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I RACCONTI DI ARTE PASSIONE

L’Incontro di Due Anime
Victor Hugo e Juliette
Drouet
Parigi, 15 febbraio 1833. Al Théâtre
de la Porte Saint-Martin, la giovane attrice Juliette Drouet,
recitava Lucrezia Borgia. Quella sera, tra gli sguardi in platea,
c'era quello di Victor Hugo, il drammaturgo che con le sue parole
stava riscrivendo il cuore della Francia...

Parigi, 15 febbraio 1833. Al
Théâtre de la Porte Saint-Martin, la giovane attrice
Juliette Drouet, nata Julienne Gauvain, calcava il
palcoscenico nei panni di Lucrezia Borgia, un ruolo che,
pur non esaltando il suo talento, metteva in luce la sua
bellezza magnetica e il suo corpo paradisiaco. I
suoi occhi scuri, incorniciati da lunghe ciglia,
sembravano contenere un universo di emozioni, e i suoi
movimenti, anche se non perfetti, catturavano gli
sguardi del pubblico. Tra quegli sguardi, quella sera,
c’era quello di Victor Hugo, il drammaturgo che con le
sue parole stava riscrivendo il cuore della Francia.
Victor, trentunenne, era già una figura imponente: alto,
con una chioma ribelle e uno sguardo penetrante. Il suo
matrimonio con Adèle Foucher, benché stabile, non
riusciva a contenere l’ardore che lo consumava. Quando i
suoi occhi incontrarono Juliette sul palco, qualcosa in
lui si accese, come un fuoco che attendeva solo il vento
giusto per ardere.
Dopo lo spettacolo, Victor si
fece strada tra i corridoi semibui del teatro. Juliette,
ancora avvolta dal costume di scena, era nel suo
camerino, intenta a sciogliere i capelli. Un colpo
leggero alla porta la fece voltare. Disse alzandosi:
“Chi è?” Lui aprendo la porta rispose: “Sono Victor
Hugo. Perdonate l’audacia, mademoiselle, ma non potevo
lasciare questo teatro senza dirvi quanto la vostra
Lucrezia mi abbia colpito.” Juliette lo fissò. Conosceva
la sua fama, aveva letto Hernani e Notre-Dame de Paris,
e ora eccolo lì, in carne e ossa, con un’intensità che
la disorientava. Timidamente disse: “Siete gentile,
monsieur Hugo, ma temo che il mio talento non sia
all’altezza delle vostre parole. Lucrezia non è stata la
mia interpretazione migliore.” Lui avvicinandosi
sussurrò: “Non parlo di tecnica, mademoiselle Gauvain.
Parlo di ciò che i vostri occhi hanno detto, di ciò che
il vostro silenzio ha gridato. C’è una verità in voi che
non si insegna nei conventi o sui palchi...” Juliette
a quel punto arrossì, incapace di proseguire la
conversazione. Lui parlò a lungo quella sera, di arte,
di Parigi, di sogni raccontandole delle sue battaglie
letterarie, del Romanticismo che voleva liberare l’anima
della Francia. Juliette, orfana, cresciuta tra
conventi e teatri, ora più calma, gli confidò il suo
desiderio di essere più di un volto bello, di trovare un
senso alla sua esistenza. Quando si salutarono, Victor
le prese la mano, sfiorandola appena: “Vorrei rivedervi,
Juliette. Domani, forse? Da Madame K., se vi aggrada…”
Lei quasi temendo le sue stesse parole annuì: “Domani,
forse. Vi darò conferma…”
Il giorno successivo,
il 16 febbraio 1833, Juliette inviò a Victor un
biglietto profumato di violetta: “Venite a trovarmi
stasera da Madame K. e stasera sarà tutto! Mi donerò a
voi tutta intera. J.” Quelle parole, scritte con una
mano tremante, erano più di una conferma di un incontro,
ma un atto di fede, un salto nel vuoto di un amore che
già intuiva totalizzante. Quella sera, in un
appartamento discreto di Madame K., in una stanza
illuminata solo da un candelabro, e con il freddo di
febbraio che si insinuava dalle finestre, Juliette
avvolta in un abito di seta attese Victor con il cuore
in gola. Quando lui entrò in ritardo con il suo cappotto
ancora umido di pioggia, i loro sguardi si incatenarono.
Lei disse: “Siete qui… pensavo che non sareste più
venuto…” Lui la guardò estasiato: “Non venire? Juliette,
dal momento in cui ti ho vista, non ho pensato ad altro.
Sei un fuoco che non posso ignorare.” Si sedettero
vicini, le parole che si intrecciarono come fili di
seta. Juliette gli parlò della sua infanzia, della
solitudine, del bisogno di avere una guida, di
appartenere a qualcosa di più grande. Victor, con la sua
voce profonda, le recitò versi improvvisati, come se
ogni parola fosse scritta per lei. Poi, senza preavviso,
il silenzio li avvolse, e le loro mani si trovarono.
Juliette sospirò: “Victor, io… non so cosa sto facendo,
ma so che ti voglio. Ti voglio con tutta me stessa.” Lui
le strinse forte le mani: “E io voglio te, Juliette. Non
come un capriccio, ma come un bisogno. Sei la poesia che
non ho ancora scritto.”
Juliette, con i capelli
sciolti che le cadevano sulle spalle come seta nera,
brillava alla luce delle candele con il suo corpo che
tremava, non di freddo, ma di un desiderio che le
bruciava dentro come una febbre. Victor, con il suo
sguardo intenso era lì, a pochi passi da lei, il suo
respiro già intrecciato al suo. Juliette lo guardava,
incapace di distogliere gli occhi. Ogni suo movimento
era una promessa, ogni parola un invito. Quando lui le
sfiorò il collo con la punta delle dita, lei sentì un
brivido scendere lungo la schiena, come se il suo tocco
stesse risvegliando ogni fibra del suo essere. Disse:
“Victor, sei sicuro di voler bruciare con me? Io… io non
so trattenermi...” Lui non rispose, ma la strinse a
sé e le sue labbra trovarono quelle di Juliette. Quel
bacio fu un’esplosione di sensi: caldo, profondo, un
misto di dolcezza e fame. Juliette era sensualità pura,
ogni suo gesto un canto del suo corpo. Le sue curve
morbide si muovevano contro di lui con una grazia che
non aveva nulla di studiato. La sua pelle, profumata di
desiderio, sembrava implorare di essere toccata,
accarezzata, venerata.
Victor, travolto, lasciò
che le sue mani esplorassero ogni centimetro di lei,
sciogliendo i lacci dell’abito che cadde come una
cascata di tessuto. Juliette ora nuda non si nascose,
non abbassò lo sguardo. Era lì, vulnerabile ma potente,
il suo corpo un’offerta e una sfida. I suoi seni, pieni
e perfetti, si alzavano al ritmo del suo respiro
affannoso; le sue cosce delicate si aprivano a lui con
una fiducia che era insieme abbandono e conquista. Ogni
tocco di Victor sembrava accenderla di più, e lei
rispondeva con gemiti sommessi, con sospiri che erano
musica, con movimenti che lo invitavano a perdersi in
lei. “Victor… non fermarti. Ti prego, portami via,
portami dove nessuno ci troverà.” E lui non si fermò. La
prese, la strinse, la baciò ancora. Juliette si
abbandonò completamente, la sua carne che rispondeva a
ogni carezza, a ogni bacio, ad ogni colpo con
un’intensità che sembrava trascendere il tempo. Quando
lui la penetrò, lei chiuse gli occhi, un grido soffocato
che le sfuggì dalle labbra. Il piacere la travolse come
un’onda, un’onda che non si placava, ma cresceva, si
moltiplicava. I suoi orgasmi arrivarono uno dopo
l’altro, come tempeste che si susseguono senza sosta.
Ogni spasmo era un’esplosione di luce, un momento in cui
il mondo si riduceva a loro due, al loro ritmo, al loro
respiro.
Juliette si aggrappava a lui, le unghie
che lasciavano segni sulla sua schiena, il suo corpo che
tremava sotto l’onda del piacere. Era estasi pura,
un’estasi che la scuoteva fino al midollo, che la faceva
sentire viva, desiderata, completa. Quando il piacere
raggiunse il suo apice, Juliette sentì il suo corpo
dissolversi, come se fosse diventata parte di lui, parte
di quell’istante perfetto. “Victor… non posso vivere
senza questo. Senza di te. Sei tutto… sei il mio tutto.»
Victor, ancora ansimante, le accarezzò i capelli.
“Juliette, sei la mia musa, la mia fiamma. Non ti
lascerò mai andare.” Ma Juliette, in quel momento, non
aveva bisogno di promesse. Il suo corpo, ancora scosso
dai fremiti del piacere, parlava per lei. Ogni battito
del suo cuore era un’ammissione che non avrebbe mai
potuto vivere senza di lui, senza il fuoco che le
accendeva la carne, senza l’amore che le aveva dato un
senso. Lei lo pretese di nuovo reclamandolo fino
all’alba e i loro corpi si fusero di nuovo. Juliette
si abbandonò a lui con una devozione che non conosceva
mezze misure, come se in quei momenti avesse trovato il
senso di ogni sacrificio, di ogni attesa. Victor,
travolto dal suo ardore, sentì che in lei c’era qualcosa
di più grande di qualsiasi verso avesse mai composto. Fu
una notte di promesse silenziose, di respiri profondi e
complici, di un amore che già portava il peso di un
destino eterno.
Da quella notte, Juliette Drouet
consacrò la sua vita a Victor Hugo. La sua devozione era
assoluta, quasi religiosa, un fuoco che non si spegneva
nemmeno di fronte alle infedeltà di lui o alle tragedie
della vita. Rinunciò alla carriera di attrice nel 1838,
scegliendo una vita ritirata, quasi monastica, in una
casa parigina dove passava il suo tempo attendendo solo
le visite di Victor. Ogni giorno, scriveva lettere –
migliaia, oltre 20.000 in cinquant’anni – che erano un
diario dell’anima: parole di amore, gelosia, dolore, ma
anche di una fedeltà incrollabile. Juliette, in una
lettera del 1835 scrisse: «Mio Victor, ogni istante
senza di te è un’eternità vuota. Ti amo con una forza
che mi spaventa, perché so che non potrei mai smettere,
nemmeno se tu mi spezzassi il cuore.»
Anche
quando Victor si allontanò, preso dalla mondanità
dell’Académie Française o dalle braccia di altre donne
come Léonie d’Aunet, Juliette non vacillò. La sua
gelosia era feroce, certo, ma il suo amore era più
grande. Quando Léonie inviò a Juliette le lettere
d’amore di Victor, lei sprofondò nella depressione, ma
trovò la forza di perdonarlo, scrivendo: “Ogni foglia di
questo bosso contiene il perdono di quei sette anni che
tu hai rubato al mio amore.” Fino alla fine, nel 1883,
Juliette rimase al fianco di Victor, anche quando il suo
corpo, devastato dal cancro, non le dava tregua. La sua
ultima lettera, scritta il 1° gennaio di quell’anno, era
un testamento d’amore: “Non so dove sarò l’anno
prossimo, ma sono felice e orgogliosa di firmarti il mio
certificato di vita con questa sola parola: ti amo.”
Quella notte del 1833 non fu solo l’inizio di una
passione, ma il primo capitolo di un amore che sfidò il
tempo, i tradimenti e la morte. Juliette e Victor, due
anime indivisibili, unite dalle prove della vita,
lasciarono al mondo un’eredità di parole e sentimenti
che ancora oggi bruciano come una fiamma eterna.
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GENERATA DA IA
ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA


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