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STORIE DI ROMA
 
IL DELITTO DI LUCIANA MONTI
Chi ha ucciso Luciana, la mora dell'Appia Antica?
Correva l’anno 1958, la donna fu trovata morta, con quattro ferite da arma da taglio, lungo l'Appia Antica tra i ruderi di Cecilia Metella immersa in una pozza di sangue con la gonna alzata e con ancora indosso le sue belle e vistose scarpe col tacco alto


 


Correva l’anno 1958, gli italiani canticchiavano ancora “Penso che un sogno così non ritorni mai più” brano che aveva trionfato all’ultimo festival di Sanremo. Già un sogno per molti ma non per tutti, perché c’era chi ogni giorno doveva fare i conti con la dura realtà. E infatti il 21 giugno di quell’anno lungo la via Appia Antica in località Torraccia una donna di 27 anni, Luciana Monti, soprannominata "la mora", perdeva la vita tra quei ruderi antichi di Cecilia Metella.

Vittima anche lei della legge Merlin, che era entrata in vigore solo quattro mesi prima ed aveva sbattuto in strada gruppi di disperate con tutti i rischi del caso. Ogni santo giorno dalla sua casa di Trastevere, Luciana raggiungeva l’Appia, ossia il posto che aveva scelto per svolgere il mestiere più antico del mondo. Certo sì, era la classica battona che aveva scelto quel luogo isolato per ricevere i clienti occasionali dentro un loculo intriso di storia romana, adatta in quel caso a consumare amplessi veloci al riparo da occhi indiscreti.

Luciana non era la prima puttana assassinata e sicuramente non l’ultima in quel periodo, al tempo infatti non era raro leggere suoi giornali le cronache con dovizia di particolari di omicidi di belle di notte. Come appunto quel giorno sull'Appia quando era stata accoltellata con ferocia inaudita chissà da chi. La trovarono due sue colleghe lungo quei ruderi alle 14,30 di quel sabato, poche ore prima del fischio di inizio allo Stadio Olimpico del derby Roma Lazio di Coppa Italia. Luciana era in posizione supina immersa in una pozza di sangue con la gonna alzata e con ancora indosso le sue belle e vistose scarpe gialle col tacco altissimo.

Vennero subito allertati i carabinieri di zona con il famoso pastore tedesco Dox, il quale annusò quel cadavere e subito puntò verso la marrana e tramite il suo fiuto infallibile fece ritrovare la borsetta della povera donna, aperta e senza più soldi dentro. All’anulare sinistro si notava la traccia bianca della fede e al polso quella dell’orologio per cui non vi fu alcun dubbio che il movente fosse una rapina compiuta da balordi.

Luciana era bella, tanto che per quella bellezza esagerata era diventata famosa in tutta Roma, e grazie al passa parola i suoi clienti, impiegati, artigiani e camerieri, provenivano dalle parti più disparate della città. I cronisti dell’epoca iniziarono subito a scandagliare nella sua vita privata, ma raccolsero solo poche informazioni: che aveva una sorella che faceva lo stesso mestiere, che era separata, che attualmente aveva un amante e che preferiva battere sull'Appia e quindi allontanarsi dalla zona dove abitava per non essere riconosciuta.

Quel posto isolato non era dei più tranquilli, lo sapeva Luciana, per cui aveva deciso di lavorare solo alla luce del sole accompagnata dal suo amante e protettore, Tullio, ma quella protezione si limitava soltanto ad accompagnarla e riprenderla al tramonto, lasciandola così, durante le ore di lavoro, in balia di balordi e disperati che frequentavano la zona. L’amore per quella bellissima donna era tutto lì. Tra l’altro Luciana era separata e l’amore per quell’uomo l’aveva portata a battere la strada così da aiutarlo economicamente.

La testimonianza confusa delle colleghe indirizzò le indagini dapprima verso un biondino con maglietta a strisce bianche e celesti e poi verso due uomini con i quali Luciana si era appartata durante quella mattinata. Venne rintracciato l’ex marito che faceva l’imbianchino e viveva con la madre. Si erano sposati nove anni prima, ma avevano iniziato subito a litigare, lui, geloso per quella bellezza appariscente, l’accusava di tradirlo al punto che non riconobbe il bimbo nato subito dopo il matrimonio. Comunque esibì un alibi di ferro lontano a quell’ora dal luogo del delitto.

Dopo di lui venne messo sotto torchio il compagno magnaccia, ma lui trasalì di fronte a quell’accusa assicurando e convincendo gli inquirenti di essere estraneo ai fatti e che lui e la povera Luciana erano accomunati da vero amore! Il commissario Fausto Petrelli, un uomo di mezza età con la faccia segnata da troppi caffè e notti insonni, lo aveva convocato e messo sotto torchio. L'aria era densa di fumo di sigaretta. L'uomo, un tipo magro con giacca di pelle logora e un ghigno che non riusciva a nascondere del tutto il nervosismo, si chiamava Tullio, ma tutti lo conoscevano come "il Lupo". Trasalì quando Petrelli gli sbatté sul tavolo la foto di Luciana, ancora viva, con quel sorriso che illuminava anche i ruderi più bui della Via Appia Antica.

“Allora, eri il suo protettore, no? L'accompagnavi al mattino e la riprendevi al tramonto. Bel modo di amare una donna, eh? Lasciarla lì in mezzo ai balordi mentre tu te ne stai al sicuro.” Il magnaccia si agitò sulla sedia, gli occhi che guizzavano verso la porta. “A commissa', ma che dice? Io e Luciana ci amavamo... era amore vero, giuro! Non come quelle storielle da quattro soldi. Luciana era proprio bona, me la invidiavano tutti, i clienti facevano la fila! Alta, con quelle curve che ti facevano girare la testa, e quegli occhi neri che ti ipnotizzavano. Io la guardavo e pensavo: "Questa è roba mia, solo mia".
Petrelli inarcò un sopracciglio, accendendo un'altra sigaretta. “Amore vero? E allora perché la lasciavi sola lì fuori, eh? Con i balordi, i disperati... chiunque poteva avvicinarla. Due clienti quella mattina, dicono le colleghe. E tu dove eri?”

“Io l'amavo, commissa'! La proteggevo come potevo. La portavo lì all'alba, le dicevo: "Sta' attenta, amore mio, che il mondo è pieno di stronzi". E al tramonto ero lì puntuale, con la macchina, a riprenderla. Lei mi sorrideva, stanca ma felice, e mi dava i soldi per aiutarci. Era separata, sa? Quel cornuto dell'ex marito l'aveva rovinata, con le sue gelosie. Ma io... io ero diverso. Luciana era la mia regina. Me la invidiavano, glielo giuro! I ragazzi del quartiere dicevano: "Lupo, come fai a tenertela? È una bomba!" E i clienti... madonna, facevano la coda! Beh sì, si dava tutta, ma il suo cuore non lo dava a nessuno, era solo mio!”

Il commissario spense la sigaretta nel posacenere stracolmo e ne accese subito un’altra. Sul tavolo, tra le foto di Luciana e i verbali, fece scivolare due nuove polaroid: una di Maria “la zinnona”, cicciona e sorridente con un boa di strass al collo, e l’altra di Rita “la bionda”, capelli ossigenati e labbra rifatte, in posa su un marciapiede di Porta Maggiore. “Sì amore... ma fammi il piacere! Guarda che sappiamo tutto... Tu non avevi solo Luciana, eh? Sappiamo di Maria e Rita... solo amiche?”

Tullio deglutì, il pomo d’Adamo che gli ballava nella gola magra. Si passò una mano tra i capelli pieni di brillantina, cercando di mantenere il ghigno da duro, ma gli tremava il labbro. “Ma queste non erano niente, le proteggevo soltanto...” Biascicò. “È il mio lavoro, commissa’."
Petrelli lo interruppe con un gesto secco della mano. “Il tuo lavoro? Sentiamo. Maria la zinnona, settanta chili di carne e profumo da quattro soldi, la facevi battere sul Lungotevere. Rita la bionda, invece, stava a Porta Maggiore vicino al deposito dei tram. Due zone diverse, due giri diversi. Come facevi a proteggerle?” Il magnaccia si agitò sulla sedia, ma non disse nulla.

“Tre donne, tre zone, tre vite diverse. E tu il grande protettore. Ma con Luciana era “amore vero”, giusto? Le altre due solo... amiche di lavoro?”
“Luciana era una cosa diversa, commissa’.”
“Ecco hai detto bene! Una cosa… E l’hai lasciata sola… Le colleghe parlano di un biondino e di altri due con cui si è appartata. Tu conoscevi il biondino?” Tullio il magnaccia scosse la testa vigorosamente, le mani che tremavano leggermente. “No, commissa', giuro sulla Madonna! Io ero via, dovevo fare un lavoretto con mi’ cugino. Ma Luciana... era bona, troppo bona per quel mondo schifoso. I clienti impazzivano per lei. Io le dicevo di stare attenta, ma lei andava co’ tutti per farmi felice... Anche due insieme... Però l'amavo, capisce? L'amavo più della mia vita! Non le avrei mai tolto un capello. Era il mio tesoro, la mia luce in mezzo a 'sta merda di strada.”

L'interrogatorio andò avanti per ore, con Tullio che ripeteva ossessivamente le stesse frasi, come un disco rotto: l'amore vero, la bellezza di Luciana, l'invidia degli altri, i clienti in fila. Alla fine, il commissario lo lasciò andare. Alibi solido, testimoni che lo collocavano lontano dalla Via Appia a quell'ora approssimativa. E poi, chi si sarebbe scomodato per una puttana? Il caso si arenò lì, restò un mistero, come il cuore di quella strada antica. Nient’altro, perché Luciana era una puttana per cui nessuno si prese l’obbligo di indagare ulteriormente, tra l’altro non si riuscì a stabilire con precisione neanche l’ora della morte

Le indagini vennero subito archiviate in un nulla di fatto. Nessuno venne rinviato a giudizio e l'autore del delitto non fu identificato. Di Luciana Monti di anni 27, prostituta abituale schedata, non se ne parlò più fino a quando nel luglio del 1987 l'Unità pubblicò un articolo in cui un disturbato mentale, ricoverato presso una Casa di Cura psichiatrica, confessava dopo trent’anni il delitto, non commesso da lui, ma da un suo amico biondo nel frattempo morto. La confessione era abbastanza argomentata e puntuale rispetto alle testimonianze dell’epoca. Insomma lui e il biondino quella mattina passeggiando sull’Appia Antica avevano notato quella bellissima donna e si erano appartati con lei per consumare entrambi un rapporto sessuale.
La Polizia riaprì le indagini, ma non si seppe mai il motivo di quell’atroce delitto né tanto meno le circostanze che avevano portato i due ad uccidere Luciana. Praticamente nulla tanto che l’indagine fu nuovamente archiviata e la povera Luciana Monti, prostituta abituale, venne dimenticata per sempre.




IMMAGINE GENERATA DA IA
L'articolo è a cura di Adamo Bencivenga
FONTI:

https://opinione.it/politica/2015/09/03/
randazzo_politica-03-09/
Enzo Rava - Roma in cronaca nera











 
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