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RACCONTO 
LiberaEva
La promessa
"Sarà che ogni sera metto calze più scure, perché il lutto che
sento non è dalle parti del cuore, che sotto la gonna c’è un ricamo
infedele, che mi dà brividi quando stringo le gambe."

Sarà che sotto la gonna c’è una femmina intatta, che
tra le mie gambe si sgranano sogni, come sabbia di fiume
inzuppati ed a grumi, dal desiderio scomposto che mi
prende di notte, e mi vorrebbe già preda di un uomo
qualunque, che a caso lo incontro e mi legge negli
occhi, l’astinenza degli anni, il vuoto tra i seni, la
promessa più stretta come nodo nel cuore. Non ci sono
rimpianti, non ci sono rinunce, ma solo certezze che
possa accadere, sostituirmi la mano che ogni sera
padrona, mi slarga mi spaia e inumidisce la brama, e si
materializza di carne in un sogno, che tappa il mio
sesso come se fosse una bocca, che isterica urla e non
sente ragioni, per poi rabbonirsi come se ci fosse del
miele, sulla punta del dito che leggera si bagna, di
residui e scorie d’un’anima calda.
Sarà che ogni
sera metto calze più scure, perché il lutto che sento
non è dalle parti del cuore, che sotto la gonna c’è un
ricamo infedele, che mi dà brividi quando stringo le
gambe. Chi mi incontra di giorno non potrebbe capire,
cosa imperversa tra queste pieghe di pelle, invece ora
cammino tra gli abeti ed aspetto, un colpo di vento che
s’insinui leggero, quel tanto o quel niente che mi
scoperchi la gonna, un alito denso come fiato di voglia,
che mi faccia vedere signora di notte, e mi scopra le
gambe ed il mondo s’accorga, che il nero che vede non è
il colore del lutto.
Nel mio letto sogno e
sorpresa mi chiedo, dove siano finiti i maschi d’un
tempo, quelli che non hanno bisogno di chiederti scusa,
ti seguono e ti fanno sentire regina, lungo il parapetto
che scende giù al fiume, ti dicono bella e ti fischiano
dietro, ed usano il sesso per tapparti le labbra, perché
quello che dici non è vero davvero, perché quello che
provi non traspare dagli occhi, e l’anima vuota ha
bisogno di altro, di cibo che sfama, di carne che sazia.
Perché chi l’ha detto che un uomo che passa, non abbia
il permesso d’alzarmi la gonna, di vedere che sotto c’è
una donna in attesa, che ha scontato per anni il pianto
del cuore. Perché chi l’ha detto che io debba per forza,
scappare di corsa o mettermi a urlare, finché i suoi
baci d’anonimo fiato, mi raffreddino dove è bollente il
respiro.
Se sapessero che ad ogni tramonto, vengo
ad incontrare qui sotto il destino, a caso qualunque
bello e solenne, che si concretizzi reale come l’ultima
volta, tra queste sterpaglie e il fiume di fianco, tra
le sue braccia potenti e l’amore di fronte. Sono stati
per mesi giuramenti e singhiozzi, che mai nessun altro
si sarebbe adagiato, per anni e per sempre per tutta una
vita, nel ventre che offrivo al suo sesso perfetto, di
voglia e misura preciso alle labbra, di un cuore che
batte e ancora l’aspetta. Ogni volta ripasso le parole a
memoria, se tra quelle promesse ci fosse un’inezia, una
sciocchezza, un nonnulla che mi liberi ora, una
scappatoia che oggi mi laverebbe la colpa, se a caso
cedessi ai miei seni ribelli. Ma poi ripenso ai suoi
ultimi giorni, d’un destino segnato verso la fine, tra i
miei pianti di rabbia e la sua faccia distrutta, poi uno
squillo improvviso e la notizia di notte.
Scendo
le scale lungo il bordo del fiume, tra i ciuffi
dell’erba che affiorano appena, tra le crepe d’asfalto
intrise di muffa, ho paura che i miei tacchi non
facciano rumore, che le forme che offro siano ombre
sbiadite e muta cammino e nessuno mi veda, trasparente
al mondo, indifferente a me stessa, e che ognuno sappia
il lutto che porto e debba scontare ancora questa
promessa.
Chiudo gli occhi e spero che i miei
timori non abbiano senso, che dietro l’angolo ci siano
maschi che s’accalcano a frotte, che fanno la fila e
rispettano il turno, e mi dicono bella con le voci e le
mani, con i respiri pensanti che sanno di aglio, e mi
dicono amore come se davvero lo fossi, senza sapere che
sono dieci anni che aspetto, che ogni sera al tramonto
mi lascio strusciare, dalle foglie bagnate di una siepe
d’alloro. Se invece sapessero che mi lascio scopare, dal
vento che soffia per non avere una colpa, e rimanere
fedele immutata ed intatta, all’unico uomo che ho perso
per sempre.
Ci sono dei giorni che rimango a
pensare, che non c’è tradimento se non esiste l’amore,
che il sesso è soltanto un’urgenza impellente, come il
bere il mangiare o quando t’alzi di notte, ma sono
pensieri di una povera illusa, che sogna nel letto, che
vagheggia distrutta, dal desiderio scomposto che le
slabbra le gambe. Avessi vent’anni, vent’anni di meno,
non avrei modo per andare di fretta, lascerei che questo
lutto si scolorasse pian piano, si tingesse d’azzurro e
del turchese che amo.
Sarà questo nero che porto
e mi fa ancora più bella, mi sfina le gambe e
m’accarezza leggera, sotto la gonna sento un mondo che
passa, un vociare di gente un vento che graffia. Sarà
questa Roma stranamente deserta, la promessa che ora
fosse solo un ricordo, e allora sì che ritorno a
sognare, proprio nel punto dove il fiume fa l’ansa, e
lungo questo imbrunire d’alloro e d’abeti, s’allunga la
coda d’odori di sesso, sento una mano che sale e mi
prende, dei fischi distanti ed un abbaiare di cani, sono
rutti e bestemmie parole straniere, sono fiati di vino
che mi leccano il collo, dita di calli che raschiano il
seno, e mi fanno l’amore senza guardare e mi dicono
amore ed io mi sento regina. Eccoli li sento, c’è una
folla che preme, che urla che avanza, che gode e
s’accalca, sono tanti e li sento, tra le gambe e le
sponde, di questo fiume che lento scorre tranquillo,
sull’argine destro che poco prima lo giuro, avrei
scommesso davvero che non ci fosse nessuno.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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