Buonanotte filo di grano! Da quando ti ho
incontrato non mangio che pane, non bevo che mosto di vino. Non riesco a
credere che tu sia anche fegato e polmoni, che tu sia anche viscere e
dolore. Ti sei fatto quotidiano come l'odore della stampa, come la pipì al
mattino! Buonanotte raggio di luce, d’una luna che grassa m’accoglie nel
grembo, d’una luna che secca mi sbatte sui bordi, d’una strada di Roma
dove a caso t’incontro! Tu sei la sera che cola e diluisce, sei il tempo
che s'affida, si sfilaccia e si rincorre. Grazie per ieri per avermi
ascoltata, grazie fiore terra fertile quando piove, quando ti sogno e mi
vieni accanto, non portavo veletta ma avevo le ali, non c’era terrazza né
Piazza di Spagna, ma un prato di nuvole dove m’offrivo, eterea bianca
senza peso e misure.
Hai accarezzato i capelli la nuca i miei seni,
li hai spaiati alla luce di una luna discreta, per abitudine hai preferito
il sinistro, quello che dici ha un’anima a parte, perché tanto vicino al
cuore che batte. Lo leccavi come un ciuccio salato, come un membro di
maschio in attesa, che davvero potesse venire, zampillasse d’incanto un
getto più caldo, misto a saliva al rosso di labbra, di nettare e vischio
d’anima munta.
C’era la luna e mi fiaccavi le gambe, come ora mi
nutri di grano e di notte, e fecondi di semi i miei sogni bollenti, qui
davanti ostinata che cerco parole, che cerchi il momento per sentire che
dentro, c'è una donna più viva che gode e respira, e s’illude che ora non
serve nient’altro, alle gambe civette che si muovono sole. Sono fatta di
cuore il resto non conta, un filo di sensi appesi che sgrano, che ripeto
ossessiva per lievitarmi dal fondo, l’emozione che ingrossa il cuore e il
silenzio.
Ma davvero eri tu ieri sera? Davvero un essere con il naso,
le mani? Davvero ero io? Con la voglia di pendere e sentirti vicino,
sentirmi all’altezza della voglia che cresce, che lievita intensa come il
fumo di legna, d’abete sui monti nei camini di notte.
T’avrò detto
almeno ti amo? Respirato il vapore di parole e di treni, che per quanto
retorici sono sogni che vanno, distanti da dove ti scrivo e ti chiamo.
M’avrai detto che m’ami? Che almeno stanotte ero tana di voglie, grotte di
mare dove nascono pesci, gole profonde che generano venti, che soffiano e
seccano questo sesso malfermo, del ventre che apro e spalanco all’amore,
come porte e finestre prima d’un temporale.
Io ci sono, tu ci sei?
Chissà se sei l'angelo che di notte m'assiste, che all'alba svanisce come
nebbia sul fiume, e sospesa mi trova sudata e respiro, l'odore di sesso
che mi riempie i polmoni, di detersivo e lenzuola che mi svuotano il
ventre.
E se tu fossi davvero quel vento, che spacca che sbatte
grondaie di notte? Che notte stanotte se torni a trovarmi, a dire parole
che sanno di sesso, volgari ficcanti insolenti e malsane, che di giorno
m’arrossano il viso e le guance, ma ora vorrei sentirle gridare, farne
rimbombo nei miei buchi che premi, mi tappi e si fanno ode e preghiera,
come se davanti ci fosse un piccolo altare.
Che notte stanotte se mi
trovi da sola, col desiderio in penombra che sale e s’affanna, che entra
che spunta dalla macchia di rosso, sotto il cappello e la veletta che
copre. Dimmi davvero che stanotte ritorni, a passi felpati perché non mi
desti dal sogno, dove nel bagno mi spoglio e mi vesto, mi faccio più bella
con un filo di trucco, dove per strada m’incontri per caso, mi fermi per
dirmi che ti ricordo un’amante, madre mancata del tuo unico figlio.
Ti guardo sorrido e passeggio precaria, struscio i miei tacchi sulle
righe più nere, come bella di notte al primo cliente, tremula porto una
foglia di fico, che mi sbatte e mi copre gli anni che conto, come cerchi
perfetti nei cuori dei tronchi, nascondo agli sguardi i miei petali rosa,
di pelle arricciata che slarga nel mezzo, quel nero che a vista dà senso e
misura, di quanti negli anni ne sono passati. Chi passa stanotte non
avrebbe alcun dubbio, che quello che cerco è solo un sesso più grande, per
stiparmi la voglia e tapparla del tutto, fino ad essere certa che neanche
una bolla, d’aria e d’umore fuoriesca da dentro.
Come vorrei che
fosse già notte, che le tenebre tutte m’avvolgessero il sonno, come rami
di pioppo all’imbrunire d’inverno, come seta che avvolge una vergine
intatta. Vorrei sentire le dita che delineano forme, del volto di labbra
del seno che chiede, che sfacciato si mostra e si lascia succhiare, perché
nessuna bocca a quest’ora potrebbe far meglio, nessuna saliva inumidire la
voglia, che sbatte rimbalza e spalanca le porte.
M’accarezzo alla luce
di onde di seta, seguendo le forme diafane al tatto, mentre guardo il
riflesso d’un’anima pura, d’una rosa fragrante impalpabile all’aria.
Chissà se un giardiniere né apprezzerebbe l’odore, o una sposa novella ci
immergerebbe il suo naso? Vedrebbe sfumati infiniti colori, fino a che un
nero profondo l’inghiotte e risucchia, questo maschio che bramo e testarda
lo invoco, di dirmi parole che siano vere.
Se solo potessi sapere
il tuo nome! Ti chiamerei ogni ora dall’alba al tramonto, perché tu sia
presente anche quando non dormo, anche quando la mano scompare nel nero,
nell’orlo vezzoso che mi divide la pelle, e mi strappa la carne in un
m’ama e non m’ama. Ma davvero m’ami anche se non mi conosci? Mi stappi il
piacere ogni volta che chiedo? E se non fossi bella? Se i miei capelli non
fossero onde come tu dici, non s’abbandonassero al vento per essere vele,
al vento che spinge al sesso che sento. Ma che dico? Non ci può essere
amore tra queste parole, tra quest’abbandono che mi ritrova da sola, e
fragile m’appendo ad ogni gancio che trovo, per strada di notte per strada
di giorno, dove si ricorrono volti con un unico membro, che giuro sia il
tuo perché finalmente sia certa, la prova provata che davvero tu esisti.
Nessun’altro finora ha varcato la soglia, ha dormito qui accanto o si
è alzato di notte, prima che l’alba m’illudesse d’avere, un uomo di carne
di ossa e sudore, dall’alito forte e respiro pesante. Da quando mi scrivi
tutto il resto non conta, t’aspetto premurosa come madre in attesa, come
governante solerte che continua a pulire. La sto lavando di nuovo, oggi è
l’ennesima volta, che mi risciacquo e m’asciugo le cosce e le gambe, nel
punto preciso dove divarico pelle, l’ostinazione testarda di volerti
obbedire, la certezza che ora ritorni spingendo, ritorni riempiendo quel
bene supremo, che corre sull’orlo ed affonda più maschio, nel vuoto
infinito dell’amore che chiedo.
Buonanotte amore mio, buonanotte
filo di grano. Chissà dove sei e per quale maledetta ragione non ti
colleghi, t’aspetto sai e mi dirai che m’ami perché scrivo d’amore, ma non
sai che quello che esce, è frutto di sesso bagnato d’umore, un rivolo
lento che bollente s’addensa, a rami si spacca s’ingiallisce e si posa,
tra le gambe scomposte che nessuno assapora. Che notte stanotte se
rimangono intatte, riempite di vuoto e di parole infeconde, inconsistenti
e leziose che non servono a niente. Ma io ti aspetto ti bramo ti voglio,
per riempire la notte che altrimenti scolora, per sentirmi più bella
intrigante e signora, tra mandrie d’amanti che s’accalcano a ressa, e mi
fischiano dietro perché mostro le tette, e fanno la folla tra le gambe che
apro, che nere di seta s’increspano al tatto, perché abbia un senso almeno
quello che scrivo.
Ma cosa scrivo se tu non mi chiami? Se stanotte
rimango a rivedermi negli anni, lungo le notti dove marco i contorni, di
labbra che rosse stingo al bisogno, di uomini onesti e figli di cani, che
m’hanno insegnato a camminare di notte. A schivare lo sterco a passi di
danza, senza che il cuore s’accorga per caso, che dipingo le labbra di
porpora e pepe, per essere zingara d’un circo ambulante. Sono fatta di
spine angosce e tormenti, vuote parole che pioggia riempie, sono petali
secchi friabili ai venti, che un soffio li sparge e non rimane che niente.
Chissà che diresti se mi vedessi davvero, con un cappello da sera e guanti
di rete, che aspetto e raccolgo solo acqua piovana, avanzi di mondo di
semi infecondi. Chissà se mi vedessi che tremo, al solo pensiero di starti
vicino, al desiderio che ora corri incontro alla notte, e sfidi la pioggia
per venirmi a trovare.
Dove sei anima mia? Che notte stanotte se mi
vieni a trovare, ti offro i miei odori acidi e densi, questo vuoto che un
uomo può solo riempire, questi attimi d’ansia che mi fanno più bella. Che
scema che sono a pensare davvero, che tra poco il tuo volto sarà folta
peluria, zigomi alti che bagno e che lecco. Sei solo una casella di posta,
una chat senza nome e cognome, e mi scrivi parole come se fossi il mio
specchio. Dirai che i miei seni sono palle e velluto, che mai uomo finora
li ha pensati più osceni. Come è possibile allora? Davvero vorresti
succhiarli? Fare di me la fonte del tuo nuovo piacere, il ricordo
immortale del tuo primo bisogno? Dove sei infinito amore? Anima buona che
m’istighi e permetti, di inoltrami da sola lungo i sentieri, di onde di
suoni ed echi lontane, tra i tasti che bagno di liquido puro, per sentirmi
più bella come vergine intatta, alla prima parola oscena e più porca, che
dici che scrivo per provarne il disgusto, e ripeto e mi piace sentirmela
dire. Che scema che sono che m’illudo e ci credo, d’essere un fiore al
primo ritardo, con l’ansia e la colpa al mattino segreta, che scruta una
macchia rossastra nel letto.
Lascia che le mie gambe diventino
foce, di tutte le piogge che corrono al mare, di rami di trote e bottiglie
di vetro, e selvagge ti sfidano ad esser fedele, ad un unico seno un’unica
bocca. Prendimi prima che le tue mani, esitino all’angoscia di non farmi
godere, prima che le mie dita ritornino esili e riprendano forma. Ora le
sento queste mani scellerate, sanno di me e mi toccano in fondo, mi fanno
sentire incompleta d’ardore, impaziente che nulla m’appagherà questa
notte, incredula tremo grido e t’imploro, di dirmi almeno se esisti
davvero, che queste mani non sono le mie, oppure il vapore che m’alita il
ventre, sono solo parole che non potresti mai dire.
Dimmi che ci sei,
che sei ragione ed istinto, sei sangue che scorre e pelle che suda, perché
non voglio null’altro in questo momento, e se mi dicessi amore sarebbe
pazzia, se mi dicessi che m’ami sarebbe un sogno soltanto, allora ti prego
dimmi solo che esisti, perché questa notte non sia fatta di vuoto, e
l’amore che m’offri non rimanga silenzio.
FINE