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STORIE VERE

SONO L'AMANTE DI MIO
MARITO I casi della
vita non sono solo frutto del destino 
Lavoro in banca, e lì, tra
le scartoffie del primo piano della Direzione Generale,
ho conosciuto Marco. Era un ragazzo affascinante: alto,
moro, con la carnagione scura e un sorriso che metteva
allegria. Aveva 28 anni, come me, ed era socievole,
simpatico, con una capacità innata di farmi ridere.
Tra noi è scattata subito una sintonia speciale. Ci
trovavamo durante le pause, un caffè, qualche battuta, e
le giornate in ufficio si tingevano di leggerezza. Io
venivo da una relazione breve e finita male, lui invece
mi raccontò di una storia a distanza di poco conto.
Scoprivamo, chiacchierando, di avere tanto in comune:
gli stessi gusti musicali, gli stessi hobby, persino
esperienze simili a Londra e Barcellona. Stavo bene con
lui, così quando, dopo tre settimane, mi invitò a cena,
accettai senza esitare.
Quella sera, davanti a
un bicchiere di vino, mi parlò apertamente della sua
relazione. Stava con Maria, una donna del suo paese,
molto più grande di lui – quindici anni di differenza –
e sposata, con due figli piccoli. Si vedevano di rado,
in segreto, quando lui tornava al paese. La loro storia
durava da cinque anni, ma Marco mi rassicurò: era una
relazione senza futuro, e non dovevo preoccuparmi.
La sua sincerità mi colpì, ma allo stesso tempo mi
destabilizzò. Cinque anni non erano pochi. Tuttavia,
complice la serata calda, il vino, la sua gentilezza, mi
lasciai andare. I suoi baci mi travolsero, e da quel
momento nacque tra noi una complicità unica, un
entusiasmo che non avevo mai provato prima, una passione
che mi faceva perdere la testa.
Marco era bello,
alto oltre un metro e ottanta, con un fisico scolpito e
abbronzato, e a letto avevamo un’intesa perfetta. In
ufficio, non vedevo l’ora di finire il turno per passare
del tempo con lui, e le nostre serate si concludevano
sempre a casa mia o sua, abbandonandoci l’uno all’altra.
La nostra storia andò avanti per mesi, fino a quando
Marco mi chiese di trasferirmi da lui. Accettai con un
entusiasmo che non riuscivo a contenere, e quella sera
festeggiammo con un buon Grignolino rosso d’annata.
Eravamo ufficialmente una coppia e la mattina dopo,
ancora euforica, organizzai un incontro per presentarlo
ai miei genitori.
Tuttavia, la questione di
Maria restava irrisolta. Una sera gli chiesi di chiudere
quella relazione, ma lui mi disse che non ce n’era
bisogno perché da quando era con me non l’aveva più
sentita.
Quell’estate partimmo per una settimana
a Barcellona, ripercorrendo i luoghi che entrambi
avevamo visitato anni prima, separatamente. Era come
vivere un sogno. A Roma, le nostre serate erano piene di
vita: locali, cinema, pizze, spritz, passeggiate, musei,
concerti. Con gli amici, trascorrevamo weekend
indimenticabili nella mia casa al mare.
Tutto
sembrava perfetto, finché una sera notai Marco agitato.
Mi disse che doveva scendere al suo paese per firmare
dei documenti dal notaio per la vendita di una casa di
famiglia, ma il suo nervosismo mi insospettì. Presa dai
dubbi, gli chiesi se avesse sentito Maria. Lui giurò di
amare solo me e promise che avrebbe fatto di tutto per
non vederla.
Tornò dopo tre giorni, ma sotto il
mio pressing mi disse che si erano semplicemente
incontrati e salutati, ma poi sotto una specie di terzo
grado mi confessò che si erano visti in un motel e
avevano fatto l’amore. Rimasi senza parole. Era tarda
sera, mi vestii, presi le mie cose e tornai nella mia
vecchia casa, che per fortuna non avevo né venduto né
affittato. In banca presi una settimana di malattia, poi
una di ferie, mentre Marco mi tempestava di telefonate,
scusandosi e giurando che non sarebbe successo mai più.
Arrivò a coinvolgere i miei genitori,
presentandosi persino da mio padre e poi sotto casa mia
con un mazzo di fiori. Quando risposi al citofono, mi
spiazzò: “Mi vuoi sposare?” Dopo tanta insistenza,
cedetti. Tornai a vivere con lui, ma solo dopo che mi
giurò in ginocchio di aver chiuso con Maria. Tuttavia,
volevo una prova concreta e gli chiesi il suo numero.
Marco si oppose, dicendo che avrei rischiato di
distruggere una famiglia, e mi convinse che la loro
storia era finita. Non volendo ferire una madre di due
bambini, lasciai perdere ed accettai la sua proposta di
matrimonio.
Ci sposammo due mesi dopo, e un anno
più tardi nacque nostro figlio, Davide. Marco fu
promosso dirigente in banca, e io, su suo consiglio,
lasciai il lavoro per dedicarmi alla famiglia. Per
quattro anni vivemmo una vita quasi perfetta. Marco era
un marito attento, un padre amorevole. Poi rimasi
incinta di Serena, ma la gravidanza fu difficile,
costretta a letto per giorni.
In quel periodo,
iniziai a notare un cambiamento in lui: tornava tardi,
le nostre conversazioni si riducevano a poche parole.
Sospettai che avesse un’altra donna, forse una collega
giovane e affascinante che avevo conosciuto a una festa
aziendale. Decisa a confrontarla, glielo dissi. Lui
reagì con rabbia, dandomi della pazza, ma non mi
rassicurò come aveva fatto in passato.
Quella
notte, dopo ore di discussioni, crollò e confessò: non
aveva mai chiuso con Maria. Non solo: lei aveva lasciato
il marito e si era trasferita a Roma, nel nostro
quartiere, a due passi da casa nostra. Aveva vissuto una
doppia vita, promettendo a Maria che un giorno avrebbe
lasciato me. Il mio mondo si sgretolò. Gli ordinai di
andarsene, e lui, senza opporsi, uscì di casa.
Serena nacque in mezzo a mille difficoltà, assistita dai
miei genitori e mia sorella. Marco non si fece vedere né
quel giorno né per i due anni successivi, durante i
quali vissi come in trance, sostenuta solo dai miei
figli e dall’aiuto economico dei miei. Poi, una sera, si
ripresentò: voleva il divorzio.
Nel frattempo,
avevo conosciuto Carlo, un vedovo benestante, e stavamo
pensando al nostro futuro. Non ebbi problemi a
concedergli la libertà. Con l’aiuto di un avvocato amico
di Carlo, preparammo le carte per la separazione.
Mi sentii finalmente libera, e il mio rapporto con
Marco si trasformò in un’amicizia cordiale. Lo
incontravo al supermercato o quando veniva a prendere
Davide, e ci raccontavamo delle nostre vite con
leggerezza, scherzando sul fatto di essere entrambi con
partner molto più grandi di noi. Notavo in lui una certa
insoddisfazione, ma anche io, pur apprezzando Carlo, non
potevo dire di vivere con entusiasmo.
Un giorno,
per caso, ci incrociammo lungo la stradina di casa mia.
Mi invitò a salire in macchina per parlare del divorzio,
ma era una scusa. Mi propose un caffè, ma non arrivammo
mai al bar. Fermò l’auto in un parcheggio isolato e, con
un sorriso timido, disse: “Dio, come sei bella. Se ci
provo, che fai?” Non risposi, e le sue labbra trovarono
le mie. Fu un bacio lungo, intenso, che riportò a galla
tutto il nostro passato. “Stiamo facendo una pazzia,
vero?” sussurrai. Lui non rispose.
Non successe
altro quella volta, ma Marco iniziò a tempestarmi di
messaggi. Dopo due settimane, come due adolescenti, ci
incontrammo in un motel fuori città. Fu un’esplosione di
passione, come ai vecchi tempi.
Ora, con la
scusa dei figli, ci vediamo una volta a settimana.
Lasciamo Davide e Serena da mia madre e corriamo in quel
motel, dove il portiere, con aria complice, ci consegna
la chiave della stanza numero sette, la nostra
preferita. Pensa che siamo due amanti clandestini,
ignaro che Marco sia ancora mio marito, e io, in fondo,
la sua amante.
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Pur basato
sull'osservazione di temi sociali questo racconto
è opera di pura fantasia. Nomi, personaggi e
luoghi sono frutto dell’immaginazione
dell’autore e non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari e
persone è del tutto casuale. IMMAGINE GENERATA DA
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