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RACCONTI 
Adamo Bencivenga
Il cielo in una
stanza
Un risveglio dolce, intriso d’amore
e routine, si scontra con l’imprevedibile caos di una Roma piovosa.
Tra il traffico, i ricordi di un amore passionale e i sogni di un
weekend perfetto, il protagonista si muove ignaro verso una scoperta
che cambierà tutto. La voce di lei, che canta d’amore, nasconde un
tradimento che spezza il cuore e il ritmo di una vita apparentemente
perfetta.

Sono le sette e
trentacinque suona la sveglia, come ogni mattina a
fatica mi alzo, ti guardo, tu stai dormendo, con quei
boccoli biondi sembri davvero un angioletto. Ma sì lo
sei davvero il mio angelo caduto in terra! Strappi
tenerezze, come vorrei rimanere sotto le coperte con te,
abbracciarci, baciarci e poi lasciarmi andare alle
coccole, quelle assonnate di primo mattino, quelle che
fanno bene all’anima e al corpo.
Cavolo devo
alzarmi, ma mi consolo pensando che oggi è venerdì,
domani non si lavora, che bello due giorni interi di
riposo. Io e te amore mio! Cerco di non fare rumore,
non voglio svegliarti. Sei così serena quando dormi. Che
bella che sei! Vado in bagno, mi preparo, poi in
cucina metto sul gas la moca. Un caffè al volo prima di
uscire. Annuso intensamente il vapore che esce, mi
scalda l’anima e le ossa, lo faccio ogni mattina, poi mi
stiro, guardo l’orologio è maledettamente tardi, mi
sbrigo.
Alle otto e dodici esco di casa, tu stai
ancora dormendo, chiudo con cautela la porta, no, no,
sarebbe un delitto svegliarti. Dormi amore mio. Scendo
le scale, canto pensando al week end, nel giardino
condominiale incontro il Signor Mario, mi dice che
stanotte ne ha buttata come Dio comanda! Gli dico che un
tuono tremendo mi ha svegliato verso le quattro e lui
laconico risponde: “Già, è tempo suo!”
Salgo in
auto. Parto. C’è traffico, piove ancora, piove da una
settimana ininterrottamente, le strade sono allagate,
evito qualche pozzanghera. Ripenso a ieri sera… “Quando
sei qui come, questa stanza non ha più pareti, ma
alberi, alberi infiniti quando tu…” Mi sembra di
ascoltare ancora la tua voce, sensuale, eccitata. Sono
anni che quando facciamo l’amore tu in preda al
desiderio guardi il soffitto e canti “Il cielo in una
stanza”. Lo fai sempre. Mi dici che non puoi farne a
meno e che la canti perché ti senti leggera e ti sembra
di volare. Dio quanto sei bella quando fai l’amore!
Sorrido, sono contento. Purtroppo qualche
centinaio di metri più avanti la brutta sorpresa.
All’incrocio con la Via Cassia la strada è intasata,
rimango bloccato, il tempo passa, dopo circa mezz’ora
dai vetri appannati scorgo un vigile urbano in moto, con
fare brusco mi fa cenno di tornare indietro, abbasso il
finestrino, chiedo spiegazioni, lui si avvicina e mi
dice che si è aperta una voragine poco più in là e non
c'è possibilità di proseguire.
Dio che faccio? È
già tardi, avevo un appuntamento di lavoro alle nove e
mezzo, la solita rottura di scatole del venerdì.
Comunque con difficoltà mi faccio spazio e giro, torno
indietro per un chilometro, poi prendo una stradina
laterale. Sono in mezzo al nulla, palazzi in costruzione
e tanto verde, ma qui sembra che l’ingorgo non ci sia,
la strada, solo a tratti asfaltata, sembra libera.
Incrocio le dita. Accelero per quanto posso. “Quando
sei qui con me…” La tua voce mi accompagna. Ti penso nel
letto che sonnecchi. Oggi, mi hai detto, che non hai
impegni di lavoro e che saresti rimasta a casa. Ti penso
con la tua camicia da notte rosa. Dio come sei bella!
Mi guardo dentro lo specchietto retrovisore, rido e
penso di essere stato davvero molto fortunato ad
incontrarti. Te lo ricordi vero? In quel locale a
Sabaudia insieme ad altri nostri amici. Era il
compleanno di tua sorella Irene. Io al tempo ero
fidanzato con un’altra nostra compagna di scuola, ma tu
mi hai rapito, il tuo sguardo, il tuo modo di fare, il
tuo viso, le tue gambe… Beh si ci siamo baciati di
nascosto nella toilette del locale, è stato magnifico.
Da quel momento ho pensato solo a te e il giorno dopo
non ho avuto dubbi, ho lasciato l’altra al telefono e
sono corso subito da te.
Ora sono passati tanti
anni, ma sembra ancora il primo giorno. Sì certo siamo
cambiati, siamo diventati più adulti, ma l’amore è
sempre lo stesso. Guardo il cielo è tutto nero compatto,
ma nonostante questo tempo da schifo stasera voglio
uscire con te, stavo pensando di andare a Fregene a
mangiare pesce nel nostro solito ristorante. Poi ti
mando un messaggio. So che non ti piacciono le sorprese
e non voglio che tu metta una scusa. Stasera te lo giuro
facciamo i fidanzatini come se fosse San Valentino…
Il traffico ora scorre a tratti, sono le nove e
venti, cavolo sto facendo tardi, non voglio mancare
all’appuntamento. Ho fretta. Prendo un’altra strada:
“Quando sei qui con me, questa stanza non ha più pareti
ma alberi…” Sono decisamente su di giri. Chiamo in
ufficio: “Salvo imprevisti ancora mezz’ora ed arrivo.”
La segretaria mi dice che oggi è un caos, molti colleghi
stanno facendo ritardo. Sembra che la metro sia
bloccata. Beh mi consolo. Ti penso, forse ora ti starai
vestendo. Magari hai messo quella gonna corta gialla che
a me piace tanto. Un tocco di rossetto e via… Sono quasi
dispiaciuto che non posso vederti ora! Ieri sera mi hai
detto che ti saresti alzata tardi e che poi ti saresti
dedicata la giornata senza fare nulla. Vabbè amore mio,
ho deciso, sbrigo velocemente gli appuntamenti più
importanti e poi torno a casa. Ti voglio tutta per me
oggi!
Oh no, cavolo non ci voleva. Sul
lungotevere un altro intasamento, ma qui non c’è via
d’uscita. Un signore con una macchina nera di grossa
cilindrata è spazientito, si agita, abbassa il
finestrino e mi dice che ha sentito alla radio che è
tutto bloccato fino a Ponte Garibaldi. Poi imprecando se
la prende col Sindaco, la giunta e poi con tutto il
governo! Beh sì ci sta, quando piove il governo è ladro
per definizione.
Cerco di mantenere la calma, ma
cavolo che iella, non ci voleva! Aspetto, spengo il
motore, faccio qualche telefonata, prendo un
appuntamento col dentista per lunedì pomeriggio per la
solita pulizia dei denti, prenoto un’ora di padel con il
mio maestro, ma il tempo scorre veloce, oramai sono
quasi due ore che sono in macchina. Chiamo la mia
segretaria, le faccio disdire tutti gli appuntamenti
della mattina. Pazienza. Mi devo rassegnare. Lei mi dice
che in tv hanno detto che il Tevere è esondato a tratti
verso Ponte Milvio, beh sì, la situazione si sta facendo
piuttosto seria. È inutile a questo punto andare oltre.
Scuoto la testa, aspetto ancora qualche minuto, si
riparte, ma è un breve tratto, allora decido di tornare
a casa. Chiamo di nuovo in ufficio, ecco fatto, con un
colpo di spazzola tutti i miei problemi sono rimandati a
lunedì.
La strada di ritorno è completamente
libera. Sono incazzato, ma penso a te, mi dico che non
tutto il male viene per nuocere. Chissenefrega del
lavoro, dell’ufficio! Prima di arrivare a casa mi fermo
dal fioraio, prendo una dozzina di rose gialle a gambo
lungo, le tue preferite! Parcheggio sotto casa, un altro
scroscio improvviso mi bagna completamente. Percorro di
corsa il vialetto del giardino con il mazzo di rose in
mano. Il signor Mario con indosso una mantella nera e un
arnese di ferro in mano sta togliendo delle foglie dal
tombino intasato. Lui impreca, ma io rido. Penso a te,
al destino, alla fortuna sfacciata. Zuppo salgo le
scale. Mi chiedo se sarai già uscita o come ti sei
ripromessa ieri stai ancora dormendo. Sono contento,
voglio farti una sorpresa. Per prima cosa cercherò un
vaso per i fiori e lo metterò al centro del tavolo in
sala da pranzo. Voglio che tu faccia colazione col
profumo di queste rose! Entro, giro la chiave, faccio
piano, non si sa mai. Sei una dormigliona e non mi
sorprenderebbe se avessi deciso di passare tutta la
mattina a letto.
Faccio qualche passo lungo il
corridoio. La porta della stanza da letto è socchiusa.
Sento la tua voce, è insicura, sembra quasi un gemito…
Di sicuro starai amabilmente chiacchierando al telefono
con la tua amica Sandra oppure con tua madre. Mi fermo,
rimango in silenzio, voglio farti una sorpresa. Mi
appoggio alla parete ancora con i fiori in mano. Con
il fiato grosso e il naso schiacciato sullo stipite
della porta guardo la stanza in penombra. Sento ancora
la tua voce, anzi no, ora mi rendo conto che le voci
sono due, l’altra è profonda.
Guardo meglio, mi
sembrano due figure, in meno di un secondo mi crolla il
mondo addosso, comprese nazioni e continenti, comprese
le rose che mi scivolano dalla mano. Non sei sola,
cazzo! Sei con un altro uomo! Ora distinguo le ombre,
sei di spalle, gli stai dicendo di stringerti così tanto
da impedirti di respirare. La tua voce è strozzata, ma
non ti ribelli anzi lo supplichi di continuare.
E se non fossi tu? E se fosse la donna delle pulizie? Ma
è solo un pensiero assurdo a cui mi aggrappo per qualche
secondo. Sono allibito, incredulo. Mai avrei creduto.
Barcollo, ma non è solo gelosia, è qualcosa di più, è
per come lo stai facendo, perché è un sesso rude, duro,
quasi violento, differente anni luce dal nostro amore
così delicato, così soffice e tenero come una rosa
adagiata tra i seni, come un fascio di luce che fa le
onde alla seta, come uno chignon sciolto lentamente in
una cascata di capelli.
Non so cosa fare, forse
potrei urlare, potrei insultarti, ma a cosa servirebbe?
Mi tremano le gambe, sbando, ma mi faccio forza e
continuo a spiarti, ora grondante di sudore, ora madida
di quel flusso magico che è la passione estrema. Dentro
il nostro letto ti giri, ti fai rivoltare, poi lo
cerchi, lo pretendi, gli dici parole irripetibili e ti
fondi bollente come lava, colante come cera. Il suo viso
ora è tra le tue gambe, tu godi, ad intermittenza godi,
ma non ti basta, ora sei sopra di lui, le dici di
strizzarti il seno, lo stai accogliendo, con le cosce
già pronte, divaricate, aperte, ecco così, da esperta,
come se non fosse la prima volta e di sicuro neanche
l’ultima se oggi il traffico non fosse impazzito…
Ecco è questo il momento e mentre godi sento un
dolore atroce, mi fa un male cane, mi ripeto che è solo
un incubo, che tra poco mi sveglierò… Mai avrei creduto,
mai mi sarei immaginato, ora lui è dentro di te, spinge
forte, il letto cigola, la spalliera sbatte contro la
parete e tu gemi, urli e, guardando il soffitto, a
fatica canti: “Quando sei qui come, questa stanza non ha
più pareti, ma alberi, alberi infiniti quando tu…” Poi
ti interrompi, riprendi, addirittura stoni.
Decisamente la cantavi meglio ieri sera.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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