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RACCONTO 
Adamo Bencivenga
La giusta condanna
"Fammi sentire davvero infedele, mentre baci la pelle di fragola
e miele e ti sazi e t’affami in un vortice denso tra boccate di
vuoto e il gusto più forte dell’anima liquida che calda s’aggruma in
un fiotto di lava che cola e che sbocca come fossi un vulcano che ha
dormito da sempre"

Fammi sentire davvero infedele, mentre baci la pelle
di fragola e miele e ti sazi e t’affami in un vortice
denso tra boccate di vuoto e il gusto più forte
dell’anima liquida che calda s’aggruma in un fiotto di
lava che cola e che sbocca come fossi un vulcano che ha
dormito da sempre, e fiera mi mostro incandescente al
bisogno fino a farti sentire una donna spergiura, che ha
in casa suo figlio che piange e l’aspetta, ed una più
grande che studia latino, dentro una villa arredata con
cura, tra mobili antichi e divani di pelle ed un
giardino scosceso che lambisce la riva, del lago che
piatto calma il suo cuore tra i meli frondosi e i
vigneti d’annata, tra gli aranci d’inverno e la magnolia
fiorita.
Dimmi che sono soltanto una bocca, due
gambe gemelle che si snodano al tatto, ed il cuore è un
dettaglio che non serve all’amore, e quello che dico non
è niente di vero, perché non sono parole, ma fiati
affamati, e s’è t’amo o non t’amo non fa differenza,
rimarrebbe sospeso senza senso nell’aria, mentre grido
alla voglia di essere tua, tra il desiderio di essere
quello che cerchi, simile al sogno ogni giorno reale,
che trabocca piacere quando cade il tramonto.
Fammi sentire una donna bugiarda, che anche il mio cane
s’accorgerebbe sicuro, quando in giardino mi travolge
d’affetto, m’abbaia e m’annusa sotto la gonna, ed odora
lo strascico d’alone che lascio, sulle gambe insicure
che adesso ti offro, sui miei seni che ora servirebbero
ad altro, a sentirmi una madre che nutre suo figlio, e
le copre discreta con un fazzoletto di seta, quando
allatta e qualcuno potrebbe vedere, in un bar
all’aperto, in una stazione di treni. Invece sono qui
che servono ad altro, e m’ingozzo di baci, di strette e
di morsi, e sazio la bocca che insistente mi vuole, e tu
tappi il mio essere di femmina persa, e m’impregni
d’odori di muschio di maschio, perchè mio marito se ne
accorga stasera, ed accetti supino che sua moglie di
giorno, appaghi il suo ardore da un amante focoso e
disseti l’arsura che mi prende la notte.
Lo vuoi
vero? Ti brillano gli occhi al solo pensarlo! Lo vedo
che vuoi, che lui mi baci nel punto, dove ora mi stringi
e forte mi premi, ed obbediente ti seguo, ti giuro e
prometto, che fino a domani resterò così intatta, senza
farmi una doccia o lavarmi le mani, perché sia mai che
il desiderio lo copra, questo odore d’amore che scende e
che sgorga e sa di suddita e sguattera china per terra,
e sa di lumaca che lascia la scia, e sa di donna
infedele che tradisce e s’appaga, quando promette
convinta che il gioco continui, per nutrire il suo sogno
anche a distanza.
Lo prometto sai, non mi cambio
e rimango vestita, perché durante la cena mio marito
possa ammirarmi, e pensare davvero che ho fatto l’amore,
con l’intimo rosso e la camicia scollata, e gridavo
convinta d’averne quaranta, perché uno soltanto serve a
poco la sera, perché quello che vale è la somma e la
conta, quando allo specchio mi guardo e mi spoglio,
quando nel letto sembro una vergine intatta, con la
camicia da notte e i capelli raccolti, e la pelle ad
elastico è tornata al suo posto.
Non chiamarmi
per nome non serve all’amore, chiamami come t’è naturale
al cospetto, d’una femmina pronta ad essere foce, di
scorie e d’avanzi, di ritagli che m’offri, di detriti di
voglia che porta l’amore, negli antri scoscesi dove
ribollono caldi, fumi e vapori di brame sulfuree. Sono
delta di fiume, enclave di mare, dove ognuno che entra
si sente straniero, per poi apprezzare durante il
soggiorno, il servizio, la stanza, la vista sul mare.
Perché non dico che t’amo e non ti guardo negli occhi, e
quello che serve lo trovi più in basso, baciami ora,
fammi sentire il disagio, di parole blasfeme che
m’entrano fitte, come quelle volgari che mi sporcano
dentro, e mi fanno pensare ad donna già persa, che non
fa nulla per apparire diversa, che fa tutto per essere
uguale, al feticcio di donna che cerchi di notte, nei
bordelli dell’anima d’infima classe.
Dimmi
davvero che mi hai trovata in quel posto, oppure per
strada ferma in attesa, e m’hai chiesto per quanto di
sesso e di bocca, ed ora mi urli di superare me stessa,
di essere brava e guadagnarne cinquanta, cinquanta
davvero come una straniera sul viale, che mostra le
tette vendendole a chili, che mostra il didietro perché
non ci siano dubbi, che quello che smercia è un servizio
completo, dietro una fratta in piedi veloce, col sole
che cala e filtra l’alloro, ma non c’è poesia in quello
che offre, non c’è ragione per guardare il tramonto.
Gridami dai che non c’è più tempo stasera, che sono le
sette e tua moglie t’aspetta, con una vestaglia scucita
e le ciabatte da casa, e dentro ci trovi il bisogno che
ora, non riesco ad offrirti vestita d’organza, vestita
di niente di luce che filtra, e mi illumina bella coi
capelli raccolti, e sembro davvero un’onesta signora,
che quando rincasa saluta il portiere, e lui le dice
cortese buonasera avvocato, e servile si raccomanda per
la causa in corso, di suo figlio sorpreso in un ammanco
di cassa.
Rido e mi chiedo che direbbe se mi
vedesse che ora, su questo tavolo non ci sono cartelle,
e su questo divano non c’è gente in attesa, ed il mio
studio è un’alcova dove mi prendi, mi cerchi e mi vizi
le mani e la bocca. Condannami dai ad esser tua schiava,
fatti giudice di questo piacere, perché in amore non
esiste eguaglianza, e la legge che chiedo non è uguale
per tutti. Urlami che stamani sei stato con un’altra, ed
ora non ti riesce perché ripensi all’amante, una donna
più bella con i seni più grandi, una collega nel bagno
che t’ha aperto la toga, era senza mutande e la gonna
sui fianchi, e poi ha goduto aprendo l’acqua corrente,
attutendo i tuoi colpi, i suoi gemiti caldi.
Oppure dimmi che sono troppo diretta, e così non ti
piace perché troppo evidente, ed ogni uomo s’appaga col
vedo e non vedo, che l’erotismo non è fatto solo di
carne, ma scialli di seta che m’avvolgono incerta, ed io
che mi nego e tu che mi prendi, in un gioco infinito di
cacciatore e di preda, perché tu lo sai che ne sono
capace, che in altri momenti potrei essere gatta, ma ti
prego ora è tardi, saranno le sette, gridami forte che
quello che chiedo, è una condanna esemplare che mi
merito tutta, che mi lasci intatta ad aspettare domani,
e la brama che lievita mi gonfia l’attesa.
Condannami ti prego a contare le ore, a camminare per
strada e pensare ad altro, a confondere cause, testimoni
ed accusa, a vestirmi tre volte per essere certa, che
quello che metto ti garba e t’intriga, e invasata
pretendo di rabbonirmi le gambe, perché la sentenza
abbia corso da ora, e domani sia giorno d’attesa e
sudore, dove i sensi di carne non hanno ragione. Fammi
sentire almeno infedele, che asciugo il mio sesso con
documenti importanti, sentenze d’accusa e danni di vita,
di gente che spera, s’affida e ci crede, d’essere
assolta con formula piena! Ti prego non smettere
d’impregnarmi d’odore, perché domani in pretura sarò
ancora al tuo fianco, e mio marito stasera mi baci la
fronte, e mi dica apprensivo che lavoro poi troppo, per
una causa che non ne vale la pena, senza sapere che
questa volta è diverso, che sono io l’imputata e non
posso essere assolta, perché domani di nuovo sarà ancora
reato, sarà la mia bocca, il mio sesso, le labbra, che
chiedono avide una giusta condanna.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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