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RACCONTI
 
 

STORIE VERE
LETTERA DI UNA MOGLIE TRADITA





 Immagine di Pavel Ryzhenkov


 

Perché ora mi vieni vicino e fai finta che niente sia successo? Che questa sera sia come tutte le altre quando ancora in cucina disegni i tuoi cerchi di piccione che tuba? Conoscevi il momento, la mattonella precisa dove sarei scivolata, fin dove le tue braccia mi avrebbero accolta e sollevata di peso. Pochi passi e mi sarei ritrovata distesa a fremere di voglia reclamando la fretta di sentirti qui dentro. Non ti saresti fatto pregare, mai negli anni mi hai mancato rispetto o m’era parso che le tue mani facessero attrito. Mai negli anni ho preso sonno leggendo un libro o pensato a cosa pensassi se m’avessi dato le spalle.
Ma allora perché è successo? Ti prego non urlare, non chiamarmi da dietro la porta! Lasciami almeno la dignità d’una donna tradita dentro questo antro nel bagno dove mi cullo con le ginocchia sul viso ed un pollice in bocca. Lascia che questo bagno raccolga le lacrime, che verso a goccia a goccia come se il malessere che sento non avesse la forza d’uscire d’impatto.

Mai avrei pensato di passare una notte chiusa a chiave qui dentro in attesa di non reggere l’impeto e vomitare quello che è rimasto intatto sui piatti in sala da pranzo. Non era un granché, un piatto di pasta e una carne scottata, ma sapeva di famiglia e fiducia! Aveva il sapore soffice d’un qualsiasi giorno che volgeva alla fine, dove ogni sera cercavo rifugio e m’accovacciavo nel posto più morbido per sentirmi serena.
E’ vero! Dovrei scappare di casa senza lasciarti il recapito della mia infinita tristezza, senza lasciarti l’appiglio che ora o domani tu possa ancora sperare come adesso mi chiedi di aprire la porta, come ancora hai l’ardire di minacciarmi che svegli i vicini e ti metti a gridare. Fallo se vuoi, non me ne frega più nulla!

Mi spieghi perché dovrei aprire la porta? Quale ragione a questo mondo mi potrebbe dare la forza di guardarti negli occhi, la tua bocca che mi reclama come se vantasse ancora qualche diritto. La vedo come se ce l’avessi davanti che risucchia emozioni e aspira saliva d’un’altra. Come fai a muovere le labbra e dirmi che m’ami? Come cavolo fai a tradire due volte nella stessa giornata, a fondere il cuore e non sentire qualcosa che stride da dentro.
Ma davvero stasera avresti toccato i miei seni col ricordo tra le dita di quelli di un’altra? Dimmi almeno come sono, se sono più grandi, più morbidi e nell’incavo sprofondi come hai fatto con i miei per ogni sera in tutti questi anni. Come fai a non sentirti ridicolo quando mi parli d’amore? Le tue parole sanno di menzogna, d’illegalità e violenza, le tue mani che bussano sanno di stupro dentro queste orecchie costrette a sentire che l’ami, su queste tempie che battono e fanno dolore.

Mi sento vuota, scavata nell’anima. Mi rannicchio e m’abbraccio le gambe per farmi più piccola dentro quest’angolo. Sono occhi e pelle senza memoria, sono capelli morti che scendono secchi e mi coprono il viso. Ti prego lasciami sola! Smettila di colpire la porta e far finta di dare testate sul muro. Tanto nessuno crederebbe al tuo dolore, nessuna donna può credere ad un uomo che reclama d’essere capito e odora ancora di femmina calda!
Me ne sono accorta da sola e tu non me l’avresti mai detto! Perché solo l’odore ti sbatte in faccia quello che mai avresti voluto vedere! Chissà quante volte è successo! Tante quante le paure che ora t’assalgono e ti fanno pentire al punto di dirmi che è stato uno sbaglio, che è stata la prima. Come posso crederti! Se ora ripenso alle tante volte quando un piccolo neo s’ingigantiva nella mia testa. “Ma cosa vai a pensare?” Mi ripetevo ridicola fino al punto di sentirmi infedele perché non ti esternavo i miei dubbi, lasciandoli sciogliere nell’immensa fiducia dove fino a stasera mi sarei bruciata una mano.

Stringo la faccia tra le ginocchia perché non voglio sentirti, chiudo i miei sensi perché non voglio immaginare, non voglio sentire la confessione di chi alle corde ora cerca una via d’uscita. Mi diresti convinto che non è bella, che non l’hai neanche baciata. Ma allora perché! Che stupida! Sto chiedendo spiegazioni! Sapendo benissimo che non ci sono ragioni quando un uomo s’infila cieco tra le gambe d’un’altra, non ci sono ragioni all’istinto di provare piacere quando sente una donna che gode!
Conoscendoti non vedo altri motivi, perché allora? Se non quest’orgoglio di sentirla strillare, di sentirla fremere mentre la riempi di tutto te stesso. Come una farfalla che gira e non trovi altro che ucciderla per sentirne il possesso! Come una donna che ancheggia e scivola via e ti viene l’istinto d’esserne il padrone.
Perché allora? Non voglio che tu mi dica i dettagli, che per filo e per segno tu mi descriva dove e per quanto ti sei sentito più uomo, intinto nel caldo bollente d’una voglia di donna. Vorrei solo sentire cosa ti abbia fatto scattare la molla, il momento preciso dove hai deciso d’agire seguendo il profumo d’una gonna che si svasa alla brama e fa ruote e fa cerchi, e fa pieghe distorte negli occhi che continuano a danzare per infiniti secondi.
Ora mi chiedo cosa c’è dentro quell’irrefrenabile istinto, cosa c’è dentro due mani incompiute che salgono lungo la trama del desiderio che incombe e si saziano al tatto. Mi pento di non aver mai avuto l’istinto di assaggiare altra saliva, di sentirne il gusto e la differenza che in questo momento, ti giuro, mi darebbe consolazione, mi farebbe almeno sentire normale davanti a te che ripeti convinto che è stato uno sbaglio. “Ma quale cavolo di sbaglio? E se anch’io fossi andata a letto col primo stamattina che mi ha detto buongiorno? “Prego s’accomodi pure, sono pulita ed odoro di more!”

Come ci saresti rimasto se t’avessi poi detto che era stato uno sbaglio? Ti prego, non dirmi che eri confuso, che a nulla hai pensato nel momento che … Oddio perché mi voglio fare ancora del male? Ogni volta che ci penso mi sembra che tu mi stia tradendo di nuovo, che ogni volta t’infili, godi, strizzi gli occhi e rantoli come un maiale.
Ho ancora nel naso quell’odore, mi sciacquo, mi lavo la faccia, ma lo sento ancora, sporco e dolciastro come lo sterco di uccelli per strada. Venisse almeno un temporale! Laverebbe dentro il mio cuore, che ora allo sbando salta ogni tanto una corsa.
Ti prego smettila, sei libero di tornarci, tanto io chiusa qui dentro ci passo almeno la notte, ci passo il tempo per sentirmi pulita. Fammi almeno un favore. Ti prego smettila, non uccidere la mia speranza. Non farmi pensare che indistintamente gli uomini siano tutti uguali. Ho bisogno di dare fiducia, di ricevere amore. Voglio vivere e mai potrei pensarlo di farlo da sola.

Ti prego, smetti di bussare. Non serve. Non esco! Non voglio vederti come un cane bastonato con le orecchie abbassate. Non so se questa sia l’ultima volta che sento la tua voce, se domani me ne vado e ti lascio davvero solo come un cane. Ora non so nulla, ed il prezzo che paghi è l’indecisione di non sapere cosa faccio domani, per sempre.




LETTERA FIRMATA


 









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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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