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								INTERVISTA 
			IMPOSSIBILE    
			
			Giulia Tofana 
			
			
			
							
								La fattucchiera 
			siciliana che uccise oltre 600 mariti 
			
			
			
			Ai tempi del femminicidio con estremo piacere abbiamo 
			intervistato la palermitana Giulia Tofana, paladina di giustizia e 
			protettrice delle donne.  (... – Roma, 1659)  
			
			
							
								
  
								
							
								      
			
				
					
      				    
      				  
                            
                            
                             La bella forestiera era giunta nella Roma 
						Barocca senza arte né parte Innamorata di un barone ed 
						amante di un frate non sapeva nulla di chimica, ma 
						trafficando con l’arsenico mise a punto un veleno che 
						non lasciava tracce e non destava sospetti e lo vendeva 
						solo alle donne per far in modo che si liberassero dei 
						propri mariti violenti  Divenne ricca e potente e il suo 
						successo fu accelerato  dalla volontà di molte donne, 
						che sentivano la necessità di divenire vedove, in 
						un'epoca nella quale il divorzio non era riconosciuto 
						
  Madame lei è passata alla storia come assassina 
						seriale, ci si ritrova? Sono stata solo una 
						simpatizzante delle donne che si sentivano intrappolate 
						in matrimoni sbagliati.
  Simpatizzante in che 
						senso? Non sopportavo le ingiustizie, ma a quel tempo 
						le leggi erano fatte dagli uomini per gli uomini, 
						eravamo nel periodo della Santa Inquisizione per cui 
						l’unica via per quelle poverette, costrette al 
						matrimonio in età giovanissima, era passare alle vie di 
						fatto contro gli abusi e le angherie. Quindi decisi di 
						vendere loro un veleno, che non lasciasse tracce, da 
						somministrare ai loro mariti violenti e maneschi. 
						 Madame le sue origini? Sono nata poverissima nei 
						bassifondi palermitani, orfana di padre, analfabeta e 
						priva di ogni educazione, avevo dalla mia parte solo la 
						mia bellezza. Come meretrice frequentai la corte di 
						Filippo IV di Spagna e gli ambienti del clero. Ero una 
						donna ambiziosa, ma il commercio carnale mi permetteva 
						di sopravvivere, ma non di elevare il mio ceto sociale e 
						neppure d'essere amata. 
  Chi era sua madre? 
						Mia madre era Thofania d'Adamo, giustiziata a Palermo il 
						12 luglio del 1633 con l'accusa di aver avvelenato suo 
						marito Francesco. 
  Quindi per questo motivo si 
						dedicò allo studio di un veleno che non lasciasse 
						tracce… Tramite un frate speziale riuscii a 
						rifornirmi di polveri chimiche necessarie per mettere a 
						punto la mia miscela cosi che elaborai la formula di un 
						veleno inodore, incolore e insapore con l’aiuto di mia 
						figlia Girolama Spera chiamata in seguito “l’astroliga 
						della Longara”, la quale nel giro di poco tempo superò 
						la “maestra”, ovvero la sottoscritta, in perizia e 
						riservatezza. 
  Era il veleno perfetto… 
						Uccideva lentamente, senza dare nell’occhio, un 
						miscuglio di arsenico e antimonio che doveva essere 
						somministrato un po’ per giorno, attraverso un numero 
						preciso di gocce versate nel vino o nella zuppa. La 
						soluzione provocava vomito, poi febbri altissime, quindi 
						conduceva a morte nel giro di quindici-venti giorni e 
						soprattutto lasciava roseo il colorito del morto. 
						Insomma procurava sintomi generici facendo così in modo 
						che l'assassinio non venisse scoperto. Chiamai la 
						soluzione Acqua Tofana dal nome di mia madre Thofania 
						 Ma precisamente in cosa consisteva la soluzione? 
						L'acqua tofana conteneva arsenico, piombo e belladonna 
						aggiungevo acqua distillata aromatica con miscela di 
						anidride arseniosa, limatura di piombo e antimonio e 
						facevo bollire quel liquido rigorosamente trasparente in 
						una pentola sigillata.
  Dopo la morte di sua madre 
						vendette il veleno fuori i confini palermitani. Non 
						faticai a piazzare la merce e i clienti aumentarono in 
						fretta tanto che le rendite mi consentirono di lasciare 
						il malfamato quartiere del Papireto. Poi per una serie 
						di vicissitudini decisi di fuggire e mi trasferii prima 
						a Napoli e poi, con l’aiuto di un frate Girolamo del 
						quale mi ero innamorata, a Roma. 
  Nella città di 
						San Pietro cosa fece? Decisa a costruirmi un’altra 
						vita presi alloggio in un bell’appartamento alla 
						Lungara, nel rione Trastevere, a spese del mio amante il 
						quale trascorreva le ore di preghiera e silenzio nel 
						convento di San Lorenzo. Poi lo convinsi a procurarmi la 
						materia prima, lui non oppose resistenze e mi rifornì 
						dell’arsenico tramite uno zio compiacente, un frate 
						speziale alla Minerva. Rispolverata la vecchia formula 
						tornai al lavoro vendendo la merce, per mio rigore 
						morale, esclusivamente alle donne. Qui gli affari 
						andarono a gonfie vele al punto che riuscii a vendere 
						circa seicento dosi di veleno che uccisero altrettanti 
						uomini.
  Un commercio fiorente e redditivo… A 
						Roma imparai a scrivere, vestivo come una dama d’alto 
						rango, dimenticando gli anni bui di Palermo. Finché 
						un’amica più cara delle altre, la contessa di Ceri, non 
						si venne a lamentare proprio con me dei maltrattamenti 
						subiti in casa dal marito.
  Purtroppo fu colpita 
						da una denuncia proveniente dai parenti di suo marito 
						avvelenato dalla propria consorte…. Purtroppo sì… 
						ansiosa di liberarsi del consorte e contrariamente alle 
						istruzioni ricevute, gli vuotò l’intera boccetta del 
						veleno nella minestra, provocandone la morte immediata e 
						scatenando i sospetti dei parenti. L’indagine di polizia 
						condusse presto a me. 
  Si scatenò una caccia alle 
						streghe impressionante.  Specialmente da parte della 
						popolazione maschile che si sentiva minacciata da me. 
						Venni definita una fattucchiera e una megera. Riparai in 
						una chiesa e mi misi in salvo, ma poi quando uscii venni 
						catturata e condotta nel palazzo dell’Inquisizione, a 
						Porta Cavalleggeri. Sotto tortura confessai di aver 
						venduto, ma solo a Roma, veleno sufficiente a uccidere 
						circa 600 uomini, tra il 1633 ed il 1651. Ovviamente la 
						giustizia non tenne conto che la mia attività fosse a 
						fin di bene e che vendevo il prodotto solo a donne 
						insoddisfatte del matrimonio. 
  Pentita? 
						Assolutamente no! Paracelso sosteneva che “tutto è 
						veleno e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in 
						modo che il veleno non faccia effetto.”
  Giulia 
						Tofana fu condannata e giustiziata tramite impiccagione 
						a Campo de' Fiori, il 5 luglio del 1659, insieme alla 
						figlia Giroloma e agli apprendisti, nonché a un certo 
						numero di mogli accusate di aver avvelenato i mariti 
						somministrando loro la pozione. Solo in seguito venne 
						approvata una legge che richiedeva la registrazione per 
						l’uso e la vendita dei veleni. 
           
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			https://www.siciliafan.it/giulia-tofana/ Giulia Tofana. Gli 
			amori, i veleni  Copertina flessibile – 10 mar 2017  di 
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