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RACCONTI D'AUTORE
 


Adamo Bencivenga
La Mano de Dios



 


 
Alle volte mi chiedo perché lo faccio, altre che devo assolutamente essere una donna diversa. Mi dico: “Dai Ana, la bellezza non si misura necessariamente cercando a tutti i costi le attenzioni degli uomini.” Capita però che nei momenti difficili non c’è ragione che tenga.

Ho 37 anni, sono argentina, madre di due figli ancora adolescenti, al tempo sposata con un uomo che mi amava più di se stesso. Mora, altezza media, non passo di certo inosservata anche perché ho sempre dedicato una cura particolare al mio aspetto e ho sempre cercato di vestire mettendo il risalto la mia femminilità, anche perché nel mio paese di origine, nessun uomo giudicherebbe una donna da cosa indossa.

Lavoravo in un piccolo bar ai Parioli, un quartiere molto elegante di Roma. Ogni mattina prendevo il mio autobus e puntuale mi recavo al lavoro. Non ho mai fatto ritardo, mai preso un permesso e il titolare era molto fiero ad avermi assunta. Al lavoro le avances da parte dei clienti non mi mancavano, ma il più delle volte sorridevo e facevo buon viso a cattivo gioco.

A quel tempo, da quando ero in Italia, non avevo mai tradito mio marito. Lui è italiano ed è una persona buona, l’unico difetto era che non riusciva a trovare un lavoro stabile e si arrangiava qui e là con lavoretti poco retribuiti, ma si rendeva ugualmente utile aiutandomi nelle faccende domestiche e venendo a prendermi ogni sera a fine lavoro. L’avevo conosciuto ad una festa di miei connazionali e appena tre mesi dopo ci sposammo perché rimasi subito incinta.

Dicevo, nonostante fossi molto corteggiata, rimanevo sempre sulle mie e l’unico a cui concedevo qualche confidenza era il mio datore di lavoro. Vittorio aveva oltre 20 anni più di me, sempre galante, la mattina mi accoglieva con un sorriso e un cappuccino fumante dicendomi che ero bellissima e che facevo bello il suo giorno. Ovvio quelle parole mi facevano immensamente piacere, ma tra noi non c’era stato mai altro, anche se sapevo che era un tipo sopra le righe. Sensibile al fascino femminile, considerava le donne come una conquista, ma con me si era sempre comportato bene.

Una mattina però entrando stranamente non lo vidi seduto alla cassa. Chiesi informazioni al mio collega, ma lui non seppe dirmi nulla. Verso le dieci mi chiamò. Con la voce rotta di pianto mi disse che quella notte sua moglie se ne era andata di casa dopo 25 anni di matrimonio. Non me lo disse chiaramente, ma capii dalle sue parole che sua moglie, stanca dei suoi continui tradimenti, aveva pensato bene di fare le valigie tornando da sua madre. Poi mi disse più volte: “La mia vita non ha più senso. Non so quando tornerò al bar.” Le risposi quanto il tempo in questi casi fosse la medicina giusta, e che avrebbe dovuto solo aspettare, ma egoisticamente ero preoccupata, perché credevo che lui, lasciandosi andare, avrebbe rinunciato per sempre al bar. Tra l’altro non aveva figli per cui temevo che l’unica soluzione fosse quella di vendere il locale.

Infatti per un mese intero non si fece vedere, c’erano le fatture da pagare, rifornire il magazzino e i clienti iniziarono a scarseggiare. Temendo di perdere il lavoro lo chiamai cercando di rendermi utile, ma lui attaccò quasi subito. Provai di nuovo la settimana successiva, ma senza risposta. Dopo altri dieci giorni si presentò lui al bar e seduto su una panca nel retrobottega mi disse che aveva apprezzato i miei tentativi: “Ana sei l’unica persona che mi può consolare ed aiutarmi a superare questo momento!”

Premesso che per me era una cara persona, ma non nutrivo alcun trasporto particolare verso di lui, gli risposi che avrei fatto qualsiasi cosa pur di rivederlo sorridente seduto alla cassa che scherzava con tutte le clienti del bar. Lui mi guardò fisso negli occhi e mi disse: “Tu sei diversa da tutte loro.” Poi prendendomi la mano
mi chiese: “Sai cosa vuol dire il detto chiodo schiaccia chiodo?” Certo che lo sapevo, ma aspettai di capire le sue intenzioni. Allora mi disse: “A fine turno non andare via. Ti aspetto qui.”
Così feci, ma, felice per quelle attenzioni e confusa su come avrei potuto rendermi utile mi dimenticai di avvisare mio marito. Finito l’orario di lavoro andai in bagno, tolsi il grembiule e nel piccolo specchio per pura vanità mi diedi un tocco di trucco e un leggero rossetto. Lui ancora seduto sulla panca del retrobottega mi disse di aspettare che il collega fosse andato via sussurrandomi all’orecchio: “Sai che sono due mesi che non faccio l’amore?”

Quella frase chiarì i miei dubbi e in quel momento se avessi voluto avrei potuto salutarlo e andare da mio marito che mi stava aspettando fuori, ma pensai al mio posto di lavoro, unico sostentamento per la mia famiglia e non mi feci pregare quando, quasi scusandosi, prima mi baciò sulla guancia e poi mi disse che se fossi stata carina con lui tra noi sarebbe potuto iniziare una bella storia fatta di complicità e reciproca soddisfazione.

Non voltai la faccia nemmeno quando sentii la sua lingua intrufolarsi tra le mie labbra. A quel punto lui, incoraggiato dalla mia disponibilità mi prese per i fianchi e mi avvicinò a sé, ma la cosa che non avevo previsto fu il suo modo di fare diretto e senza fronzoli, quando, immediatamente dopo, senza chiedermi nulla, si sbottonò i pantaloni ordinandomi di proseguire da sola.
Beh sì in un certo senso lo avevo previsto, ma mi ero immaginata tutt’altra situazione, certo, non è che mi aspettassi qualcosa di romantico, ma di sicuro in quello squallido retrobottega con lui seduto su quella panca e le sue parti intime penosamente a riposo non era certo una bella visione. Insomma quella vista non era per nulla l’emblema della passione e della virilità e lui vedendomi perplessa si giustificò dando la colpa all’abbandono di sua moglie, ma allo stesso tempo mi disse che solo il mio calore di donna avrebbe potuto farlo sentire di nuovo uomo.

Imbarazzata sorrisi e lui per tranquillizzarmi mi disse che comprendeva il mio disagio aggiungendo subito dopo che non pretendeva altro da me che la mia mano sinistra. Sorpresa gli chiesi il motivo, ma non ottenendo risposta e comunque decisa a rendermi utile mi sedetti accanto a lui, poggiai la borsa in terra, e con la mano sinistra mi diedi da fare. Lo afferrai delicatamente e cercando di andare al ritmo dei suoi sospiri gli feci immediatamente un certo effetto tanto che lo sentii crescere tra le mie dita e nonostante non fosse in piena erezione arrivò subito all’orgasmo.

Mi ringraziò più volte, elogiò la morbidezza e il velluto della mia mano e vedendo la mia fede intrisa del suo seme mi disse quanto si sentisse gratificato dal fatto che mio marito mi aspettasse fuori, ovviamente ignaro di cosa stessi facendo. Beh sì immaginai quanto per lui la situazione potesse essere soddisfacente, comunque non dissi nulla, mi pulii la mano con un fazzoletto di carta ed uscii dal bar.
La cosa strana fu che quando vidi mio marito seduto in macchina non avvertii alcun senso di colpa. In fin dei conti mi ripetevo che lo avevo fatto anche per lui e soprattutto per i miei figli, ma nel mio intimo più profondo sapevo quanto fosse stata utile per Vittorio la sua presenza inconsapevole.

A casa come tutte le sere feci l’amore con mio marito, ma non riuscii ad abbandonarmi a lui, non lo guardai mai in faccia e lui ad un certo punto mi chiese conto di quella freddezza. Le dissi che ero preoccupata per il lavoro, ma in realtà pensavo a Vittorio e perché mai gli avessi dato solo la mia mano. Certo lui per timore della mia reazione non mi aveva chiesto altro, ma in cuor mio sapevo benissimo che in quello stato d’animo di marito ferito qualsiasi uomo avrebbe desiderato una donna più materna che lo coccolasse e lo accogliesse nel calore delle sue grazie.

Durante il rapporto con mio marito chiusi gli occhi e ripensai a quella scena e nonostante non avessi avuto alcun piacere e Vittorio si fosse ben guardato dal procurarmelo incredibilmente mi eccitai sentendo quei dettagli più intensi e appaganti dei quotidiani rapporti completi con mio marito. Insomma era un fatto più mentale che fisico perché era bastata solo una mia mano per dispensare piacere e rendere un uomo felice.

La mattina andai regolarmente al bar e fui contenta quando lo vidi seduto alla cassa. Pensai a quanto una stupida mano avesse potuto fare effetto, ma per ogni evenienza quella mattina convinta che durante la giornata avrei ricevuto altre avances avevo evitato di indossare l’intimo, non tanto perché prevedessi chissà cosa, ma solo perché credevo che quel gesto valesse più di mille parole circa la mia disponibilità.

Non ce ne fu bisogno perché durante una pausa di lavoro lui si avvicinò al banco e stringendomi la mano mi disse quanto fossi stata importante per lui e che non desiderava altro che sentire di nuovo la delicatezza e la bravura della mia mano. Poi sottovoce mi sussurrò di trattenermi qualche minuto in più a fine turno e di non avvertire mio marito.

Chiuso il bar andai in bagno e, invece di truccarmi, il mio unico pensiero fu quello di lavarmi più volte le mani. Come il giorno prima lo trovai seduto sulla panca del retrobottega e senza che mi dicesse nulla gli sbottonai con cura la patta dei pantaloni, inginocchiandomi gli chiesi se avesse desiderato qualcosa di più, ma lui mi accarezzò amorevolmente i capelli e mi pregò di sedermi accanto a lui. Non feci più caso allo squallore del posto e impaziente di dargli piacere sbadatamente lo afferrai con la destra. Lui sorrise pregandomi di cambiare mano: “Tu hai la mano de Dios.” Disse chiudendo gli occhi. Così feci e con la mano sinistra gli procurai un orgasmo immediato.

Quando tornai in macchina e baciai mio marito mi chiesi se accontentare un uomo con la sola mano lo dovessi considerare ugualmente un tradimento. Del resto non ero coinvolta sessualmente e lui non toccava nessuna parte del mio corpo, semplicemente mi sembrava un gesto solo meccanico come afferrare il collo di una bottiglia per stapparla o girare il pomello della leva della macchina del caffè.

Ma i dubbi continuarono e allora ripensai all’apprezzamento di Vittorio nella mia lingua, la mano de Dios involontariamente aveva dato la soluzione ai miei problemi morali infatti come il mio idolo e connazionale Maradona, colta in flagrante, avrei potuto giustificare quel gesto sbagliato e peccaminoso asserendo che non fosse la mia mano, ma quella di Dio.

La cosa andò avanti per varie settimane, sotto la guida di Vittorio iniziai ad
affinare la mia tecnica e felice di essere utile al suo piacere e al mio posto di lavoro pian piano scomparvero tutte la mie riserve morali. Ma la cosa sorprendente fu entrare in simbiosi con Vittorio toccando le corde della pura trasgressione. Infatti, pur non essendo coinvolta fisicamente ebbi i miei primi orgasmi concentrandomi sui due fattori che, comunque appaganti, sostituivano l’amore fisico ossia che da lì a poco lui col suo piacere mi avrebbe bagnato la fede e che mio marito ignaro di tutto stesse fuori ad aspettarmi.

Ne parlai con Vittorio perché nonostante tutto tenevo a mio marito e in un certo senso il mio bene nei suoi confronti non era per nulla diminuito. Gli chiesi come tutto ciò potesse avvenire, ma lui mi rispose che non c’era tradimento senza complicità e non c’era complicità senza un piccolo segreto. La sera a casa però non seguii il suo consiglio e durante l’amore confessai a mio marito il motivo della mia ora di straordinario. Lui non fu affatto d’accordo che offrire la mano fosse diverso dalle altre parti del corpo o che avesse lo stesso valore che afferrare il pomello della macchina del caffè per cui mi piantò all’istante lasciandomi sola con i miei due bambini.

Ebbi un periodo di sbandamento, ma poi convinta che avrei potuto farcela da sola ripresi il mio lavoro rispettando quel rituale a fine turno con Vittorio e lui non mi chiese mai altro se non la mano de Dios. Poi però quando seppe che ero separata non ebbe più la spinta giusta: “Sai Ana, per me la complicità rappresenta un valore assoluto in amore, ma ci rinuncio volentieri perché sono convinto che altri sapranno apprezzare la tua mano.”
Pensierosa girai ripetutamente la fede che ancora portavo pensando che più del mio seno generoso, delle mie gambe dritte e della mia bocca sensuale il destino aveva deciso che il mio potere di seduzione risiedesse tutto in quella mano.

E fu proprio quella mano a farmi sentire padrona delle situazioni quando lui, lasciando definitivamente il bar, mi affidò la responsabilità di tutta l’attività. Pensai subito a come risollevare le sorti del locale e quando glielo proposi Vittorio fu entusiasta delle mie idee e mi diede campo libero.

Così mi misi subito al lavoro e nel giro di un mese ristrutturai tutto il locale cambiando l’arredamento e feci diventare il bar un’elegante sala da tè in cui i clienti potevano intrattenersi avvolti in un’atmosfera rilassante. Trasformai il retrobottega in una saletta riservata con luci calde e soffuse sostituendo la panca con un comodo divano. All’esterno feci montare una targa dorata in cui campeggiava una scritta a caratteri neri in corsivo: “La mano de Dios.” L’iniziativa ebbe immediatamente successo e sin dal primo giorno ebbi la fila fuori di clienti curiosi di assaggiare i miei tè pregiatissimi, conversare maliziosamente con la sottoscritta, ma soprattutto scoprire cosa si celasse dietro quella scritta: “La mano de Dios.”








Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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