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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
La Leggenda di Aretusa e Alfeo




 


 
 


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E il regista vestito di bianco e celeste disse: “Ciak si gira!” Ma nessuno lo stava ascoltando. Qualcuno della troupe era ancora seduto ai tavolini all’aperto rinfrescandosi con una birra fredda e l’aiuto scenografo si stava godendo il meraviglioso tramonto. La Bell’Attrice invece era ancora alle prese con il trucco e il Bell’Attore con una giovane del posto a cui aveva già detto due volte tesoro strappandole un sì per la sera stessa.

E allora il regista disse ancora: “Ciak si gira!” E la Bell’Attrice si domandò come fosse stata nella realtà la Ninfa Aretusa. Chiese in giro se fosse stata bionda o mora, e come portasse i capelli e come la bocca e come il suo trucco. Ma seppe solo che trascorreva le sue giornate inseguendo caprioli e daini ed era la prediletta della Dea Artemide, sua protettrice. Poi la Bell’Attrice, aiutata dalle sarte, indossò un lungo vestito bianco da vestale ricamato in oro e a piedi scalzi attraversò la piazzetta antistante immergendosi in un finto bosco frondoso. In quella frescura si ammirò nello specchio d’acqua chiedendosi di nuovo quanto fosse stata bella Aretusa e quanti anni avesse al tempo.

Il regista la seguì e avvicinandosi le disse che Aretusa era talmente bella da essere vergine e avere forti turbamenti e accesi rossori se per caso gli uomini l’avessero vista. Lei annuì e in quella giornata afosa come da copione si liberò delle candide vesti poggiandole sopra un tronco d’albero di salice piangente. Poi, senza essere vista dalle altre ancelle, s’immerse lentamente nelle acque pure e limpide del piccolo stagno. Tra il cinguettio degli uccelli, il sibilo del vento tra le foglie e il dolce scorrere della acque che suonavano come una melodia si concedette ad un bagno rilassante. Ma proprio in quel momento l’acqua attorno a sé cominciò a fremere e a formare dei vortici quasi danzanti, qual cosa di magico stava per succedere pensò, sembrava come se quell’acqua la volesse accarezzare ed avvolgere a sé.

E allora il regista disse ancora: “Ciak si gira!” E questa volta la macchina del cinema si mise in moto tanto che l’Aiuto Scenografo smise di contemplare il tramonto e il bell’Attore salutò la giovane del posto, poi ripassò a memoria la scena e si calò nella parte di Alfeo, il figlio di Oceano, dio dei fiumi, biondo e innamorato. Anche lui attraversò la piazzetta e passeggiando nella finzione come un corso d’acqua arrivò fino allo stagno e guardando davanti a sé rimase incantato da quella figura che affiorava dall’acqua. S’innamorò subito e perdutamente di lei dimenticandosi di colpo della giovane del posto e concentrò il suo cuore sulla delicatezza di quei gesti, sul suono delle acque, sul seno bianco a forma di due piccole noci e sul corpo della Ninfa che nuda, che bella, si lasciò andare intonando un canto d’amore.

Il regista tutto sudato dall’emozione disse ancora: “Ciak si gira!” Ma non era assolutamente necessario, perché sul set improvvisamente calò un silenzio surreale, seguito da un sussurro, che spaventò la bella ninfa. Lei turbata vide che l’acqua del fiume che alimentava lo stagno si stava tramutando in un bel giovane biondo. Credendo di essere sola Aretusa e vedendo invece quel giovane che ammirava le sue nudità, uscì di fretta dall’acqua, cercò in qualche modo di coprirsi con delle foglie di fico giovane ed iniziò a correre velocemente tra quei boschi frondosi del Peloponneso. Alfeo attratto da tanta bellezza le intimò di fermarsi, la pregò di restare e rassicurandola che nulla le sarebbe accaduto le disse di amarla. Lei non lo ascoltò e allora lui decise di seguirla. La seducente Aretusa corse a perdifiato, corse senza tempo né spazio, ma cominciò anche a stancarsi e capì che le forze le venivano meno. Sentiva che Alfeo stava per raggiungerla e violarla, lei che era una vergine pudica e che non aveva mai conosciuto l’amore. Allora spaventata chiese aiuto alla sua protettrice Artemide, sorella di Apollo e divinità della caccia e delle fanciulle invocando di essere trasformata in sorgente in un luogo possibilmente molto lontano dalla Grecia.

L’attrice di mezza età che interpretava Artemide fece il suo ingresso nel set. Aveva male ai piedi e fece difficoltà a scendere scalza verso il fiume. Tra l’altro non era bella e neanche tanto magra, ma sollecitata dal regista, si avvicinò alla Ninfa e avvolgendola in una nuvola misteriosa la celò alla vista di Alfeo. Poi soffiò forte per metterla al riparo e soffiò ancora così forte che la Ninfa avvolta dalla nuvola arrivò sull’isola di Ortigia. A quel punto il regista allargò l’inquadratura e nella finzione scenica la nuvola iniziò a lasciar cadere delicatamente Aretusa, la quale a pochi passi dal mare salato si tramutò in una sorgente d’acqua dolce e fresca.

“Ciak si gira!” Gridò il regista puntando la cinepresa sul Bell’Attore, il quale sconsolato perse di vista la ninfa e seduto su una pietra di tufo affliggeva il suo cuore per aver spaventato la bella Ninfa. Aspettò ancora, ma quando la nebbia si diradò non trovò più nulla. Vide solo, come in uno specchio, una fonte d’acqua zampillante immersa in un giardino meraviglioso. Alfeo capì il prodigio ed era talmente innamorato che straripò d’amore. Triste chiese allora aiuto a suo padre Oceano. Il Dio, interpretato ad un vecchio attore del teatro siracusano con la coppola e un bastone, lo ascoltò pazientemente e, dopo avergli accarezzato la fronte con un gesto solenne, lo trasformò in un fiume così lungo che, nascendo dalla Grecia e percorrendo tutto il Mar Ionio, permise a suo figlio di unirsi all'amata fonte fino ad Ortigia.

“Ciak si gira!” Disse ancora il regista preso ormai dall’ultima scena di quello spot commissionato dalla Pro Loco dell’isola. Lo disse così intensamente che la bella Aretusa, ormai convinta da tanto amore e insistenza, cedette alle richieste di Alfeo baciandolo sulla bocca fuori copione. La bell’Attrice, calata ormai nella parte, ristette su quelle labbra così a lungo che il bell’Attore pur sorpreso ricambiò quel bacio intimo e caldo dimenticando così la giovane del posto e l’appuntamento per la sera.

La bella favola si concluse con il regista soddisfatto il quale tra lo stupore dei curiosi ammassati sulla piazza disse ancora: “Ciak si gira!” Mentre la grassa Artemide, seduta nei pressi della fonte, rese quel posto incantevole, auspicio di fecondità, e per suggellare il loro amore, scavò una caverna sotto la fonte, così da far correre insieme per l’eternità le acque di Aretusa e Alfeo.

Dalla parte della folla ammassata alla ringhiera di ferro battuto scattò allora un applauso fragoroso e spontaneo mentre l’aiuto Scenografo tornò a rimirare il tramonto, parte della troupe a rifocillarsi di birra e gelati al bar di fronte, il bell’Attore e la bell’Attrice a risalire dalla fonte baciandosi fuori copione e il regista a farsi scappare di nuovo un inutile: “Ciack si gira!”




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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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