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I RACCONTI DI ARTE PASSIONE
 
Quella MG Rossa fiammante
Alberto Giacometti e Caroline
Nel fumo denso di un bar di Montparnasse, nel novembre 1958, gli occhi neri di Caroline, torbidi e innocenti, incrociarono quelli di Alberto Giacometti. Lui, artista tormentato di 57 anni, vide in lei una musa; lei, giovane di 20 anni, trovò un’anima capace di sconvolgerla. Fu l’inizio di un amore che avrebbe bruciato ogni confine...



 
Nel 1958 a Parigi Alberto Giacometti era già una figura di spicco nel mondo dell’arte. Le sue sculture filiformi, che sembravano sfidare la gravità e il tempo, lo avevano reso celebre, un artista che scrutava l’essenza dell’umanità con occhi tormentati. Aveva 57 anni e viveva in un piccolo studio disordinato, ingombro di gesso, tele e schizzi, nel quartiere di Montparnasse.
La sua vita era un equilibrio precario tra la dedizione ossessiva al lavoro e un matrimonio stabile, ma privo di scintille, con Annette Arm. Annette, la sua prima modella, era una donna discreta, paziente, il cui amore per Alberto si era trasformato in una quieta accettazione delle sue eccentricità, incluse le sue frequentazioni con le prostitute dei caffè parigini. Lei conosceva le sue abitudini, ma chiudeva un occhio, convinta che quelle avventure fossero solo distrazioni passeggere. Alberto, però, era un uomo inquieto, sempre alla ricerca di qualcosa che sfuggiva alla sua comprensione, un’ossessione che si rifletteva nelle sue opere, nei volti scavati e nei corpi allungati che sembravano gridare un’esistenza fragile.

Dall’altra parte della città, Caroline, il cui vero nome, Yvonne-Marguerite Poiraudeau, viveva una vita molto diversa. A vent’anni, era una giovane donna dallo sguardo magnetico, con grandi occhi neri che sembravano contenere l’intera notte. Si muoveva tra i bar e i vicoli di Parigi con una sicurezza costruita, indossando pellicce e tacchi alti che la rendevano una figura impossibile da ignorare. La sua vita era un gioco di seduzione e sopravvivenza. Abituata a uomini che la desideravano solo per una notte faceva buon viso a cattivo gioco mostrandosi leggera, infedele e venale, e la sua esistenza era un vortice di notti insonni, risate fragorose e momenti di solitudine che teneva nascosti persino a se stessa.

Ma una sera di novembre del 1958, in un bar di Montparnasse, uno di quei locali fumosi dove artisti, poeti e anime perdute si mescolavano in un’ebbrezza di chiacchiere e vino, Caroline entrò come un’apparizione, avvolta in una pelliccia che scivolava appena sulle spalle, i tacchi che ticchettavano sul pavimento di legno. Alberto era seduto a un tavolo d’angolo, con un bicchiere di rosso in mano, lo sguardo perso nei suoi pensieri, forse già immaginando una nuova scultura. Quando i suoi occhi incrociarono quelli di Caroline, qualcosa si fermò. Lui, con i suoi capelli grigi e il volto segnato dal tempo, non era il tipico cliente. Lei, con la sua giovinezza sfacciata e il sorriso che prometteva guai, non era una donna qualunque.

Caroline si avvicinò e si sedette senza chiedere il permesso. “Tu sei quello delle statue lunghe, vero?” Chiese. Alberto sorrise e rispose: “E tu chi sei, che sembri appena uscita da un quadro di Modigliani?” Fu l’inizio. Parlarono per ore, dimenticando il tempo, il bar, gli altri. Lui era affascinato dalla sua vitalità, dalla sua mancanza di filtri, dal modo in cui lei sembrava vivere ogni istante come se fosse l’ultimo. Lei, invece, trovava in lui una profondità che non aveva mai incontrato, un uomo che non la guardava solo con desiderio, ma con una curiosità quasi sacra, come se volesse scolpirla dentro di sé.

Quella sera, Alberto la invitò nel suo studio. Non ci fu nulla di fisico, non subito. Lui la fece sedere su una sedia malconcia, sotto una lampadina nuda, e iniziò a disegnarla. Caroline, abituata a essere oggetto di desiderio, si trovò spiazzata: per la prima volta, qualcuno la guardava non per possederla, ma per comprenderla. I suoi tratti, i suoi occhi, la curva del suo collo divennero linee su una tela, e in quelle linee c’era già l’inizio di un’ossessione.

Da quel momento, la vita di Alberto e Caroline si intrecciò in un amore che era insieme carnale e spirituale, selvaggio e tormentato. Lui la chiamava “ma déesse”, la sua dea, la sua “dismisura”, una parola che racchiudeva tutto ciò che lei rappresentava: eccesso, bellezza, caos. Caroline posava per lui, trasformandosi in ritratti e sculture che sembravano catturare non solo la sua immagine, ma la sua essenza. Più di trenta dipinti, un busto: ogni opera era un tentativo di afferrare l’inarrivabile, di fermare il tempo che scorreva troppo veloce.

Lei, nel frattempo, lo trascinava nel suo mondo, fatto di notti parigine, bar clandestini, e corse sulla sua MG rossa fiammante, un regalo di Alberto per consolarla dopo un arresto. Quando il buio calava, Caroline guidava per le strade di Parigi, con Alberto al suo fianco, i capelli al vento, e gli mostrava il lato oscuro della città: vicoli illuminati da neon, locali dove la morale si dissolveva, anime che si perdevano nella notte.

Il loro amore era sensuale, sfrenato. Nel piccolo studio di Giacometti, tra tele e polvere di gesso, si amavano con una passione che non conosceva regole. Caroline, con la sua giovinezza e il suo corpo che sembrava sfidare ogni legge, accendeva in Alberto un fuoco che pensava spento. Lui, con la sua intensità, le sue mani che modellavano il gesso come se fosse carne, le dava un senso di eternità che lei non aveva mai conosciuto.

Ma era un amore complicato, fatto di gelosie e tradimenti. Caroline non smetteva di frequentare altri uomini, e Alberto, pur sapendolo, non la rimproverava. “A una prostituta non si deve rendere conto di niente.” Pensava, accettando ogni sua leggerezza, ogni suo capriccio. Quando lei finì in prigione per un furto, lui mosse mari e monti per farla uscire, senza mai un rimprovero.

Nel frattempo, Annette, la moglie di Alberto, soffriva in silenzio. Sapeva delle prostitute, ma Caroline era diversa: non era solo un’avventura, era un’ossessione. Alberto comunque non lasciò mai Annette, ma non rinunciò mai a Caroline. E Caroline, nonostante la sua infedeltà, si innamorò di lui. Sognava un figlio, un legame che li unisse per sempre, ma i medici confermarono che Alberto non poteva averne. “Non importa.” Gli diceva lei, “Sei il mio artista, il mio genio.” E lui, con un sorriso amaro, rispondeva: “Sei la mia dismisura.”

La loro storia durò sette anni, un fuoco che bruciò fino all’ultimo. Quando il cancro consumò Alberto, nel 1966, lui era un uomo svuotato, ma ancora pieno di lei. Negli ultimi giorni, nel corridoio di un ospedale svizzero le due donne si scontrarono reclamando il loro posto, ma Alberto mandò via Annette e chiamò Caroline. Fu lei a tenergli la mano. “La morte sta per venire a prendermi.” Mormorò Alberto, con un sorriso stanco. “Mi sono dato da fare per niente.” Caroline, con le lacrime agli occhi, gli strinse la mano più forte, come se potesse trattenerlo.
E mentre Alberto si spegneva di colpo quelle pellicce, quei tacchi alti furono solo un ricordo. La MG rossa sparì, come le notti di Parigi, ma i ritratti di Alberto rimasero lì, testimoni di una passione che ha avevano scolpito non solo il gesso, ma il tempo stesso.




IMMAGINE GENERATA DA IA
ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FONTI:
https://illuminations-edu.
blogspot.com/2013/04/genio-e-
modella-eterna-passione.html






 
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