a vetri di Milano si era avvicinato troppo e le nostre labbra si erano appena sfiorate. Non dissi nulla anche perché quel corteggiamento e quel gioco di ammirazione mi aveva sempre fatto sentire viva ed io ricambiavo con una forte simpatia nei suoi confronti. Ricordo quando in un ristorante di Firenze, forse un po’ per il vino o forse perché realmente lo credevo, gli avevo confidato che Andrea aveva avuto la fortuna di conoscermi prima di lui e che in un’altra vita, magari, le cose sarebbero potute andare diversamente… Lui aveva sorriso dicendomi: “Ma sai. anche in questa vita le cose potrebbero cambiare…” Non si era mai arresto e, nonostante la mia fermezza, coglieva ogni occasione per esprimermi la sua adorazione.

Ecco, ora le cose erano effettivamente cambiate e dopo qualche minuto risposi a quell’invito accettando di incontrarlo, del resto, lui avendo contatti e conoscenze, era la mia unica e ultima speranza, una chance che non potevo non cogliere. Mi propose per il giorno dopo un pranzo al ristorante “Il Fungo”, vicino al laghetto dell’Eur.


******

Era una bella giornata di primavera, il sole rifletteva sull’acqua, ed io per il mio indomito orgoglio di non farmi vedere ferita e disperata avevo indossato un vestito corto a fiori con un cappellino bianco. Appena mi vide mi accolse con un sorriso caldo e non si risparmiò in complimenti: “Ele ma sei bellissima… come al solito!” Sorrisi ed entrammo nel locale. Da lì si godeva una vista magnifica ed io mi persi ad ammirare quello spettacolo di Roma che un tempo era stato il mio regno assoluto. Il tavolo era apparecchiato con una tovaglia bianca di fiandra, calici di cristallo, posate d’argento e un bouquet di roselline e mimosa profumatissima al centro. Lui da perfetto cavaliere indossava un completo blu scuro, impeccabile come sempre.

Appena seduti mi chiese: “Ele, come stai davvero?” Beh sì ero imbarazzata ed abbassai lo sguardo, giocherellando con la forchetta. Mi sentivo a disagio pensando alla vecchia manager che trattava alla pari con lui ed ora non volevo ammettere la verità, ma la sua voce gentile, quasi paterna, mi fece cedere. Gli raccontai tutto: la vergogna, le giornate a vagare e la paura di deludere la mia famiglia. E poi, la verità più cruda: “Con le sole entrate di Andrea, non ce la faccio! L’affitto della villa, le rette della scuola privata, il club di tennis, le vacanze a Cortina, il leasing della macchina, le cene con gli amici. Insomma un tenore di vita che non riesco più a tenere sotto controllo.”

Enzo ascoltò in silenzio, poi posò una mano sulla mia. “Ele, non sei sola… Puoi contare su di me in ogni momento…” Mi fissò con i suoi occhi apprensivi e aggiunse: “Tu sai che non mi sono mai sposato. E sai perché.” Il cuore mi batté forte. Lo sapevo, sì, e sapevo anche dove sarebbe andata a finire quella conversazione e in quel momento non avrei voluto dargli l’ennesima delusione. Il mio viso cambiò espressione e lui se ne accorse: “Eleonora ascoltami. Non cerco un’avventura, sono troppo vecchio per questo. Non ti sto chiedendo di amarmi, sarei un folle a pretenderlo, ma mi accontenterei di averti vicina ed essere parte della tua vita. Poi chissà magari col tempo frequentandoci potrai anche cambiare idea e scoprire davvero l’uomo che sono...” Confusa da quelle parole gli chiesi cosa intendesse “per avermi vicina”.
E mentre il cameriere ci versava nei calici un buon Traminer aromatico lui disse: “Sono benestante e non ho eredi come sai. Il mio unico desiderio sei sempre stata tu. Sei sempre stata il mio chiodo fisso…” Si bagnò appena le labbra ed aggiunse: “Voglio una relazione stabile, passare con te tutto il tempo che prima dedicavi al lavoro. Come vedi non ti sto chiedendo nessuno sforzo ulteriore o di sottrarre tempo alla tua famiglia… In cambio farò in modo che tu non debba più preoccuparti di nulla. Le tue spese, la tua famiglia, penserò io a tutto e tu devi pensare solo ai tuoi figli.”

Le sue parole mi colpirono come un pugno. Da una parte ero indignata, ma dall’altra apprezzavo la sua sincerità. “Enzo non è cambiato nulla nei miei sentimenti e non lascerò mai Andrea. Come posso accettare la tua proposta?” Risposi con la voce tremante. Lui annuì, senza insistere. “Questa è la mia offerta, Ele. Passare delle ore insieme a te ogni giorno sarebbe il mio sogno e come sai non vendo fumo. È una vita che ti aspetto, posso aspettare ancora. Non ti chiedo di scegliere ora. Solo di pensarci…”

*******

Tornai a casa confusa, con il cuore in tumulto. In auto mi chiesi più volte come avrei potuto sdoppiarmi. Beh sì, lui ormai era in pensione, aveva tempo per me ed io, le mie ore lavorative le avrei passate con lui. Passai quella notte insonne, sdraiata accanto ad Andrea, a fissare il soffitto. Lui dormiva tranquillo, ignaro, con il suo respiro regolare che mi faceva sentire ancora più sola. Ogni tanto mi giravo a guardare le linee morbide delle sue labbra che avevo amato per vent’anni. Era l’uomo che avevo scelto, il padre dei miei figli, il mio porto sicuro. Eppure, in quel momento, mi sembrava così lontano, come se un muro invisibile si fosse alzato tra noi. Non era colpa sua, ma della mia incapacità di confessare, della vergogna che mi inchiodava al silenzio e delle tare del mio carattere che mi avevano sempre fatto apparire invincibile. “Come faccio a dirglielo?” mi chiedevo. “Come posso guardarlo negli occhi e ammettere che non sono più quella che crede?” La paura di deluderlo, di vedere nei suoi occhi la delusione o, peggio, la pietà, era insopportabile.

Enzo mi aveva dato una prospettiva, certo, ma il pensiero di me e di lui insieme mi tormentava, ovvio sì, pensai anche al sesso, all’amore, alle sue mani su di me, ad un odore e alla pelle diversa. Come avrei reagito? Lui era un uomo anziano, ma ancora piacente, forse col tempo, mi ripetevo, che non avrei avuto problemi ad abbandonarmi tra le sue braccia. Ma Andrea? Nonostante le buone intenzioni per salvare la mia famiglia lo avrei comunque tradito! E poi quanto avrei potuto mantenere quel segreto? Ero ad un bivio, confessare tutto o accettare quella proposta. Decisi di non scegliere ed andare avanti così, vagando di giorno per Roma e la sera tornare fintamente stanca a casa, ma le bollette da pagare, le rette per la scuola si accumulavano di giorno in giorno.

Passò circa un mese e non cambiò nulla, ogni mattina, mentre indossavo il mio tailleur e uscivo di casa con la scusa di andare al lavoro, sentivo il peso della menzogna premere sul petto. Per non dare sospetti cambiavo ogni giorno posto e nei caffè affollati di Trastevere o sulle panchine di Villa Pamphili, mi sedevo con il telefono in mano, scorrendo annunci di lavoro che non portavano a nulla. Disposta a ricominciare da zero ne avevo sostenuti due in quel mese, ma senza esito, e ogni volta mi dicevo: “Ele, in fin dei conti stai già tradendo la tua famiglia! Cosa aspetti?”

A casa le cose peggioravano di giorno in giorno, mi sentivo nervosa e intrattabile, anche l’amore con Andrea divenne un problema. Lui mi chiese più volte il motivo ed io, dando a lui la colpa o fingendo qualche malessere, cercavo di rimandare. Eh già, ma cosa stavo aspettando? Il messaggio di Enzo con quelle parole gentili continuava a ronzarmi nella testa. “Non sei sola, Ele. Puoi contare su di me. Basta un tuo sì e la tua vita si tingerà nuovamente di rosa…” Era una tentazione, un’àncora di salvezza, ma anche una trappola. Ogni volta che ripensavo alla sua proposta, sentivo un misto di rabbia, disgusto verso me stessa e, allo stesso tempo, una disperata curiosità. Enzo non era un estraneo. Era un uomo che mi aveva sempre fatto sentire desiderata, speciale, anche nei momenti in cui mi sentivo solo un ingranaggio nella macchina della mia vita perfetta. Ma accettare la sua offerta significava attraversare un confine che non avevo mai nemmeno considerato. Tradire Andrea, tradire me stessa, tradire tutto ciò che avevo costruito. Eppure, ogni bolletta sul tavolo della cucina, ogni richiesta di Giulia per un nuovo paio di scarpe firmate, ogni rata del club di tennis di Luca, mi ricordava che non avevo più scampo e tempo di aspettare. La nostra vita, la villa, le mie rose, le vacanze a Cortina, le cene con gli amici: tutto era appeso a un filo, e quel filo ero io.

Una sera, mentre annaffiavo le rose nel giardino, mi fermai a guardarle. Erano bellissime, perfette, ma fragili. Un po’ come me. Le curavo con dedizione, ma bastava un temporale troppo forte per rovinarle. Mi sentii come quelle rose: in bilico, pronta a cedere sotto il peso della tempesta. Fu allora che capii che non potevo più andare avanti così, fingendo di essere ancora la donna che tutti credevano, ma anche se avessi confessato a mio marito la reale situazione non sarebbe cambiato nulla. Dovevo fare qualcosa, qualsiasi cosa, per non affondare. Rientrai in casa e mi guardai allo specchio e amaramente mi dissi: “Ele hai solo una via d’uscita!”

Con le mani che tremavano, presi il telefono e composi il numero di Enzo. La sua voce rispose al primo squillo, calda come una culla, disponibile e rassicurante come sempre. “Tesoro, che piacere sentirti.” Non so cosa mi aspettassi, forse che mi facesse pressione, che insistesse, ma il suo tono era solo maledettamente gentile. “Ci ho pensato, Enzo.” Dissi lentamente come se ogni parola fosse un passo verso un precipizio. “Non sono ancora in grado di darti una risposta, ma… domani vengo a Roma, vediamoci nel primo pomeriggio allo Chalet di Villa Borghese.” Riattaccai senza aspettare la sua risposta, il cuore che batteva all’impazzata, un misto di sollievo e terrore. Avevo fatto il primo passo, ma verso cosa?


******

La mattina seguente sostenni l’ennesimo colloquio di lavoro in un’azienda di Corso Francia, ma loro non cercavano una manager di primo livello, ma una sarta modellista. Delusa uscii, ma mi feci forza e mentre guidavo verso Villa Borghese, mi sentivo come se stessi vivendo la vita di un’altra persona. Avevo scelto un vestito azzurro chiaro, uno di quelli che mi facevano sentire ancora bella, ancora viva, ma sotto la superficie ero un fascio di nervi. Ogni semaforo rosso era un’occasione per ripensarci, per girare la macchina e tornare indietro, ma anche per vedermi nello specchietto retrovisore, chiedermi se fossi ancora una donna attraente e dirmi convinta “Sei bella Eleonora, ma anche se non lo fossi a lui piaci ed è questa la tua salvezza!”

Quando arrivai allo Chalet, Enzo era già lì, seduto a un tavolo all’aperto, con il lago che rispecchiava le ombre delle magnolie. Indossava una camicia bianca con le maniche arrotolate, i capelli brizzolati mossi dal vento leggero. Mi vide e il suo viso si illuminò in un sorriso. “Ele… sei magnifica.” Disse, alzandosi per accogliermi. Mi abbracciò, e il suo profumo mi avvolse come un ricordo di tempi più semplici. Le sue mani si posarono per un istante sui miei fianchi, un gesto intimo e leggerissimo come una piuma, e io mi sentii avvampare, combattuta tra il desiderio di lasciarmi andare e la paura di ciò che stavo per fare.

Ci sedemmo, e per un po’ parlammo di nulla: del tempo, del panorama, di quando una volta avevamo passeggiato fino al Pincio. Ma sotto ogni parola c’era una tensione, un’attesa. Io stringevo il tovagliolo evitando il suo sguardo, mentre lui mi osservava con quella calma che mi aveva sempre spiazzata. “Eleonora… sei un sogno…” Disse alla fine, rompendo il silenzio. Solo a quel punto lo guardai in maniera diversa e d’istinto afferrai la sua mano e la strinsi forte. Non so cosa mi spinse a farlo. Forse la stanchezza, forse la paura, forse il bisogno di sentirmi di nuovo la donna di un tempo. Lo tirai a me sporgendomi verso di lui, e quando le sue labbra incontrarono le mie, fu un bacio intenso, disperato e una serie di emozioni che non riuscivo a districare. C’era il suo ardore, la sua voglia di me che si percepiva in ogni movimento, ma c’era anche la mia fragilità, la mia resa. “Ti amo, Eleonora.” Mi disse sottovoce e io non risposi. Non potevo. Ma in quel momento, qualcosa dentro di me si spezzava e si ricomponeva allo stesso tempo. Era come se, con quel bacio, avessi trovato una sorta di liberazione, un modo per respirare di nuovo. Non era amore, almeno non per lui, forse per me stessa, avendo trovato una via d’uscita, un modo per tenere incollati insieme i pezzi della mia vita.

Mentre passeggiavamo sottobraccio lungo il viale delle magnolie osservai il cielo tingersi di rosa, lo percepii come un augurio e di colpo mi sentii diversa, non leggera, non innamorata, ma sdoppiata con quell’altra parte di me che stava camminando coscientemente su una linea pericolosa. Sapevo che quel segreto che stavo iniziando a custodire avrebbe potuto distruggermi, ma per la prima volta in quei mesi, sentivo di avere una scelta, anche se era una scelta che mi faceva paura. “Posso gestire questa situazione…” Mi dissi. Ma la parte di me, quella che ancora amava Andrea e la vita che avevamo costruito, sussurrava: “A che prezzo, Eleonora? A che prezzo?”

Il prezzo era lì davanti a me, era Enzo, che mi guardava con occhi pieni di adorazione, come se fossi l’unica donna al mondo, una regina che aveva sempre desiderato come moglie ed ora era capace di riscrivere il suo universo. Appoggiato a un muretto mi sorrideva ed io sapevo che ogni istante con lui sarebbe stato un debito, un conto che prima o poi avrei dovuto saldare. Mi guardava come se fossi un’opera d’arte, un sogno da custodire, ma io mi sentivo come una ladra, una che stava rubando momenti che non le appartenevano, tradendo non solo Andrea, ma anche la versione di me stessa che aveva sempre creduto nella fedeltà, nella coerenza, nei valori che avevo sempre difeso.

Eppure, in quel momento, sotto il cielo che si tingeva di tramonto romano, avevo deciso di andare avanti sapendo che il prezzo era alto, ma il bisogno di dare una svolta alla mia vita era ancora più forte. Ogni parola di Enzo, ogni sua rassicurazione, mi faceva sentire di nuovo importante come se il mondo potesse ancora girare intorno a me. Le nostre dita si intrecciarono e lui mi baciò di nuovo. Sentii le sue mani calde attraverso la stoffa del mio vestito e ogni tocco, ogni carezza era una moneta che pagavo per sentirmi viva, ma che mi allontanava da ciò che ero stata. E mentre il lago rifletteva le ultime luci del tramonto, mi chiesi se avrei avuto la forza di tornare indietro, o se, ormai, ero già troppo lontana.


******

Una settimana dopo, varcai la soglia del suo attico di Via Cola di Rienzo. Era un appartamento luminoso, con pavimenti di marmo chiaro venati di grigio e ampie finestre che davano sui tetti di Prati. Quadri moderni alle pareti, lampade a stelo liberty, un divano di velluto grigio, un terrazzo con vasi di lavanda, rosmarino e basilico. “Sarai la padrona di questa casa.” Mi disse Enzo, porgendomi un mazzo di chiavi. Quel giorno non mi chiese di fare l’amore e neanche nei giorni seguenti. Mi conosceva e sapeva che per un po’ avrei fatto resistenza. Mi sentii sollevata, ma anche intrappolata in un patto che non riuscivo a definire. Passammo il primo giorno sul divano a parlare e sfiorarci con le mani, impacciata e stretta nei miei tailleur mi sentivo ancora solo un ospite, ma poi nei giorni successivi le cose cambiarono e girando per le stanze iniziai a sentirmi più libera ed a mio agio finché divenni realmente la padrona di quella casa.

Enzo aveva mantenuto una piccola parte del suo lavoro svolgendo consulenze che sbrigava di mattina ed io lì sola davo consigli a Denise, la nostra donna di servizio, su cosa preparare per pranzo, su come dare un tocco femminile agli arredi o su cosa concentrarsi per far risplendere quella casa. A poco a poco quella casa divenne mia con Denise che mi chiamava “signora”, lei sapeva, ma nel quartiere ero a tutti gli effetti la moglie di Enzo.
Alle volte uscivo andando al supermercato o facendo delle spese per la casa, altre spostavo quadri, libri e soprammobili, coltivavo rose in quell’ampio terrazzo o giocavo con Milo, un labrador che dopo pochi giorni aveva preso a seguirmi ovunque. Tutto questo lo facevo durante le ore di lavoro e qualche volta per due o tre giorni di seguito dicendo alla mia famiglia che avevo un nuovo progetto importante, che mi portava a Milano o Firenze.

Nei primi tempi mi chiesi più volte chi fossi e cosa facessi lì. Non ero un’amante, non ero una moglie o una convivente, al limite solo una padrona di casa, la “signora Pellisier”, che viveva due vite o forse una sola spezzata in due. Alle sei del pomeriggio regolarmente tornavo nella mia casa ed assumevo le sembianze dell’altra me stessa, ossia la mamma che preparava la colazione o la merenda, che accompagnava Luca agli allenamenti, che rideva con Andrea davanti a una serie TV o che ascoltava pazientemente le prime frenesie d’amore di Giulia.

La prima sera che rimasi a dormire da Enzo l’amore venne spontaneo. Durante il giorno avevamo fatto shopping in una boutique della zona e lui mi aveva regalato un completino della Perla grigio e nero con una splendida camicia da notte di seta. Indossai quella leggerezza prima di coricarmi e quando Enzo venne a letto ero già distesa sul nostro letto matrimoniale. Non ci fu bisogno di parole o richieste pressanti, anzi fui io a chiedergli quanto mi trovasse seducente e dopo un bacio infinitamente lungo ci unimmo. In quel momento mi sentii la sua donna, anche la sua donna...
Con il tempo iniziai ad apprezzarlo. Non era solo il suo denaro, ma il suo modo di ascoltarmi, di ridere alle mie battute, di portarmi a teatro o a cena in ristoranti con vista sul Colosseo. Era un uomo che viveva per me, che mi aveva fatto tornare la signora che ero sempre stata.

Lo ammetto, non è stato facile, all’inizio. Ogni volta che varcavo la porta di casa mia, mi sentivo un’imbrogliona, una disonesta seriale. Guardavo i miei figli e mi chiedevo se un giorno mi avrebbero odiata o capita. Ma poi vedevo i loro sorrisi quando tornavo con regali – un nuovo paio di scarpe per Giulia, un orologio per Matteo, un tablet per Andrea – e mi dicevo che stavo facendo la cosa giusta. Enzo pagava ogni cosa: l’affitto, le bollette, i regali per i miei figli ed anche le vacanze. La nostra vita era tornata a splendere, almeno in superficie.


******

Ora è passato del tempo da quando ho messo piede in questa casa ed io continuo a vivere tra due case ed avere due identità. A Grottaferrata, sono la mamma che pota le rose e prepara la cena. A Via Cola di Rienzo, sono la donna che beve tè sul terrazzo e si lascia chiamare “signora Pellisier”. Eppure, ogni volta che Enzo mi chiede se sono stanca di questa doppia vita e di fare una scelta definitiva, io scuoto la testa. “Non posso, Enzo. Non ancora.” Lui non insiste e nei suoi occhi vedo una fiducia granitica come se fosse sicuro che prima o poi sceglierò di essere solo la “signora Pellisier”.

Nel frattempo per farmi stare tranquilla e legarmi totalmente a lui mi ha intestato metà della casa e mi fa viaggiare su una BMW bianca serie 4 cabrio. Quando faccio il tragitto tra Roma e Grottaferrata mi sento una donna arrivata, che in qualche modo ha saputo trasformare un problema in una opportunità riuscendo a rimanere a galla. Ripenso spesso a quando combattuta dal dubbio non sapevo quale strada intraprendere, chiedendomi come sarebbe stata la mia vita se avessi raccontato del mio licenziamento a mio marito!
Ora sono orgogliosa della mia scelta e di essere la donna di Enzo anche se lui ha solo la metà di me. Mai avrei potuto pensare che il mio corpo avesse potuto far felice due uomini, come le mie gambe e la mia testa adattarsi a due piaceri e due case completamente differenti. E mai avrei pensato di poter vivere due vite e dividermi esattamente a metà come sto facendo. Sto bene, ma a volte, di notte, quando mi sveglio, per un istante mi chiedo chi sia l’uomo accanto a me, ma in entrambi i casi, se sia Andrea o Enzo, mi domando chi sia davvero io: la stessa donna che finge o due donne con la stessa faccia?









Questo racconto è opera di pura fantasia.
Nomi, personaggi e luoghi sono frutto
dell’immaginazione dell’autore e non sono da
considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con
fatti, scenari e persone è del tutto casuale.
IMMAGINE GENERATA DA IA


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