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Adamo Bencivenga
La Giusta
Vendetta
Faccio tre volte il giro di casa, chiudo tre volte il
frigo e la stufa, come se partissi per una vacanza lontana, come se
stessi per un mese da un figlio, ma lo so che mi sto solo prendendo
in giro, perché non c’è nessuna partenza, ma solo qualcuno che giù
in strada m’aspetta…

Stasera davvero ho deciso
di uscire, lasciarmi alle spalle queste notti
biancastre, che lasciano all’alba insofferenze d’umore,
sussulti di cuore tra pentimento e rancore, per poi
trovarmi da sola a commiserarmi nel letto, a trovare
ragioni senza capirne più il senso. Davvero ora esco e
mi lascio guidare, dove la pioggia leggera mi bagna e mi
fa sentire più secche le membra inadatte, perché non ho
più trent’anni e non saprei dove andare, perché oltre i
quaranta ci sono solo parenti ed uno straccio di amica
per un tè o un consiglio, che mi farebbe sentire ancora
più sola.
Faccio tre volte il giro di casa,
chiudo tre volte il frigo e la stufa, come se partissi
per una vacanza lontana, come se stessi per un mese da
un figlio, ma lo so che mi sto solo prendendo in giro,
perché non c’è nessuna partenza, ma solo qualcuno che
giù in strada m’aspetta, e lo so che è sposato ed è
padre di bimbe, e conosco la moglie e mi si avvampa la
faccia, al pensiero che stasera potrebbe accadere oppure
domani se non mi sento già pronta. Ma giuro e stragiuro
che non ci esco per sesso, non voglio un incontro che
finisca in un letto, magari qui in casa o peggio in
albergo, perché sono anni che m’addormento da sola e qui
da tempo non c’è più l’odore di uomo, un frammento
nell’aria di schiuma da barba.
Intanto i miei
tacchi rimbombano in casa, apro le porte e raddrizzo il
Cascella, metto a posto gli occhiali lasciati nel bagno,
il libro sul letto, l’astuccio dei trucchi. Mi sento
agitata come quando bambina, allungavo la gonna per non
mostrare le gambe e mi riguardo allo specchio e mi
guardo le forme, m’appunto una spilla per non dare
nell’occhio, perché non voglio che lui fraintenda, che
il mio decolté vada oltre il buon senso, come fosse un
invito perché troppo scollato, da infilarci i pensieri
ed anche le voglie, di dirmi che sono uno schianto o una
bomba, di dirmi che donna, appena mi vede.
Ma
allora perché ho accettato? Perché mi sono infilata in
questo vicolo cieco? Ne ho d’occasioni sparse ogni
giorno, dal collega sposato al giornalaio galante.
Quante davvero senza prestarci attenzione e quante
rifiuto con un cortese diniego. Ed invece eccomi qui che
tremo ed esito ad uscire, con chi spera di farsi magari
un’amante e farsela subito magari stasera e farsela in
piedi e farsela tutta, sollevando la gonna, contro un
muro all’ingresso o in un letto distesa, mentre fuori la
pioggia copre i gemiti caldi, anzi le urla d’una donna
in letargo, anzi le grida di una forma in penombra, che
da tempo sopita non conosce la luce.
Altrimenti
mi chiedo per quale remoto motivo m’abbia invitata per
giorni e inondata di rose e messaggi, e cuori rossi
scrivendo tesoro, scrivendo mia cara, ti penso e ti
voglio. Perché forse sapeva che non ti sarei opposta,
che il mio no era solo prendere tempo, perché in fondo
in fondo mi piace e m’intriga la corte di un uomo che
guarda ed apprezza, le mie gambe e le calze che fanno le
pieghe e lasciano agli occhi uno squarcio di sogno e
alle mani la voglia di risalire la trama.
Proprio
quelle mani tra le tante nel mondo, che libere vagano
ogni giorno nell’aria, che si ritraggono ed allungano la
loro pretesa, di stringere tutto o non stringere niente.
Se solo volessi abbandonarmi del tutto! Mi verrebbe da
dire che lì c’è sostanza, c’è carne, c’è pelle che
feconda le notti, c’è tatto di femmina che s’accontenta
di poco, perfino di nulla se mi risparmiassero dopo, di
dirmi chi sono e perché mai l’ho fatto, di raccontare
una vita per filo e per segno, da quando son nata e che
futuro m’aspetto. E giù fallimenti tra amarezza e
ragioni, disastri di anni e sogni di un’ora, essenza di
anima che ha bisogno d’amore, perché ci ricasco, sicura
che accade, nonostante una storia durata una vita,
nonostante un marito che m’ha illusa per bene, ed ancora
ci penso e porto la croce, lasciandomi un giorno poco
dopo il tramonto.
Che ci faccio ora qui vestita
di nero? Che ci faccio ora davanti allo specchio? Spengo
la luce ma sono ancora indecisa, squilla il telefono ed
è lui che mi chiama. E’ qui sotto e s’è fatto
impaziente, forse crede davvero che ci stia ripensando,
che anche stasera sia un buco nell’acqua.
“Ancora
un momento!” Mi dico da sola. Riaccendo la luce per
fissare il soffitto, per scoprire una crepa che corre,
che volta, e poi muore nel nulla tra il bagno e la sala.
Vado verso la porta e prendo la borsa, ma i miei tacchi,
li sento fanno troppo rumore. Saranno troppo alti? E se
dovessi fuggire? Dalle sue mani, dall’impeto maschio,
che sicuramente s’accende quando meno mi aspetto, di
sicuro mi vuole nonostante i proclami. Magari in
macchina appena salita. Magari più tardi poco dopo la
cena. Vedo già la sua mano che galleggia nell’ombra,
indecisa e sicura aspetta il momento, per poi planare
furtiva tra le mie gambe, mentre lui disinvolto guida,
ride e fuma, e mi lascia di stucco perché non era
previsto. Mi dirà bella come se davvero lo fossi, ma
finge, lo sento che è solo curioso, di scoprire il
colore delle mutande che porto, di sentire quanto caldo
c’è dietro il respiro, quanta fame qui tra le mie cosce,
dovuta al digiuno e alla voglia che tracima sola, e
quante pazzie nel momento opportuno nonostante l’aspetto
di donna virtuosa che accompagna i nipoti la domenica in
chiesa!
Schiaccio i miei dubbi e vado decisa,
perché mi convinco che sono solo pensieri, perché non è
il tipo e mai lo farebbe, dentro una macchina anche se è
buio e poi piove, lungo la strada tra le dune di Ostia,
dentro un motel con vista sul mare. Ma io non voglio e
non è questo il momento! Come faccio a dirgli che non ci
sarà dopocena, che sono uscita soltanto per passare due
ore e perché sono anni che non esco la sera. Ma lui lo
sa e non c’è bisogno di dirlo, che durante il giorno la
noia m’assale e al massimo scambio due parole per dire,
con la portiera che è gentile e graziosa, vabbè ci parlo
di piante, di fiori e d’innesti, della rosa che
quest’anno ritarda a fiorire, ma a me basta per
distrarmi e pensare, che fuori non c’è posto per chi
cammina e non corre, per chi ama i dettagli e le piccole
cose.
Sto aprendo la porta e mi do della scema.
Perché devo pensare che un uomo stasera m’ha invitato
soltanto per avere un ritorno, che un uomo che tradisce
ad ogni occasione, lo fa per un unico scopo evidente? E
se invece vorrebbe solo ascoltare? Le mie pene più dure
che dico e che sento, e magari accarezzarmi leggero la
mano, per non farmi sentire fuori luogo e più sola? E se
invece fossi io a non volerle accettare? E tornarmene a
casa con un vuoto strapieno, di sole parole e ritriti
concetti, di rapporti di coppia, di uomini e donne? E se
fossi io a voler ascoltare dell’altro? Magari il mio
nome mentre mi dice che t’ama, che sono anni che spera e
magari ci credo, senza rendermi conto che nel buio più
fitto, c’è una mano che sale, si ferma e riparte,
proprio dove da anni sentivo solo ragioni?
Basta,
ho deciso, prendo la borsa!
In fin dei conti non
dovrò dire nulla perché già mi conosce, conosceva mio
marito e perché se ne è andato, conosce i pochi volti
d’amanti distratti, che sono passati dentro il mio
letto. Ne conosce le storie e perfino i dettagli, ed io
conosco sua moglie da più di vent’anni, compagne di
scuola al liceo Mamiani. Lui lo ricordo con i capelli
più lunghi, la voce da uomo ed il corpo sottile, che
scompariva tra i seni della mia amica già donna. Ecco
appunto! Allora perché mi tormenta da mesi? Non ho
neanche dei seni ricchi e opulenti, che infestano i
sogni di adulti bambini, che riempiono bocche staccate
già in fasce, troppo presto comunque per mancanza di
latte.
Se non fosse il marito della mia amica,
stasera davvero ci avrei fatto un pensiero, è alto, moro
con due occhi intensi, che mi spogliano senza abbassarmi
la lampo. Al tempo ci avevo fatto quasi la bocca, ma la
mia amica aveva due gambe da sogno, due labbra troppo
grandi per sentirmi rivale, un corpo perfetto per
credermi bella. Forse ora il destino vuole darmi un
riscatto, una rivincita per quei baci davanti alla
scuola e dopo vent’anni potrei rubarle il ragazzo, ora
uomo, ora fatto, solo in cerca di tette, che giudica
belle perché sono diverse.
Guardo di fuori e
m’accorgo che è una notte più nera, di tutte le volte
che sono rimasta a guardarla, a fissarla di sbieco ed
averne timore, a fissarla in finestra e sentirmi
protetta. Non c’è luna stasera che mi possa dare
risposte, non c’è stella che porti fortuna, non c’è
treno che passa, un gatto nero che aspetta, ma solo
nuvole e pioggia ed un uomo che mi reclama, che è uscito
dall’auto e guarda il portone, impaziente fuma e tiene
l’ombrello. Fa quattro passi e muove le chiavi, in
attesa che esca una donna stupenda, o meglio che sia
gentile e disposta a non fare domande e non avere
risposte. Mi riguardo allo specchio e sciolgo i capelli,
ripasso il rossetto con la matita più scura, lo sbordo
di un niente e tolgo la spilla, anche se so che quello
che conta, è l’attesa che passa e s’ingrossa impaziente
e mi fa più bella e regina di qualsiasi trucco che non
ho scelto stasera. Indosso un vestito che mi modella i
fianchi, un tacco più alto che mi sfina le gambe, un
trucco che sfumo e rimarco i contorni, una camicetta
scollata che faccia intuire il nido più caldo per
svernarci stanotte.
Ora ho deciso, tanto là fuori
stanotte nessuno mi vede, nessuno saprà che c’è un uomo
sposato, che rimane paziente ad aspettarmi per ore. Rido
pensando a sua moglie che a casa, lo crede e lo pensa da
tutt’altra parte, magari a calcetto o una pizza tra
amici, magari al capezzale di sua madre malata. Rido più
forte pensando al motivo, per cui stasera ho accettato
l’invito, perché ora è più chiaro e ne sono convinta,
per quel sapore d’amaro che mi è rimasto in bocca, per
quell’astio covato senza volerlo e dopo trent’anni una
sana occasione per un vero riscatto, per una giusta
vendetta!
Scendo le scale altezzosa e fatale,
decisa e superba, sicura sui tacchi, apro il portone e
lo vedo all’istante, mi fissa, si avvicina, mi sussurra
che un sogno, anche quello più bello, non può essere
meglio di quello che vede, perché ora ho deciso e non
c’è più nulla che tenga, nel sentirmi regina, un
paradiso di donna, e vederlo che sbava, che trema, che
sogna, che mastica frasi senza che abbiano un senso. Ora
inciampa, s’impiglia, con le chiavi e l’ombrello,
insicuro ti segue per ripararmi dall’acqua, mentre
cammino orgogliosa e contenta, accenno un sorriso tra
l’insolenza e l’intesa, e dico mio caro dove mi porti
stasera? Ammiccando la calza, lo spacco, la gonna, un
seno stasera che è una dote, uno scrigno, il rossetto
perfetto intatto a quest’ora e non solo la cena potrà
sbavarlo del tutto.
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Il racconto è frutto di
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è puramente casuale. IMMAGINE GENERATA DA IA
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