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REPORTAGE 
VIAGGIO IN BIRMANIA
Io ci sono stato a Yangon
Io ci sono stato a Yangon, passeggiando lungo i viali saturi di
odori di spezie, sì certo ci sono stato nei piccoli alberghi
malfamati, autentici bordelli sporchi con la padrona gentile e la
ragazza musona

Io ci sono stato a Yangon, passeggiando lungo i
viali saturi di odori di spezie e profumi al curry, tra
i canti buddhisti e le notti a Nyaungshwe. Ricordo i
sorrisi della gente, le facce serene e i tramonti di
Ngapali, i colori giallo zafferano dei monaci e le
guance delle donne cosparse di thanakha, e poi ancora il
fumo acre dei sigari birmani, l'odore del pesce e delle
verdure bollite. Sì certo ci sono stato nei piccoli
alberghi malfamati, autentici bordelli organizzati un
po’ alla buona, sottotetti sporchi con un piccolo
giaciglio senza lenzuola, con la padrona gentile e la
ragazza musona, sì certo ci sono stato spiando dalla mia
stanza l’interminabile e silenzioso via e vai, anche se
poi il sesso, come mi racconta la padrona dell’albergo,
lo trovi a buon prezzo dappertutto, lungo i viali
alberati, nelle catene di ristoranti, negli alberghi di
lusso, nei saloni di massaggi, nelle discoteche e nei
karaoke.
Si certo ci sono stato, accompagnato dal
mio amico Seix, dentro le capanne di bambù lungo
l’autostrada che porta in Thailandia, tra le mosche e le
zanzare, tra il caucciù, la china e la mangrovia. Loro
sono qui, sedute su sgabelli malfermi, in attesa del
loro sogno per varcare la frontiera in barba ai
poliziotti, e il loro sogno sono i popolari resort di
Phuket nei quali molte loro amiche già lavorano.
Eccole lì che fumano, vestite un po’ alla buona ma
facilmente riconoscibili. La maggior parte ha meno di
diciott’anni, alcune tra i 13 e i 14 anni. Provengono da
minoranze etniche, non sono belle, sono contadine,
braccianti, molte di loro analfabete, prive di qualsiasi
istruzione. Alcune lavoravano in mezzo al mare, nella
pesca dei calamari, ora invece fanno uso di droga,
quella a buon mercato, chiamata Aseana. Sempre avide di
dollari anche perché sono senza documenti e quindi
devono pagare alla polizia una tassa di 200 bath al
giorno. Sesso droga e ricatti è una costante
imprescindibile dentro questo inferno. Come del resto le
malattie, qui gli uomini si rifiutano di fare sesso con
il preservativo e loro per guadagnare qualche misero
bath sono costrette a rischiare. Qui si può contrarre
facilmente la malaria e l'HIV, più di una prostituta
birmana su tre è infetta o sieropositiva, ma poi se
tutto va bene sono vendute dai trafficanti ai bordelli
di Taiwan oppure del Bangladesh oppure in Cina, a Macao,
altre semplicemente nei campi militari oppure nelle
cittadine di frontiera o nei villaggi costieri.
Eccole sedute al Mojo, il locale più famoso di Yangon,
frequentato da imprenditori e insegnanti, gente ricca
dicono. Qui si beve birra, si ballano fino a notte fonda
le ultime hit americane, qualcuno litiga al telefono
altri si avvicinano tutti vogliono parlare, ti scrutano
e sono curiosi, vogliono sapere cosa succede fuori da
Myanmar, questo paese duro da digerire, povero ma
bellissimo, semplice ma complesso. Qui le prostitute
lavorano a viso aperto, anche se l’attività è illegale,
qui le chiamano "coloro che fanno passare la fame",
oppure" padrone blu" perché il blu è il colore della
trasgressione e in senso lato della pornografia. Nel
linguaggio di tutti i giorni invece vengono chiamate
"femmine del pollo" oppure "fiore profumato della
notte". E’ sufficiente trascorrere una sera in uno dei
tanti night club di Yangon per rendersi conto di quanto
sia diffusa la prostituzione tra le adolescenti, anche
bambine. Il prezzo per “aprire un pacchetto birmano” è
di 13.000 bath, 100 dollari, e aprire un pacchetto
birmano significa portarsi a letto una vergine birmana.
Il mercato delle ragazzine è alimentato anche dalla
superstizione che dormire con una vergine si hanno
benefici alla salute, come allungarne la vita e curare
le malattie. Ovviamente il prezzo diminuisce a mano a
mano che cresce l’età e così il costo medio per una
prostituta adulta si aggira sui 350 bath, meno di tre
dollari, dei quali solo la metà vanno alla donna.
In questo locale incontro Tuarè, è giovane e bella,
è seduta al bancone e sta bevendo birra. Mi sorride,
ammicca, accavalla le gambe, crede sia un cliente, le
dico che sono un giornalista, ma lei rifiuta
l’intervista, mi dice soltanto: “Sono venuta per trovare
un lavoro normale, ma il mio viaggio è finito qui e qui
non c'è via d'uscita.” La saluto, prendo posto in uno
dei tanti tavoli, lei mi guarda e ci ripensa, mi viene
incontro e mi dice che per il costo di una prestazione
completa è disposta a parlare. Annuisco e allora mi dice
in uno stentato inglese che proviene da una famiglia
povera, suo padre lavorava nei campi, ma poi un bel
giorno se ne andò di casa e sua madre per vivere, non
avendo altre fonti di entrata, iniziò a fare la
prostituta in casa, offrendosi a parenti e vicini. Lei
ancora adolescente doveva badare al suo fratellino, ma
il denaro in casa era sempre poco e ben presto fu lei a
portare i soldi e mantenere la famiglia trasferendosi
nella capitale e lavorando in un salone di massaggi,
praticamente un bordello mascherato vicino al mercato di
Na Yint Naung, ma la paga settimanale era così misera
che dopo qualche mese se ne andò preferendo mettersi in
proprio battendo le strade e i locali della città e
facendo l’amore in tuguri che chiamano hotel.
Tuarè mi dice quasi per scusarsi che sono tante le
ragazzine che si prostituiscono per vivere e gran parte
di loro entrano nel mercato poiché i genitori hanno
venduto la loro verginità sin da adolescenti. Ma quella
somma non arriverà mai nella tasca dei genitori perché
intermediari e protettori si dividono la gran parte del
denaro.
Le chiedo se è felice e lei mi risponde
con un sospiro poi aggiunge che guadagna all’incirca 30
dollari al giorno in un paese dove la maggior parte
degli abitanti vive con meno di due dollari al giorno.
Poi prosegue: “Non sono felice, ma spero un giorno di
trovare un marito ed avere figli. Non accuso mia madre
per la vita che faccio, ma spero che le mie figlie non
seguano lo stesso mio destino.”
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ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA FONTI:
http://www.corriere.it/ http://www.birmaniademocratica.org/
http://www.bigodino.it/v https://it.wikipedia.org/
http://www.dagospia.com/


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