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LiberaEva
La prima notte di quiete
"Mettimi fretta, mettimi in fila come se dovessi aspettare il mio turno, ti prego, guarda l’ora impaziente, come se tu avessi altro da fare, un nonnulla, un’inezia, magari una donna, un appuntamento galante, oppure un impegno che mi faccia sentire, meno importante, d’ogni cosa ordinaria. "







Photo Virginia Ateh

 


Dimmi di andare, cacciami via, quando lasciva mi scopro e ti imploro, dammi la faccia più cruda del maschio, che snobba insensibile ogni minimo ardore, dammi la sola che mi faccia sentire, di poco e di troppo, di tanto e di niente, una femmina persa, che implora il tuo sguardo, se puoi un sorriso, le mani, il piacere, che caldo mi bagna, che illusa trattengo, sperando che a breve, tu possa saziare, l’infinito bisogno d’averti qui dentro.

Mettimi fretta, mettimi in fila come se dovessi aspettare il mio turno, ti prego, guarda l’ora impaziente, come se tu avessi altro da fare, un nonnulla, un’inezia, magari una donna, un appuntamento galante, oppure un impegno che mi faccia sentire, meno importante, d’ogni cosa ordinaria. Dimmi che è tardi, ricopri il mio seno, raffredda all’istante il calore che emano, conducimi dove non c’è più un ritorno, blocca di colpo i miei brividi forti, resta impassibile, lucido e forte, come una roccia dove s’infrangono i flutti.

Guardami ancora con occhi di fuoco, ma frena i tuoi fremiti, i guizzi, l’ardore, cadenza i miei passi, battimi il tempo, guida e governa i miei respiri impazienti, le gambe scomposte, la bocca obbediente, metti una regola ad ogni mio orgasmo, dagli un nome perché io ne ricordi, almeno il giorno o l’ora e ne faccia un gingillo da appendere al collo. Ti prego conducimi nel nulla, nel vuoto che sento, nell’unico posto dove mi sento Regina, nei bassifondi di fango, lungo i muri inzuppati, di umido e piscio, dove s’acquattano gatte che disperdono odore.

Affittami al primo, chiunque lui sia, amico o parente, un estraneo ora che passa per strada, e poi dammi un prezzo, quello che valgo, per farmi sentire come mi sento, una merce al mercato, un biglietto al casello, un pesce che ributti in mare, una panchina all’aperto per barboni di notte. Cambiami il nome, chiamami come, l’ultima donna che t’ha fatto impazzire, che ogni tanto rivedi per farci l’amore, per fare confronti e darmi dei voti.

Convincimi dai, urlami addosso, che non c’è gelosia se t’amo davvero, dimmelo ora, dimmelo adesso, non lasciare incompiuta la pazzia che ti offro, chiedimi ora in dono una donna, obbligami a guardarla con gli stessi tuoi occhi, dimmi che lei è più bella, che lei è più brava, e fammi indossare gli stessi stivali, questi tacchi che porto che sono di un’altra, per prepararti il percorso, per facilitarti il tragitto, per godere ai suoi urli, come se m’illudessi di stare al suo posto.

Fammi sentire divina ed oscena, in cielo e all’inferno, padrona e sconfitta, Dio, quello sguardo, il respiro affannoso! Dio, quel tremore di labbra in arsura! È un buco nell’anima che m’annebbia la vista, mi sento femmina, fragile e ricca, lascialo andare, che lieviti ancora, mischia il sapore di baci e d’umore, scivola, arrenditi, fammi cadere, stringimi abbracciami, fammi godere.

Perché tu sia di nuovo una roccia, la mia pietra ed il sole ed io il vento a scirocco, che riscalda i tuoi sensi, il richiamo ossessivo, di sirene che seducono maschi, tante quante ne reclama la brama, tante quante la mia mente mai possa arrivare. Negli anfratti del tuo vizio, nelle siepi dove m’offri, tra cartacce ed avanzi, e gli odori di quei cani, che a branchi fanno il giro, che da soli si fan maschi e mi fanno come vuoi e mi dicono bella e mi dicono altro.

Sono tante e sono una, quella che ti fa godere, quella che cerchi ogni volta a quest’ora, quella che stasera hai incontrato per caso e mi hai chiesto quanto tempo ci avrei messo, per scaldare il tuo letto, per sentirti più maschio. Sono il nulla, una vertigine vuota, inanimata ti guardo come bambola che ti fissa ed aspetta il suo contrario, aspetta il suo pieno, aperta al mondo che si sazia, dell’idea e dell’attesa, d’un sogno ricorrente, che ti fa soldato e padrone, che ti fa guerriero della notte, combattente nel mio sesso, che risale la corrente, salmone nel mio mare, che mi piega al tuo volere, e poi ti culla e mi fa madre, che ti lecca le ferite, che raccoglie il mio sudore, come foce e come sponda, che fa di mare una sola onda.

Ti prego ora non fermarti, rimani qui dentro, nella tua donna, la sola che confonde l’anima col sesso, che tracima di voglia, che trattiene e si comprime per il gusto di aspettare, finché un fiume sotterraneo risalga in superficie ed esploda in un fragore come lampi e tuoni e rombi che rischiarino la valle. Sono il tuo angelo custode e il demonio tentatore, l’altro Dio che non riconosci come tale, dea, madonna, santa e spirito del male, sono una e sono tante, madre, figlia ed amante, amica e sconosciuta, sorella e nemica, donna a pagamento, che s’offre a pezzi o tutta intera, che conosce la sua parte, che conosce cosa vuole, frutto del destino, per travolgere il tuo passato, per sconvolgere il presente, e cambiare il tuo futuro.

Ti prego ora non fermarti, rimani qui per ore, baciami oltre il tuo piacere, il mio che lento si dirada al tuo calore, ti prego rimani, non andare, perché quel chiarore all’orizzonte sia la nostra prima alba dove sboccerà un nuovo amore e queste ore che la precedono siano la nostra prima notte di quiete.






 



 






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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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