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I RACCONTI DI ARTE PASSIONE
 
Un fuoco di Passione
Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio
Nel crepuscolo veneziano del 1894, Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio si guardano, sospesi in un istante eterno. Le parole del poeta, come versi infuocati, accendono in lei un desiderio che brucia ogni difesa. È l’inizio di un amore che sarà insieme trionfo e tormento...



 
Alla fine dell’Ottocento, Roma viveva un momento di profonda trasformazione. Diventata capitale d’Italia nel 1871, dopo la presa di Porta Pia, la città si stava rapidamente modernizzando per adeguarsi al suo nuovo ruolo. È un periodo di fermento culturale, politico e sociale: Roma si emancipava dal suo passato papalino per diventare il centro pulsante del Regno d’Italia. I caffè, come il Caffè Greco in via Condotti, sono luoghi d’incontro per poeti e pensatori, intellettuali, scrittori e artisti, mentre i teatri, come il Teatro Valle, sono il cuore pulsante della vita artistica.

Il Teatro Valle, situato nel cuore di Roma, vicino a Piazza Navona, è uno dei teatri più prestigiosi dell’epoca. Costruito nel 1727, alla fine del XIX secolo era un punto di riferimento per la vita culturale romana. Con il suo elegante interno neoclassico, il Valle ospitava spettacoli di prosa, opera e balletto, attirando un pubblico eterogeneo: dall’aristocrazia alla borghesia, fino agli intellettuali e agli artisti. È un luogo dove si celebravano le grandi dive del teatro, come Eleonora Duse, e dove si sperimentavano nuove forme drammaturgiche. La sua atmosfera era carica di magia: le luci soffuse, il brusio del pubblico, l’attesa per l’ingresso in scena delle dive.

È proprio qui che si colloca uno degli episodi più emblematici del rapporto tra Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio. Il primo incontro avvenne nel 1882. D’Annunzio, appena ventenne, era un giovane poeta abruzzese già noto per la sua precocità letteraria. Al tempo aveva pubblicato tre opere (Primo vere, Canto novo e Intermezzo di rime) e si presentava come un personaggio carismatico, con un alone di fascino e provocazione. I suoi capelli biondi, il suo aspetto raffinato e il suo atteggiamento spavaldo lo rendevano irresistibile per molti, ma anche sfrontato.

Quando incontrò Eleonora Duse, già una celebrità del teatro italiano, non esitò a proporle, con una sfrontatezza quasi scandalosa per l’epoca, di andare a letto con lui. Eleonora, allora trentenne, era una donna di straordinaria intensità emotiva, nota per la sus capacità di incarnare i personaggi con una profondità senza precedenti. Di fronte alla proposta audace di D’Annunzio, reagì con sdegno, fedele alla sua dignità e al suo senso di decoro. Tuttavia non fu del tutto immune al suo fascino. In questo primo incontro, si percepì già la tensione tra repulsione e attrazione che segnerà il loro rapporto.

Infatti sei anni dopo, nel 1888, il Teatro Valle diventò il palcoscenico di un secondo incontro memorabile. Eleonora, reduce dal trionfo nel ruolo di Marguerite Gautier in “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas figlio, stava tornando al suo camerino. Mentre si muoveva nei corridoi del teatro, avvolta dall’atmosfera di penombra e dall’eco degli applausi, D’Annunzio emerse improvvisamente dall’ombra e le disse: «O grande amatrice!» Cercando di catturare l’attenzione della diva. Eleonora, colta di sorpresa e forse un po’ spaventata, lo guardò per un istante prima di proseguire mantenendo una certa distanza, ancora non pronta ad abbandonarsi al fascino del poeta.

La vera esplosione della loro passione avvenne due anni dopo, nel 1894, a Venezia, una città che sembrava fatta per amplificare ogni emozione. Con i suoi canali romantici sotto la luce della luna, i palazzi che si riflettono nell’acqua e l’atmosfera di decadenza, fu il luogo perfetto per il loro amore. Si incontrarono a Palazzo Vendramin, un’antica dimora affacciata sul Canal Grande, dove Eleonora si trovava per una serie di rappresentazioni teatrali. D’Annunzio, che l’aveva seguita con la determinazione di chi sa di voler conquistare non solo il cuore ma l’anima di una donna, la raggiunse in una sera di primavera.

La scena si svolse in una sala del palazzo, con alte finestre che si aprivano sul canale. Le tende di velluto ondeggiavano leggermente e la luce delle candele proiettava ombre sulle pareti affrescate. Eleonora, ancora in costume di scena dopo aver interpretato un ruolo tragico, era seduta su una poltrona, il volto pallido, ma illuminato da un’intensità che solo il palcoscenico sapeva darle. D’Annunzio entrò senza annunciarsi. «Eleonora…» Le sussurrò, avvicinandosi e posando una mano sul bracciolo della poltrona. «Siete più di un’attrice, più di una donna. Siete un sogno che non riesco a smettere di sognare.» Lei alzò lo sguardo, e per un istante i loro occhi si incatenarono. «Gabriele, i sogni sono pericolosi. Bruciano, e lasciano solo cenere.»
«Allora lasciate che bruciamo insieme.» Ribatté lui, chinandosi verso di lei, così vicino che il suo respiro le sfiorò la guancia. «Non c’è cenere senza fuoco, e io voglio ardere con voi.» In quel momento, ogni barriera crollò. Eleonora, che aveva sempre protetto il suo cuore con una corazza di riserbo, si abbandonò. Si baciarono, e quel bacio fu l’inizio di una passione che li consumò entrambi. Fu un amore morboso, quasi ossessivo, fatto di momenti di estasi e di tormento.

D’Annunzio era attratto dalla grandezza di Eleonora, dalla sua capacità di incarnare l’arte, ma anche dalla sua fragilità, che lo spinse a volerla possedere completamente. Eleonora, invece, vedeva in lui il poeta che poteva dare voce alle sue emozioni più profonde, ma anche un uomo capace di ferirla con la sua volubilità. La loro relazione fu un vortice di emozioni estreme. Si scrivevano lettere infuocate, si incontravano in luoghi segreti – stanze d’albergo, ville isolate, teatri deserti dopo gli spettacoli – e ogni incontro era un’esplosione di desiderio e creatività. D’Annunzio scriveva per lei, ispirandosi alla sua figura per creare personaggi femminili intensi e tragici, mentre Eleonora portava in scena le sue opere con una dedizione che andava oltre il dovere di attrice: era come se recitasse per lui, per loro, per dare corpo al loro amore.

Ma questo legame fu anche doloroso. D’Annunzio, con il suo ego smisurato e la sua tendenza a inseguire nuove muse, ferì Eleonora con le sue infedeltà e il suo distacco. Lei, che si donava completamente, soffrì per questa asimmetria, ma non riuscì a spezzare del tutto quel legame. Una notte, dopo una rappresentazione de La città morta a Venezia, si ritrovarono sul balcone di un palazzo sul Canal Grande. Eleonora, avvolta in uno scialle, guardava l’acqua in silenzio, mentre D’Annunzio le si avvicinò. «Perché mi guardate così, Gabriele? Come se voleste rubarmi l’anima.» Chiese lei.
«Perché la vostra anima è il mio poema più bello.» Rispose lui, prendendole la mano. «Ma non vi ruberò nulla, Eleonora. Voglio solo che siamo eterni, insieme.» Quelle parole, però, nascondevano una promessa che D’Annunzio non avrebbe mantenuto. La loro passione, pur intensa, era destinata a consumarsi, lasciando in Eleonora una ferita che non guarirà mai del tutto. Fu un amore che viveva di momenti sublimi, ma anche di una morbosità che li spinse a distruggersi a vicenda. Un amore tempestoso, segnato da momenti di grande vicinanza e da crisi profonde.
Nel 1896 la preferenza di D’Annunzio per Sarah Bernhardt per la prima francese de “La ville morte” fu un duro colpo per l’attrice. Nonostante ciò, il loro rapporto continuò, alternando passione, collaborazioni artistiche e rotture, fino al 1901, quando la relazione si spense definitivamente, lasciando in Eleonora un segno indelebile.




IMMAGINE GENERATA DA IA
ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA






 
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