|
CERCA NEL SITO
CONTATTI
COOKIE POLICY
HOME

I RACCONTI DI
LIBERAEVA 
Amore, ma che dico?
(Che stronza questa parola che m’illude
da sempre!)
"Cos’è questa parola che mi riempie la bocca? Che ci infarcisco
i minuti e ci guarnisco le ore, come se fosse un intingolo che
preparo per cena e possa ad un tratto insaporirmi la vita."

Cos’è questa parola che mi riempie la bocca? Che ci
infarcisco i minuti e ci guarnisco le ore, come se fosse
un intingolo che preparo per cena e possa ad un tratto
insaporirmi la vita. Che stronza parola che m’illude da
sempre! Perché l’amore poi passa e come se passa!
Lasciando lontano uno strascico insipido, che dicono
affetto, che sa di famiglia, come quel piccolo rutto che
ogni tanto gli scappa, come quelle ciabatte logorate da
sempre.
Mi sono vestita di foglie di fiori,
perché un respiro più intenso mi possa spogliare, fare
onde ai capelli, pieghe di pelle, che si increspano ad
un alito caldo e obbedienti si lasciano andare. Mi sono
vestita di un sogno soltanto, come di notte ad ogni
soffio di vento, come di giorno sola nel letto, si
gonfia la voglia in un piacere inatteso, come se fosse
una seta impalpabile al tatto. Mi sono vestita d’amore e
vergogna, perché almeno stasera lui sia certo di cosa
m’aspetto, perché questo incanto sia a portata di mano e
non lasci dei dubbi, scuse e pretesti.
Ma cosa
vado cercando dentro questo silenzio? E’ possibile che
ancora m’illuda? Che queste gambe ammantate di nero,
siano versi di passione e di brama, per pittori e poeti
in cerca di muse, per due occhi distratti che non hanno
ancora capito, che il piacere più intenso trafigge la
mente e si scopa anche il cuore e si scopa le gambe.
Amore, ma che dico? Che stronza parola che m’illude
da sempre! Non resta che una foto sul mobile antico, lui
in abito scuro ed io in bianco di sposa, non resta che
questa pelle appassita che avrebbe voglia di altro,
un’emozione che prende e ti soffoca in gola e fa tremare
le mani, la voce e il silenzio, in uno slancio più
intenso che mi faccia supporre che oltre davvero ci sia
un campo di grano, agli inizi di giugno che già fa
sudare, dove una femmina corre con i capelli raccolti,
con il fiato sul collo di un uomo che insegue.
Amore, ma che dico? Che stronza parola che m’ha fregato
per anni, perché tutto finisce e non rimane che un
rutto, perché tutto poi muore e non rimane che sesso,
arido e piatto come fosse un deserto e questo maschio
distratto che ora si è accorto e vuole vedere che cosa
c’è sotto, che porto stasera per sfamargli la brama, che
avida sento, che ingorda m’assale. La sua mano si
insinua e mi scoperchia la gonna, la trama di seta che
bacia e respira, la trama di pelle che volutamente
ignora, come fosse un dettaglio, come fosse un contorno
non certo la meta del suo istinto di maschio.
Amore, ma che dico? Che stronza questa parola che mi
scorre tra le vene! Eccomi come sono ridotta! Come una
bella di notte che sciama, che chiama sbattendo i suoi
tacchi sul muro, vestita quel tanto per essere preda,
vestita quel poco per essere nido, tana e rifugio
d’uccelli notturni, tra i vicoli stretti di un porto di
mare, tra le calate di nebbia dove s’accovaccia per
l’uso. Ecco come sono ridotta! Come se il sesso fosse
solo un bisogno, un’urgenza di notte che t’alzi e
l’accetti. Non rimane che allargare le gambe,
accoglierlo dentro inventando il rumore, di una pioggia
che sbatte, di un uragano che fotte, una scarna emozione
che possa dare ai miei sensi, almeno la voglia se non
proprio l’amore.
Amore, ma che dico? Che stronza
parola che inganna e mi truffa, come nei grandi romanzi
dove mai si sente l’odore, dove mai il sapore dei baci e
il sudore che lecco ha un gusto falso di rose. E lecco e
rilecco perché almeno sia più intenso e riempia questo
vuoto che ho dentro, quest’ansia che è solo carne, sesso
ed il rumore che sento non è l’acqua di mare, non è
pioggia che bagna le foglie d’alloro, ma solo il
risucchio di un sesso che mi cerca e mi prende, che non
s’accontenta se non urla parole che escono in fila a dir
poco volgari.
Ecco che sale e che affonda, che
mi dice puttana e mi vorrebbe vedere, a carponi per
terra, sul marciapiede di fronte, dove zittisco i
bisogni di ombre che vagano sotto i lampioni di sera. Ma
dico io! Non potrebbe immaginarmi elegante, su una
terrazza di notte che danzo alle note della mia gonna di
seta, bella di giorno che scopre il suo seno, e fa
l’amore col vento che asciuga le voglie, e fa l’amore
col sole che le scalda la pelle. Ecco ci siamo! Lui
ignora quello che sento perché i suoi pensieri corrono
in fretta, scivolano quanto questo sesso che entra e che
esce, che manca un niente per l’ultimo insulto che a
caso gli viene. Chiudo gli occhi per non perdere
quest’ultimo affondo, per non lasciarmi sfuggire quel
brivido caldo, che almeno mi faccia poi dire d’aver
fatto l’amore e mi faccia pensare, quando mi riaggiusto
la calza, che in fin dei conti non sono stata poi male e
l’amore, quello vero, che bramo è solo l’illusione che
mi porta al piacere.
|

Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
© All rights
reserved
TUTTI I
RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
© Adamo Bencivenga - Tutti i diritti riservati
Il presente racconto è tutelato dai diritti d'autore.
L'utilizzo è limitato ad un ambito esclusivamente personale.
Ne è vietata la riproduzione, in qualsiasi forma, senza il consenso
dell'autore


Tutte
le immagini pubblicate sono di proprietà dei rispettivi
autori.
Qualora l'autore ritenesse
improprio l'uso, lo comunichi e l'immagine in questione
verrà ritirata immediatamente. (All
images and materials are copyright protected and are the
property of their respective authors.and are the
property of their respective authors.
If the
author deems improper use, they will be deleted from our
site upon notification.) Scrivi a
liberaeva@libero.it
COOKIE
POLICY
TORNA SU (TOP)
LiberaEva Magazine
Tutti i diritti Riservati
Contatti

|
|